Che fine ha fatto Baby Jane?
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Baby Jane (Davis) è una bambina prodigio che si esibisce in numeri di vaudeville insieme al padre. La timida sorella Blanche (Crawford) diviene più famosa di lei ma rimane paralizzata in una circostanza misteriosa. L’ex divetta deve prendersi cura di lei ma la gelosia e il desiderio di annientamento prendono il sopravvento. Questo è il cult – o per meglio dire forse, classicone – di cui vi voglio parlare questa settimana. Che fine ha fatto Baby Jane? Di Robert Aldrich del 1962 basato sul romanzo omonimo di Henry Farrell. Thriller molto gotico/grand guinol con venature horror in B/N (la fotografia di Ernest Haller fu una delle poche, ahimè nomination agli Oscar), quasi interamente svolto negli interni ma soprattutto con due attrici e due personalità eccezionali e carismatiche quali Bette Davis e la sua eterna rivale (che poi è una delle solite montature o quantomeno esagerazioni da gossip) Joan Crawford.
Atmosfere cupe e decadenti, una casa/prigione, una Davis vecchia-bambina dispettosa, pazza e alcolizzata. Cosa c’è di meglio?
La grandiosità di quest’opera è proprio nella suspense e nella cattiveria un po’ esibita un po’ soltanto accennata e la caratterizzazione dei personaggi perfetta, memorabile.
Già, stiamo parlando di un film perfetto, senza sbavature, senza buchi di sceneggiatura, con una regia solida, matura, che sa quello che vuole dire e mostrare.
Cosa fa di questa pellicola un cult? Beh, alcune scene ormai entrate nella storia. Non è qui il caso di rovinare le varie sorprese a chi non l’ha mai vista, ma si deve assolutamente citare Bette Davis/Jane che che canta I’ve written a letter to daddy accompagnata al pianoforte dall’ingenuotto e sbandato Edwin Flagg (Victor Buono, nominato agli Oscar come Migliore Attore Non Protagonista per questo apparentemente facile ruolo): agghiacciante, ridicola
(volontariamente), patetica, vestita e pettinata come quando era piccola. Lì c’è tutto il senso del personaggio. Un personaggio che vive ancorato nel passato e non ha accettato il passare degli anni, né le varie delusioni. Un’altra è quella della spiaggia in cui lei canta con in mano il gelato. Vale lo stesso discorso appena fatto. Questo per confermare la coerenza (se si può chiamare tale) dello stato mentale di una persona così squilibrata e l’approfondimento del personaggio.Le situazioni sono paradossali, l’umorismo – ebbene sì, si ride amaramente – è macabro, basato tutto sulla violenza psicologica. Ma è anche questo uno degli elementi vincenti. Bette Davis poi sfodera tutta la sua enorme, straripante bravura riuscendo in una scena ad imitare perfettamente – e con una certa soddisfazione – la voce della Crawford durante una telefonata per ordinare delle casse di liquore spacciandosi per la sorella. Famosa anche la sua battuta quando Blanche, ormai stanca di essere succube e vittima dei suoi soprusi e cattiverie le dice: “Tu non mi faresti questo se non fossi costretta su questa sedia!” e lei le risponde (e qui bisogna ascoltarla in lingua originale): “But you aaaaare Blanche, you are in that chair!”
Il finale invece – che qui non verrà svelato – farà capire realmente perché Jane è impazzita e si è ritrovata ad accudire la sorella. Il negativo diventa parzialmente positivo e si proverà anche pietà – ma già la si provava dall’inizio – per lei.
È film che con il gioco al massacro delle due sorelle mette alla berlina le manie di protagonismo e la smania di successo, critica aspramente lo star system hollywoodiano, lo prende palesemente – ma con grande eleganza – in giro.
Fu presentato al Festival di Cannes nel 1963. Delle cinque nomination agli Oscar ne vinse soltanto uno: quello per i Migliori costumi.
Che fine ha fatto Baby Jane?, un titolo famosissimo per un’opera che invece i più giovani non conoscono (o quasi) ma che devono assolutamente recuperare. Niente effetti speciali: tutto montaggio (ineccepibile) che crea tensione e terrore insieme alla colonna sonora, alle performance attoriali (perché se viene menzionata sempre quasi esclusivamente la Davis, bisogna assolutamente dire che la Crawford ha dato una prova eccezionale, soprattutto in una scena – anche questa diventata cult – del piatto “succulento” servitole da Jane, con lei visibilmente turbata che si fa prendere dal panico e gira su se stessa con la sedia a rotelle) e ad un Aldrich più in forma che mai, senza prolissità e momenti di noia. È uno di quei film che lasciano letteralmente a bocca aperta per la genialità della messa in scena. Un capolavoro – per gli altri invece – da rispolverare.
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