In questa prima parte, Che- L'argentino, si narra con continui salti spazio-temporali ― con tanto di alternarsi di colore e bianco e nero al fine di aiutare lo spettatore nell'orientamento, come accadeva in Traffic con la modulazione dei filtri fotografici ― la genesi e lo sviluppo della rivoluzione cubana che ha portato al ribaltamento del regime di Batista, instauratosi nel 1952 con il colpo di stato appoggiato dal governo americano.La passione e la genuina perseveranza con le quali il cineasta di Atlanta ha voluto ostinatamente portare avanti il progetto, però, non emerge dall'opera: certamente coraggiosa e ambiziosa, ma in fin dei conti non riuscita e piatta, per nulla appassionante e trascinante. Poco potente da ogni punto di vista, narrativo e stilistico.Ci sembra di poter avanzare un'ipotesi: Soderbergh, nel fermo (e del tutto opportuno) tentativo di rendere in modo totalmente anti-spettacolare la figura di Che Guevara e la guerra per la rivoluzione a cui partecipò, non volendo certamente mettere in scena un Che epico e per così dire "iconico", è rimasto imbrigliato all'interno di una struttura rigida, senz'anima, ben poco "cinematografica". Che – L’argentino sorprende in quanto non si dedica molto all'esplicitazione degli ideali rivoluzionari – c'è in tal senso solo qualche frase sporadica pronunciata a New York ad un'intervistatrice o nella sede delle Nazioni Unite –, approfondendo poco e in modo superficiale la personalità di Guevara; e in più, in diversi momenti annoia.
Una possibile conferma della nostra ipotesi è riscontrabile in particolar modo nella componente stilistica: Soderbergh infatti, generalmente cineasta piuttosto virtuoso, questa volta non utilizza praticamente mai movimenti di macchina particolarmente decisi (ce n'è qualcuno nella conclusiva battaglia di Santa Clara), forse quasi temendo che con una messa in scena avvolgente o particolarmente evidente avrebbe potuto enfatizzare eccessivamente, mitizzando un qualcosa che non voleva affatto elevare a mito. Il pericolo infatti era evidentemente quello di scontrarsi contro lo spettro della banalizzazione. Paradossalmente questa eccessiva anti-spettacolarità, che condanna inequivocabilmente il film, al contempo si rivela sottotraccia come un elemento potenzialmente molto stimolante, dando l'impressione che in fondo ci si trovi di fronte ad una grande occasione sprecata: se Soderbergh fosse stato in grado di dosare in maniera differente, più incisiva ed appropriata, i vari elementi narrativo-stilistici, ci saremmo potuti trovare di fronte ad un film di rilievo.
Detto ciò, Che – L'argentino può contare su un digitale strabiliante, che ormai ha raggiunto un livello tale da far ben poco rimpiangere la pellicola, e su una costruzione figurativa e della messa in scena degne di nota, oltre alla monumentale prova d'attore di Benicio Del Toro, giustamente insignito a Cannes del premio per il miglior attore. Per portare ulteriormente avanti il discorso finora sviluppato, in ogni caso, è necessario considerare anche la seconda parte dell'unicum pensato da Soderbergh, quel Che – Guerriglia di cui a breve vi posteremo la recensione e che si concentrerà principalmente sul tentativo di esportazione della rivoluzione da parte di Guevara nell'America Latina.
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