Ieri Repubblica ha messo in pagina l'articolo di tale Roger Cohen del New York Times, con una "esaltata esaltazione" di Twitter. Un inno al nuovismo talmente sciatto e privo di senso che mi ha fatto assegnare al Cohen l'età apparente di 16/17 anni. Vi risparmio l'articolo, e mi limito ad enucleare qualche passaggio dallo sciocchezzaio, che già dal titolo rivela l'insofferenza verso chi (come il sottoscritto - così faccio subito outing) è insofferente verso tutto ciò che sa di pigrizia e semplificazione: gli SMS e i "tweet" che forniscono l'alibi ai "nuovi analfabeti" per scrivere "ke" e "ki": "Che noia criticare di continuo Twitter", titola Roger Cohen sul NYT, e già ti immagini un giovane cazzoncello di quelli che - come il geniale Adinolfi - avrebbe mandato in Siberia chiunque avesse preteso di esprimere un'opinione dopo aver superato i quaranta. Salvo poi spostare l'asticella verso l'alto, non appena è arrivato a sfiorarla con la sua età. Un tizio che ha fatto scuola, se è vero che ha avuto celebri epigoni (vedi "Leopolda" e movimento dei rottamatori...). Ma ecco alcuni passaggi dell'articolo del ggiovane Cohen:
[...] Viviamo nell'epoca noiosa di chi critica Twitter di continuo. Se si appartiene a una data generazione, non è affatto facile evitare la conversazione a tavola quando vira alle lamentele sul calo di attenzione, sulla costante schiavitù dagli aggeggi elettronici, sulla triste superficialità e l'esibizionismo online di una generazione più giovane dedita a una vita in 140 caratteri o meno. Ci si deve nascondere sotto il tavolo o quanto meno mordersi le labbra mentre monta l'ennesima geremiade sulle depravazioni dei social media [...]
Ammaliati dalla bolla de "I sessant'anni sono i quaranta di una volta", quelli che invecchiano non riescono a rendersi conto che la loro irritazione per Twitter, Snapchat e tutto il resto in sostanza è semplice irritazione per tutto ciò che è nuovo, e che alla base del loro continuo mugugnare ci sono mancanza di comprensione e vera e propria incapacità [...]
L'intera faccenda dei 140 caratteri, naturalmente, è in ogni caso soltanto l'aspetto più superficiale. Peggio: tradisce ignoranza. La peculiarità di Twitter è la sua istantaneità, la sua densità. È solipsismo, una forma di narcisismo, certo, ma a uno stesso tempo è il non plus ultra che consente di raggiungere chiunque. La sua essenza è il link e tramite i link i tweet diventano in realtà molto lunghi, così lunghi che Twitter è un modo fantastico per perdere tempo. In verità, a stento ricordo come perdessi tempo prima di Twitter. È anche una maniera molto sommaria per imbattersi in cose impreviste o che arricchiscono. Ripetete con me: "Non mi lamenterò più dei social media, né giudicherò le abitudini di una generazione che non comprendo" [...]
Confesso che ho letto questo articolo con un crescente senso di fastidio nei confronti del ggiovane rompicoglioni che tentava di vendermi questa mercanzia. Ad ogni riga, lo trovavo seccante come certi call-centers, come i testimoni di Geova, come i venditori di Folletto. Antipatia dovuta al fatto che detesto Twitter con tutte le mie forze, e fatico a capire l'entusiasmo persino dei ragazzatti. Ma da vecchio sempre più incazzato, faticavo a capire come si potesse adorare una forma di comunicazione fatta con 140 lettere spazi inclusi. Io fatico, ad esprimere una frase di senso compiuto in 140 lettere, ma certamente è colpa mia. Incapacità di sintesi.
Però, c'è un pero aritmetico, che supera le mie specifiche intolleranza. Come sappiamo persino noi vecchietti (che non usiamo twitter ma usiamo twitter), un "hastag" che non produca centinaia di tweet all'ora non è un hastag di successo. Ma un hastag che produce centinaia di tweet all'ora è un luogo in cui un pensierino mignon (già spesso stupido di suo), non fa in tempo ad essere postato, che è già schiacciato verso il basso, fatto sparire, ingoiato dalla slavina inarrestabile degli altri pensierini in arrivo.
Volevo scrivere, a questo ggiovane intellettuale a 140 lettere, ma poi ho visto che non c'erano riferimenti, email o altro, e ho rinunciato. In fondo, sarebbe stato inutile accanirsi contro un ggiovane innamorato di twitter...
Ma mentre facevo queste riflessioni, è arrivata Repubblica (che mi portano a casa all'alba), e l'occhio mi è andato su un box di Natalia Aspesi, che mi ha atterrito e consolato al tempo stesso.
Atterrito perchè ho scoperto che il ggiovane Cohen è un anziano signore ultrasessantenne. E, chissà perchè, mi è venuta in mente quella fauna fatta di parrucchini, botulino, scoperta senile delle camicie a fiori di Formigoni, rockettari a rock defunto, fastidiosi turisti "all-included" della tipologia "facciamoci riconoscere"...
Consolato perchè ho scoperto che Natalia Aspesi, come me non più ggiovane, ma certamente più dotata di cultura del se-fingente ggiovane Roger Cohen, aveva scritto in un box (breve, ma... ahimé... MOLTO più lungo dei 140 catarreri d'ordinanza), un pensiero compiuto, che rassomigliava come una goccia d'acqua a quello che avrei scritto io stesso al ggiovane Cohen, se ne avessi avuto l'indirizzo. Sono quindi grato a Natalia Aspesi per aver risolto, a sua insaputa, il mio problema.
Diceva G.B.Shaw - amante della sintesi - che meriterebbe la galera chi, potendo esprimere un concetto in 100 parole, ne usi 300. Parafrasando e capovolgendo il suo pensiero, dico che meriterebbero la galera tutti i Cohen del mondo che - pur di mostrare coerenza col mondo coglione dei tweet - mutilano il proprio pensiero, quando non riescono a costringerlo nella camicia di forza delle 140 battute, piuttosto che sognare di "mutilare delle palle" chi ha immaginato un sistema di non-comunicazione tanto demenziale.