Chiamo ancora una volta a raccolta tutti i/le bloggerz che trattano tematiche inerenti le angosce dei pendolari per condividere con loro l’idea di una start up, cavalcando l’onda dell’imprenditoria naif che tanto va di moda in questo periodo di flessione del mercato. In effetti non si tratta di un progetto originalissimo quello di fornire servizi a pagamento a individui o gruppi costretti a spostarsi per decine di chilometri ogni giorno all’andata e altrettanti al ritorno. In aggiunta a ciò potrebbe sorgere il senso di colpa dovuto al rischio di infierire ulteriormente su chi già si accolla di un costo aggiuntivo di cui farebbe magari anche a meno – quello del trasporto pubblico per raggiungere il posto di lavoro – oltre al tempo perso che i più trascorrono ammirando sé stessi nel vetro del finestrino.
Ecco, invece penso sia un bene superare questo senso di colpa. Se già si tratta di un peggioramento della qualità della vita quello di misurare la propria temperanza con ritardi e disservizi vari, perché non mettere a frutto quelle lunghe pause della nostra vita in cui sospendiamo ogni attività e decliniamo ogni nostra responsabilità a una commodity che è meglio non dare mai per scontato? Anni fa, almeno venti, per farvi un esempio, esisteva una scuola di inglese che organizzava lezioni sui vagoni ferroviari tenute da un distinto englishman con tanto di bombetta e ombrello (giuro), moduli tagliati su misura a seconda della lunghezza del viaggio, libri per impratichirsi e conversazioni. Mica male.
È facile prevedere i limiti e i contro di questo modello di business (tralascio i pro che sono invece piuttosto intuitivi). Intanto risulta costoso – ammesso che sia attuabile – farsi riservare carrozze solo per chi acquista questo tipo di training on the road, e immagino l’ira funesta dei pendolari nelle ore di punta contro chi impedisce l’accesso a posti liberi mentre il resto del treno è stracolmo di gente. Si verificherebbe cioè la compresenza nella stessa carrozza di chi paga e di chi segue a sbafo i corsi, e questo non è giusto. Meglio allora puntare su servizi one-to-one o a conversazioni con il vicino di sedile.
E ho pensato a tutto questo pochi giorni fa quando ho avuto la mia idea imprenditoriale. Sentite qui. Uno degli argomenti più dibattuti sui treni, non ho percentuali a supporto ma vi assicuro che mi capita di sovente, è “che cosa prepari stasera a tuo marito”. Un dato che ha differenti chiavi di lettura, a partire dal fatto che tra donne si passa il tempo chiacchierando, mentre i viaggiatori di sesso maschile utilizzano in silenzio tutti i gadget elettronici possibili e immaginabili per poi fare il solitario, ma di questo ne abbiamo già ampiamente dibattuto.
Quel giorno una signora, a proposito dei piani culinari per la cena, mostrava alle sue compagne di viaggio tutta una serie di foto sul suo smartphone di piatti preparati da lei, e per ognuno descriveva ingredienti e modalità di preparazione con dovizia di particolari. Prova a fare questo, diceva alle colleghe, ci metti 10 minuti ed è squisito. Poi una ditata sul touchscreen e via con il piatto successivo, il secondo e il dolce. Converrete con me che il pour parler sulle ricette è un classico del disimpegno mattutino, ma mi ha colpito la variante tecnologica, ovvero l’uso del telefono come supporto multimediale.
Così ho pensato a questa tipologia di live food blogging itinerante, un punto di informazione on demand basato sulla relazione interpersonale e dedicato alla gastronomia day by day. Dimmi cosa hai nel frigo, lasciami consultare il mio database e senti come stupire chi sarà con te a tavola, stasera. Il costo delle ricette può dipendere dalla complessità, o si può decidere una tariffa standard. Non c’è nulla di differente rispetto a una ricerca gratuita su Google, sia chiaro, se non che quel non-tempo trascorso in viaggio su vagoni privi di wifi a volte proprio non passa mai. E poi vuoi mettere la forza del contatto diretto. Non mi resta che augurarvi buon appetito, la prossima stazione è la vostra.