Indebolito da anni di sanzioni economiche, con il precipitare degli eventi, L’Iran aspira ad assumere un ruolo egemone in Medio-oriente.
Nella complessa e confusa scacchiera mediorientale l’Iran attualmente spicca come paese politicamente stabile e, aspetto peculiare, a forte maggioranza sciita. Per queste due ragioni parecchi stati occidentali ― tra tutti gli USA, da mesi impegnati in estenuanti trattative sulla questione nucleare ― scesi a patti con la realtà, si trovano in una posizione scomoda: dover riabilitare una nazione a lungo considerata “stato canaglia”, al pari di Corea del Nord o Sudan. L’Iran ritenuta per anni una minaccia per la sicurezza mondiale, in vista di una comune azione ai danni dell’autoproclamato Stato islamico e di una strategia volta a stabilizzare l’area compresa tra Iraq e Siria, ha mutato radicalmente il suo ruolo.
Detto ciò è chiaro che le complicazioni diplomatiche fra Usa Iran abbiano ripercussioni non troppo positive sull’efficienza alla lotta allo Stato Islamico. Escludere dai giochi della politica internazionale uno stato abitato da quasi 80 milioni di persone e posto in una posizione geografica fortemente strategica non si è rivelata essere una scelta particolarmente produttiva. In Siria l’Iran sostiene ormai da anni il governo di Bashar al-Assad, vera e propria spina nel fianco degli Stati Uniti (che appena un paio d’anni fa furono vicini ad intervenire militarmente contro il regime) e in Iraq i combattimenti contro l’ISIS procedono a rilento, anche a causa delle difficoltà delle potenze occidentali a trovare accordi, politici è vero ma anche di strategie militari, con Teheran.
L’Iran trent’anni fa.
Ma chi detiene il potere di questo colosso militare dal notevole potenziale politico?
Per comprendere il funzionamento del sistema politico di questo Paese, bisogna ricordarsi che l’Iran odierno è figlio della rivoluzione khomeinista del 1979, a seguito della quale venne deposto lo Shah Mohammad Reza Pahlavi.
Pahlavi, in carica dal 1941, esercitando un potere assoluto e incontrastato, con enormi sforzi tentò (e in parte riuscì) nell’impresa di modernizzare gran parte dell’Iran, sia grazie agli enormi proventi derivanti dal petrolio e sia grazie agli aiuti economici forniti dagli Stati Uniti, all’epoca grandi alleati della futura Repubblica Islamica. L’intero occidente era ben contento di avere un alleato di tale peso in pieno Medio Oriente.
Accanto ad una modernizzazione dell’economia, però, lo Shah contribuì a laicizzare fortemente la società e l’apparato statale, ridimensionando notevolmente il potere e le prerogative del clero sciita. I rapporti tra autorità religiose e monarchia divennero difficili; a rendere la situazione ulteriormente spinosa contribuirono le critiche della massima autorità religiosa sciita, l’Ayatollah Ruhollah Khomeyni, in esilio a seguito di un tentato colpo di stato nel 1963 ma che, comunque, godeva ancora di grande prestigio in tutto il Paese.
Parallelamente alla difficile situazione che venne a crearsi tra religiosi ed esponenti della monarchia, crebbe notevolmente il dissenso nei confronti di Pahlavi. Il popolo, vessato dalla Savak― la polizia segreta iraniana responsabile di migliaia di omicidi a sfondo politico, presumibilmente anche al di fuori dell’Iran ― impossibilitato ad esprimere il proprio dissenso liberamente, cominciò a farlo con irrefrenabile rabbia.
In breve gli eventi precipitarono: nel gennaio del ’79 Khomeyni, acclamato dal popolo, ritornò in patria da Parigi, dove era in esilio e continuava la propria opera di opposizione alla monarchia. Con un paese allo sbando e abbandonato dallo Shah, che come ultimo disperato tentativo di riappacificazione nominò il moderato Shapur Bakhtiar a primo ministro, l’Ayatollah, rientrato trionfalmente in patria, a seguito di un referendum, proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran.
Il sistema politico-religioso caratteristico dell’Iran.
Questi eventi portarono alla nascita dell’Iran come lo conosciamo oggi, definendo un sistema politico inusuale, in cui convivono tutt’ora istituzioni teocratiche ed istituzioni politiche e laiche. Le decisioni prese dagli organi politici devono essere poste al vaglio degli organi religiosi, i quali verificano che queste siano conformi agli insegnamenti del Corano.
Si nota fin da subito, quindi, come in Iran vi sia una disparità di importanza tra organi religiosi e politici; non solo perché i primi esercitano un controllo pressoché totale sui secondi, ma anche perché i rappresentanti delle istituzioni politiche sono eletti democraticamente e a suffragio universale, mentre alle istituzioni religiose si accede per cooptazione: sono i membri stessi di un determinato organo ad eleggere quelli nuovi.
Ogni quattro anni i cittadini hanno la possibilità di eleggere i nuovi membri del Majles, il parlamento monocamerale ed espressione del potere legislativo e Il presidente al vertice dell’esecutivo, ad oggi il moderato Hassan Rouhani. Il presidente della Repubblica e Capo del governo nomina successivamente i ministri per ogni dicastero.
La candidabilità di un eventuale presidente, però, deve essere certificata dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione prima di ogni elezione. Quest’organo, inoltre, tramite sei giuristi nominati dal parlamento verifica la costituzionalità delle leggi e, tramite sei teologi, la coerenza delle leggi stesse con i dettami del Corano; i sei teologi sono nominati dalla più alta carica di tutto l’Iran, la Guida Suprema (o Ayatollah).
L’Ayatollah, attualmente Ali Khamenei, eletto a vita dall’Assemblea di Esperti―votati dal popolo ogni otto anni― ha immensi poteri, tra cui il comando delle Forze Armate, la possibilità di nominare sei membri del Consiglio dei Guardiani e, in generale, la supervisione di tutte le decisioni politiche della Repubblica Islamica.
Durante i negoziati sul nucleare, tenutisi in queste settimane a Losanna, l’appoggio della Guida Suprema all’operato del ministro degli esteri Zarif e del primo ministro Rouhani nelle trattative con le principali potenze occidentali è stato fondamentale: Khamenei, infatti, avrebbe potuto bloccare ogni sorta di accordo in maniera del tutto legittimata dal sistema in vigore in Iran. Conscio della volontà di cambiamento di un popolo sempre più affamato di normalità e stremato da anni di sanzioni economiche, l’Ayatollah ha preferito appoggiare una timida distensione tra Occidente e Iran, accolta in maniera giovale in patria.
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