La riapertura delle scuole ha indotto qualche organo d'informazione a rispolverare la vicenda del quotato liceo milanese. Nell'ottobre del 2004 quattro studenti allagarono i locali dell'istituto, rendendolo inagibile per diverse settimane e provocando 300mila euro di danni. In una lettera di scuse dichiararono di non aver previsto la gravità delle conseguenze: volevano "soltanto"evitare il compito in classe di greco, in calendario per il giorno successivo. Si parlò di espulsione dalla scuola e della perdita dell'anno scolastico, i genitori espressero mortificazione e in seguito pagarono i danni; insomma, dopo ampia polemica, gli studenti furono sospesi per 15 giorni (il massimo previsto dal regolamento scolastico), quindi ripresero la frequenza ottenendo la promozione. Intervenne ovviamente il giudice minorile, nei due anni successivi i servizi sociali si occuparono anche delle famiglie; i quattro tornarono a vita normale dopo aver svolto un periodo di volontariato attivo. Questa la cronaca.
Il tema è chiaramente quello della "giusta" punizione. Lo fu quella dei ragazzi del Parini? No, secondo autorevoli studiosi delle diverse scienze umane. Per esempio, la filosofa De Monticelli scrisse: "la sostanziale impunità fa male, tanto a chi ne fruisce quanto alla comunità. [Questi ragazzi hanno così ricevuto] una supplementare cura di inconsapevolezza [...] [perché sono stati] privati del senso delle conseguenze delle proprie azioni, che è un costituente essenziale della libertà" (La questione morale ed. Cortina pag. 65)
Ha ragione e provo a spiegare. La libertà di scegliere, che ci rende persone, implica l'ovvia conseguenza di assumerne la responsabilità, ma diventa priva di senso se tale assunzione non avviene o è un pro forma. L'ordine sociale (quello scolastico ne fa parte) turbato dall'atto colposo può essere ristabilito solo mediante una punizione adeguata. Se essa manca, la comunità rimane per così dire offesa, ma subisce un danno anche il "graziato". In che senso? Principalmente perché non gli viene riconosciuta la consapevolezza dell'azione compiuta , cioè la libertà, visto che lo si tratta come un "minorato".
Analogo il parere del lo psicanalista Recalcati: " Credo che quel corpo docente abbia commesso sostanzialmente due errori. Il primo è quello di non essere stato in grado di evocare il senso del limite, [...] il secondo è quello di aver lasciata evasa la questione della responsabilità e di non avere così chiarito il legame che stringe ogni atto alle sue conseguenze. Quello che però è strano è che in questo caso sembra esserci stata una specularità simmetrica fra gli adulti, voglio dire fra insegnanti e genitori. Una sorta di collusione immaginaria destinata a sollevare i figli dalle loro responsabilità." E sottolineo l'importanza del "senso del limite" che, a quanto pare, nessuno indica con chiarezza ai nostri ragazzi, i quali hanno al contrario un gran bisogno di indicazioni concrete e autorevoli.
Insomma, archiviata senza rimpianti l'era brutale dei ceffoni e delle bacchettate (di cui forse qualcuna di noi nonne ha purtroppo sperimentato i colpi di coda), i nostri nipoti non traggono beneficio dall'indulgenza eccessiva di genitori e prof. Ne sono anzi danneggiati nell'impegnativo cammino verso l'età adulta. Su questi temi a noi spetta, s'intende, soltanto il compito di stimolare - se appena possibile - la riflessione in famiglia.