È morto Giulio Andreotti all’età di 94 anni. La notizia è stata diffusa dall’agenzia giornalistica Agi, poi confermata da fonti diverse.
Nato a Roma nel il 14 gennaio 1919, è stato più volte Presidente del Consiglio dei Ministri, più tardi senatore a vita ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, ha ricoperto numerosi incarichi di governo: sette volte Presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni Statali, due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell’Industria, una volta ministro del Tesoro, ministro dell’ Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli trentaquattro anni), ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie.
Giulio Andreotti è morto. Chi era?
E’ stato il 16º, 19º e 28º Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. Sempre presente nelle assemblee legislative italiane dal 1945 in avanti: prima Consulta Nazionale e Assemblea costituente, poi dal 1948 nel Parlamenti Italiano, come deputato fino al 1991 e successivamente come senatore a vita.
Rimasto precocemente orfano di padre, dopo gli studi classici si iscrive a Giurisprudenza per non pesare economicamente sulla madre e lavora come avventizio all’Amministrazione Finanziaria. Già negli anni dell’Università intraprende la carriera politica, entrando a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (in cui si formerà buona parte della futura classe dirigente democristiana).
Nel 1939 ricopre l’incarico di direttore di Azione Fucina -la rivista degli universitari cattolici- mentre Aldo Moro assumeva la presidenza dell’associazione. Durante la guerra scrisse per la Rivista del Lavoro e nel luglio del 1944 fu eletto nel primo Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, in cui divenne -in breve tempo- responsabile dei gruppi giovanili.
Fu De Gasperi a introdurlo nella scena politica nazionale, designandolo quale componente della Consulta nazionale nel 1945 e favorendone la candidatura all’Assemblea Costituente nel 1946. Nel 1948 diventa parte del quarto governo De Gasperi, venendo eletto alla Camera dei deputati. Andreotti mantenne la carica di sottosegretario alla Presidenza in tutti i governi De Gasperi e nel successivo governo Pella. Negli anni Cinquanta e Sessanta inizia a ricoprire cariche ministeriali e nel 1968 viene nominato capogruppo della Dc alla Camera, incarico che manterrà per tutta la legislatura, fino al 1972, anno in cui Giulio Andreotti diventa per la prima volta Presidente del Consiglio. Reggerà l’incarico alla guida di due esecutivi di centro-destra fino al 1973, continuando in seguito a ricoprire ruoli di primo piano.
Dopo l’esperimento del suo terzo governo, detto della “non sfiducia”, a seguito delle elezioni anticipate del 1976 (ma caduto poi nel 1978), ottiene nuovamente la fiducia a marzo dello stesso anno, il giorno del sequestro di Aldo Moro. Proprio nella vicenda Moro ebbe un ruolo molto controverso: fu tra i più convinti sostenitori della cosiddetta linea della fermezza, rifiutando ogni trattativa con i terroristi. E nei suoi memoriali Moro gli riservò i giudizi più severi. «Non è mia intenzione rievocare la sua grigia carriera. Non è questa una colpa –scrive Moro- si può essere grigi ma onesti, grigi ma buoni, grigi ma pieni di fervore. Ebbene, on. Andreotti è proprio questo che le manca. Le manca proprio il fervore umano. Quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno senza riserve i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è tra questi».
Nel 1983 Andreotti assume la carica di Ministro degli Esteri ne lprimo governo Craxi, incarico che mantiene nei successivi governi fino al 1989. Forte della sua ormai pluridecennale esperienza di uomo politico, Andreotti favorì il dialogo fra Stati Uniti e Unione Sovietica, che in quegli anni si stava aprendo. All’interno del governo, si rese inoltre protagonista di diversi scontri con Craxi: svolse successivamente il ruolo di tramite tra questo e la Dc, i cui rapporti erano tutt’altro che positivi. Quando il triangolo Craxi-Andreotti-Forlani produsse la caduta del governo De Mita, Andreotti fu chiamato nuovamente alla presidenza del Consiglio, incarico che resse dal 1989 al 1992.
Fu governo dal decorso turbolento: la scelta di restarne alla guida, nonostante l’abbandono dei ministri della sinistra democristiana – dopo l’approvazione della norma sugli spot televisivi (favorevole alle emittenze private diSilvio Berlusconi) non impedì il riemergere di antichi rancori con Craxi. Nel 1992, finita la legislatura, Andreotti rassegnò le sue dimissioni: l’anno prima era stato nominato senatore a vita.
Nello stesso anno, Andreotti era considerato uno dei candidati più papabili per la Presidenza della Repubblica, ma la sua corrente non si espose mai con una candidatura esplicita che portasse alla conta dei voti, preferendo l’esercizio di un’estenuante interdizione che tenne sulla corda gli altri candidati del CAF. Quella di Andreotti, che era studiata come una candidatura da far emergere dopo l’affossamento delle altre, divenne però a sua volta del tutto impraticabile dopo l’assassinio di Giovanni Falcone.Due mesi prima era stato assassinato a Palermo Salvo Lima, della corrente di Andreotti: il Parlamento ritenne la situazione di scarsa presentabilità pubblica, in una contesto di emergenza nazionale nella lotta alla mafia. Così si passò a considerare altri nomi più “istituzionali”: prima il presidente del Senato Spadolini e poi, con successo, quello della Camera Scalfaro.
Nel 1994, dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana, aderì al Partito Popolare Italiano, che lascerà nel 2001 in seguito alla nascita della Margherita. Non toccato dalla tempesta di Tangentopoli, nel 1993, dopo le rivelazioni di alcuni pentiti, venne indagato come mandante dell’omicidio Pecorelli, per cui sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione dieci anni dopo. Le sue vicende giudiziarie sembrano non avere fine: nello stesso anno fu accusato di aver favorito la mafia tramite la mediazione di Lima, suo rappresentante in Sicilia. Il Senato concesse l’autorizzazione a procedere e venne accertata la collaborazione di Andreotti con la criminalità organizzata fino al 1980, per cui le accuse si interruppero nello scontro con la prescrizione.
A febbraio del 2001 diede vita, insieme a Ortensio Zecchino e Sergio D’Antoni, al partito d’ispirazione cristiana denominato Democrazia Europea, poi confluito nell’UDC nel 2002. Il senatore Giulio Andreotti è stato il capo di governo più longevo in tutta la storia della Repubblica Italiana.
Articolo di Giulia Pescara.