Se ancora non ve ne siete accorti, cari lettori, da qualche tempo sto riscoprendo il mio antico amore per i Supereroi, e mi sto accorgendo di quanto essi siano l’ennesima incarnazione dei grandi archetipi che ci accompagnano sin dai tempi antecedenti ai poemi omerici. Se c’è una cosa, infatti, di cui noi esseri umani avremo sempre bisogno è di poter alzare lo sguardo su una figura che veglia su di noi, almeno finché non impareremo a vegliare su noi stessi. E in effetti è proprio questo il problema.
“Voi la fate tanto facile: aspettate sempre che arrivi qualche Batman a salvarvi!” ci criticava giustamente Catwoman in Batman, il Ritorno di Tim Burton. E non possiamo darle torto: se è vero che il mondo ha bisogno di eroi, è altrettanto innegabile che spesso gli eroi, che vorrebbero essere un esempio e un’ispirazione, diventano piuttosto un appiglio, quasi una dipendenza. Ben presto la gente impara a delegare loro tutto il lavoro e a scrollarsi di dosso la responsabilità delle proprie scelte, invece di trarsi d’impaccio grida il nome del proprio salvatore, invece di rialzarsi si lascia trascinare, ed ecco i pochi esseri che coraggiosamente hanno messo da parte i propri tornaconti personali per mettersi al servizio del prossimo si ritrovano a fare la parte di Atlante e a sostenere il peso dell’umanità sulle loro spalle. Noi non amiamo i supereroi, amiamo quello che fanno per noi: li veneriamo, come veneriamo gli Dei e come veneriamo gli angeli e tutti gli intermediari che ci congiungono a loro. Ma, come ho già detto qualche articolo fa (vedi Diventare Dio), il super uomo è per definizione qualcosa di non ordinario, di super umano certo, ma di non scollegato dall’umano, un essere con la testa che si affaccia nel mondo sopra le nuvole, ma coi piedi tuttora ancorati a terra, un “Tra il Qua e il Là”, come dicevano di Peter Pan. Possiede quindi (talvolta suo malgrado) dei sentimenti e delle esigenze. Per tutti quelli che li guardano volteggiare sopra le loro teste in sgargianti calzamaglie, sono solo maschere, icone, ma sotto di esse c’è un uomo o una donna che ha intrapreso una crociata, quasi sempre solitaria, e ha donato il suo io agli altri. Lui o lei passa la giornata a rischiare la vita per portare una scintilla di speranza alle persone. Questo lo fa sentire bene, in pace. Ma quando a fine giornata quell’uomo o quella donna si ritrova nel suo piccolo letto, ad occhi sgranati a fissare il buio, mentre si passa le dita sulla faccia affaticata, allora si ricorda della persona sotto la maschera, una persona che più di ogni altra cosa vorrebbe essere amata. E allora, stringendo il cuscino e annusando l’aria fredda e umida che precede l’alba, si chiede: chi salverà i salvatori?
La crisi dell’eroe consiste in questo, nel sentirsi uno strumento “sfruttato e sottopagato” di un bene superiore, un proletario delle forze del Bene, condannato a non godere mai di ciò che giorno dopo giorno si sforza a proteggere. “Io non conosco l’Amore, sono stata creata per proteggere, solo a questo servo”, dice piangendo la protagonista del Quinto Elemento.
Se avete visto il primo film di Spiderman, ricorderete che noi lasciamo il nostro eroe mentre si congeda dalla donna che ama per dedicarsi alla sua missione per essere Spiderman e nient’altro. Ma nel secondo episodio, il suo alter ego Peter Parker esce a reclamare se stesso. Rivuole la sua vita, una vita che non ha mai vissuto. Quasi tutta la città, comprese molte delle persone che ha aiutato, lo odiano e lo temono e da qualche parte laggiù, Mary Jane, l’amore della sua vita dorme riscaldata dal calore di un altro uomo.
Come dice Freud, “l’Id non accetta ritardi nella gratificazione. Percepisce sempre la tensione di un bisogno inappagato”. E così Peter, ancora inevitabilmente umano, si ritrova a bilanciare un passato di eccessivo altruismo (durante il quale aveva rischiato di annullare se stesso), con un eccesso di egoismo: abbandona il costume. Ma una volta toccato il fondo il suo percorso evolutivo lo riporta in superficie ed egli reintraprende il cammino dell’eroe con una maggiore consapevolezza e non senza sofferenza, pronto a rinunciare a ciò che ha di più caro per fare la cosa giusta, senza chiedere nulla, senza aspettarsi nulla. Ma Mary Jane, che sta per sposarsi, adesso sa: ha visto il vero volto di Peter, e conosce il motivo del suo distacco. Così scappa, e corre da lui, nel suo appartamento in abito da sposa. Lui si volta e la vede sulla soglia di casa sua: bellissima e con un sorriso che le splende sul volto. “Peter, lo so che ci saranno dei rischi, ma io voglio affrontarli con te”, gli dice. “Non sarebbe l’ora che qualcuno salvasse la vita a te?”.
Il fatto è che Spiderman non desiderava altro che fare ciò per cui era nato, ma Peter non aveva mai smesso veramente di desiderare Mary Jane, a pretenderla come inevitabile ricompensa per il suo sacrificio. Alla fine però è riuscito a scendere al centro di se stesso e a riallineare tutto il suo essere. Non c’è più conflitto in lui e adesso può fare quello che fa, senza aspettarsi nulla in cambio. Ha raggiunto il vero altruismo, un altruismo che non porta all’annullamento dell’ego, ma alla pacificazione dei vari strati dell’io l’uno con l’altro: un altruismo che passa quindi per l’egocentrismo. Ed è allora, solo allora, quando l’eroe è riuscito a salvare se stesso, che può salvare veramente gli altri. E solo allora, qualcun altro arriverà per salvare lui.
L’Universo è un costante paradosso: è un paradosso che per divenire superuomo, l’eroe debba accettare la sua umanità, come è un paradosso che le cose di cui abbiamo bisogno ci giungano solo quando smettiamo di cercarle.
Lorenzo F.L. Pelosini