"chi sei?"

Da Miwako

Qualche giorno fa, vi ho parlato del corso di scrittura creativa tenuto da Moony Witcher, che sto seguendo presso la facoltà di psicologia. Moony Witcher, al secolo Roberta Rizzo, veste sempre di nero, ha i capelli lunghi, corvini e lisci, due occhi scuri e curiosi e vive col marito e i due figli di lui, insomma, è una donna come tante. Ma anche no; classe 1957, laureata in Filosofia presso la Ca'Foscari di Venezia, 25 anni di militanza nel gurppo "L'Espresso" come giornalista, dal 2002 scrittrice di saghe fantasy per bambini, parla Russo fluentemente, ha tenuto corsi nelle scuole medie e nei licei, organizza corsi e seminari di scrittura creativa, sia on line che in prima persona, ha frequentato strutture psichiatrice come osservatrice scrivendo poi brevi saggi e riflessioni su patologie come la schizofrenia. In due parole, una donna con le palle. E al curriculum invidiabile, si aggiungono una serie di qualità personali che fanno di lei una persona decisamente sopra le righe. Ha una capacità empatica oltre la norma, una sensibilità e un'intelligenza emotiva sconvolgenti, una forza interiore e un'onestà disarmanti.  Alla prima lezione, dopo essersi presentata, aver parlato di sé ed averci letto un passo di Dostoevskij, ci ha messo davanti un foglio bianco con scritto: "Chi sei?", da 30 a 60 righe, 30 minuti di tempo. Panico. Considerando che per me "Chi sei?" non si riferisce a dati anagrafici, al lavoro che svolgo o a cosa mi piace fare nel tempo libero, non potevo non entrare nel panico. E' durato poco più di 5 minuti, dopodichè mi sono fatta coraggio e mi sono costretta ad iniziare a scrivere senza pensare al fatto che qualcuno l'avrebbe letto. Passati 40 minuti, abbiamo consegnato tutti (siamo una ventina) e in quel momento è scattato il trappolone finale:
-Ora, quando che avrò fatto una copia di ogni elaborato, leggerete ciò che avete scritto. -
Inutile dirlo, panico! Quando è arrivato il mio turno, la voce mi tremava e mi mancava il respiro, inspiravo, cercavo l'aria, e al posto dell'ossigeno sembrava entrasse anidride carbonica nei miei polmoni. Ho letto cercando di non mangiarmi le parole, facendo delle pause per riprendere il fiato, ho letto "Chi sono" davanti a venti sconosciuti. E a lei, che mi guardava attentamente, che ascoltava ogni parola, anche quelle che non ho detto. Quando ho concluso, lei ha abbassato lo sguardo, riflettendo per quelli che sono stati i trenta secondi più lunghi della mia vita, ha rialzato il viso e guardandomi dritta negli occhi mi ha fatto una domanda:
"Cos'è che non mangi tu?"
"... ... La carne ... Perchè?"
"Tu cosa pensi? Domandati perchè te l'ho chiesto."
"... Non saprei ... Perchè ho parlato di morte?"
"Pensaci su e la prossima volta me lo dici"
Ero allibita, letteralmente senza parole. Credo che mai nessuno in vita mia mi abbia sorpreso in questo modo. Immaginate una persona che non avete mai visto. che non conoscete, una persona che dopo avervi ascoltato fare un discorso abbastanza vago su chi siete, vi fa una domanda così specifica, così azzeccata, da non necessitare nemmeno di una risposta per avere la certezza di essere nel giusto.
E' stata come una pallottola in pieno petto. Colpita. Affondata. Centro. Tombola. Bingo. Non riesco a capacitarmi di come, qualcuno che non mi conosce e mi sente parlare per la prima volta, possa arrivare ad intuire qualcosa di così specifico e personale. Ho riletto il mio elaborato, cercando di trovare il punto in cui mi sono "tradita" ma niente, non parlo nè di cibo nè di altre cose che, a mio avviso, possano indurre un estraneo ad intuire che io non mangio carne. Ma lei, che come ho detto è una persona al di sopra della norma, evidentemente, ha un insieme di strumenti innati e capacità maturate negli anni, tali da permetterle di leggere tra le righe.
Siamo già all'ultima lezione, poi ognuno per la sua strada, lei alla sua vita, a scrivere di mondi fantastici, noi alle nostre, a fare gli studenti estranei gli uni agli altri e che ancora non sanno esattamente dove andare. Ma c'è qualcosa di infinitamente poetico nel salutarsi dopo aver condiviso qualcosa di profondamente personale con degli sconosciuti che, con tutta probabilità, torneranno tali; qualcosa che ha a che fare col mostrarsi vulnerabili, imperfetti, impauriti e, inspiegabilmente, sentirsene sollevati, come se ammettere a voce alta qualcosa di cui non andiamo fieri, potesse avere lo stesso effetto di una carezza che arriva fino in fondo all'anima. Non è ancora finita, mancano due elaborati e una chiacchierata a quattr'occhi con lei, quindi rimando le considerazioni al momento in cui, effettivamente, si arriverà alla fine. Per ora mi limito a dire che è stata un'esperienza intensa, qualche lampadina si è accesa dove prima c'era il buio, e devo ringraziare lei per avermi mostrato l'interruttore.

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