Giorgio Demurtas, anche blogger di Ediltecnico.it, è un giovane ingegnere che vive e lavora in Danimarca e che da anni si occupa di eolico. In occasione della presentazione del mio libro in Molise, l’ho intervistato per capire meglio come viene gestita la “risorsa vento” fuori dai nostri confini. Mi ha spiegato come i danesi vivono l’eolico e quali sono i benefici in quel paese, sia a livello ambientale che economico.
Lucia Navone. Serra fotovoltaica da record in Sardegna: noi a zappare terra per indiani e americani. Ingegner Demurtas, questo il titolo di un suo post su Ediltecnico.it, ma anche in Puglia, in Molise, in Sicilia, in Campania e in altre regioni d’Italia, il vento e il sole italiano sono finiti a chi dei nostri soldi (e delle nostre risorse) non ne aveva certo bisogno. Perché in Italia nessuno sembra voler tutelare gli interessi economici dei cittadini, soprattutto nel Sud e nelle isole?
Giorgio Demurtas. In Italia purtroppo sembra disonorevole e sbagliato che un cittadino qualunque possa guadagnare (nota, guadagnare, non risparmiare) grazie allo sfruttamento delle risorse energetiche naturali locali.Per esempio, una turbina eolica da 1 MW, 60 metri di diametro, del costo di 1,5 milioni di euro, acquistata in cooperativa di 100 persone ha un costo equiparabile a quello di un automobile (15 mila euro) e renderebbe a ciascuno ben 2.500 € all’anno, per 25 anni. Questo é un ottimo investimento perché si ripaga in appena 6 anni. Spesso le amministrazioni locali “svendono” i siti più ventosi a società private, talvolta straniere, in cambio di posti di lavoro poco qualificati e quindi mal retribuiti, senza pensare che realizzando l’impianto direttamente si potrebbe guadagnare molto di più, e senza nemmeno lavorare.
Allo stesso momento l’amministrazione pubblica locale, con l’idea di tutelare il paesaggio, cerca di ostacolare le numerose richieste di autorizzazione imponendo un procedimento autorizzativo lungo, incerto e complicato. Di fronte a tale ostacolo le piccole e medie imprese, e le eventuali cooperative di cittadini interessati a installare delle turbine eoliche si arrendono, mentre le grandi imprese, che hanno risorse e spalle larghe a sufficienza per affrontare tali procedimenti autorizzativi, riescono a fare gli impianti.
Lucia Navone. Il vento è una risorsa comune ma in Italia ciò che appartiene a tutti alla fine finisce di non essere di nessuno. Lei vive e lavora in Danimarca, la patria dell’eolico. Come funziona e quali sono i benefici per la collettività?
Giorgio Demurtas. In Danimarca 150 mila famiglie e piccole cooperative locali sono proprietarie di turbine eoliche, spesso in multiproprietà, e guadagnano dal vento. Partecipare all’investimento per un impianto eolico è molto semplice grazie a una normativa nazionale che impone a chi sviluppa un nuovo impianto di metterne in vendita il 20% verso i residenti nel raggio di 5 km, o stesso comune. Questo ha portato i danesi ad avere una opinione positiva nei riguardi della turbine eoliche, che vengono considerate belle non solo dal punto di vista funzionale (energia pulita) ma anche dal punto di vista estetico. I danesi sorridono quando si alza il vento, perchè, si dice, il fruscio gli ricorda quello dei soldi che arrivano sul conto corrente.
Lucia Navone. E in altri paesi europei?
Giorgio Demurtas. La comproprietà di un impianto eolico è molto comune in tanti alti paesi quali Germania, Olanda, Inghilterra, Australia, Canada e USA. I grandi nomi dell’industria eolica europea hanno sede in Danimarca, Germania, Spagna e Francia.
Lucia Navone. In Italia hanno prevalso i grandi parchi eolici sopra il megawatt anche in zone dove di energia elettrica se ne produce in abbondanza. Ad esempio il Molise, dove sono stati installati 379 MW (Fonte: Comuni Rinnovabili 2013 di Legambiente) e che, con le altri rinnovabili e le fonti fossili, produce il 72% dell’energia di cui ha bisogno. Sei grandi società che hanno installato 250 turbine eoliche in un territorio di soli 4.500 chilometri quadrati, peraltro unico dal punto di vista archeologico e paesaggistico. Tecnicamente, al di là degli obiettivi comunitari 20/20/20, ha senso un’alta densità di aerogeneratori in un territorio così piccolo?
Giorgio Demurtas. Non conosco la situazione specifica del Molise, ma sono sicuro che una accurata progettazione degli impianti eolici può tutelare e valorizzare il paesaggio. In Italia la risorsa eolica e solare è concentrata al Sud, pertanto installare turbine eoliche al nord è un investimento peggiore, visto che a parità di energia prodotta occorrerà installare un impianto con più turbine, cioè di maggiore impatto paesaggistico e costo. In generale, per la tutela del paesaggio e buoni risultati economici bisogna installare poche grandi turbine dove c’è molto vento (non tante piccole turbine poco efficienti e basse dove c’é poco vento!). La potenza specifica installata in Molise é la metá (0,08 MW/km²) di quella in Danimarca (0.17 MW/km²). Sono sicuro che se almeno il 20% degli impianti in Molise fosse stato offerto ad alcune decine di migliaia di residenti locali come azionariato diffuso, come avviene in Danimarca, l’opinione pubblica sarebbe stata ben piú positiva nei riguardi dell’eolico. Che male c’é ad essere proprietari di una turbina eolica nella propria regione ed esportare l’energia verso altre regioni? La Valle d’Aosta ha sempre prodotto da idroelettrico il doppio-triplo di quello che consuma!
Lucia Navone. Quanta occupazione stabile può creare un parco eolico. Guardando sempre alla virtuosa Danimarca, come stanno le cose?
Giorgio Demurtas. L’impianto eolico in sé non determina occupazione perché funziona in modo automatico. Localmente occorre appena un diplomato ogni 3-4 turbine (9 MW), per gli interventi di manutenzione più semplici. I tecnici specializzati vengono inviati dalla casa madre per brevi periodi solo in occasione del montaggio, che richiede appena 3 giorni per una turbina da 3 MW (del peso di 300-400 tonnellate, che produce energia per seimila famiglie).
In Danimarca l’eolico è un successo sia perché i danesi sono in parte proprietari delle turbine, sia perché le fabbriche dei principali costruttori Europei si trovano in Danimarca. Ho visitato l’estate scorsa la fabbrica del colosso tedesco Siemens Wind Power, a Brande in Danimarca, 3.500 dipendenti diretti, dove producono una turbina eolica ogni sei ore, 365 giorni l’anno.
La differenza fra Italia e Danimarca mi era subito chiara quanto ho visto la banchina del porto di Esbjerg (costa ovest della Danimarca) con centinaia di parti di turbine Siemens, nuove, pronte a essere esportate, mentre nei porti italiani vedo generalmente container carichi di merci importate.
Lucia Navone. In Italia i ristori ambientali consentono ai comuni una trattativa diretta tra amministratori e società eoliche, cosa ne pensa?
Giorgio Demurtas. La trattativa diretta in merito all’autorizzazione lascia spazio alla corruzione ed è attualmente vietata. Quando l’impianto sorge su terreni comunali o demaniali, l’amministrazione pubblica ha l’opportunità di trattare le condizioni di affitto dei terreni, ma meglio sarebbe imporre che una parte dell’impianto, 20% per esempio, venga venduto a una cooperativa di cittadini. Generalmente il principale proprietario dell’impianto è d’accordo perchè questo non cambia il rendimento dell’investimento, riduce l’ostruzionismo della popolazione locale e riduce i tempi per ottenere le autorizzazioni. In sostanza, vincono tutti.
Purtroppo, questa coscienza, non è diffusa fra gli amministratori locali. Per esempio a Buddusò, un paesino di 4.088 abitanti situato al centro della Sardegna, su un altopiano dalle ottime caratteristiche di ventosità sorge l’impianto eolico più grande d’Europa, 138 MW, realizzato da una multinazionale europea con turbine Made in Germany. Che invidia, quanto mi piacerebbe investire i miei risparmi per acquistare una quota di quelle turbine e cosí guadagnare dal vento sardo. Attualmente alla popolazione e all’amministrazione locale resta pochissimo rispetto a quello che avrebbero potuto guadagnare. È un po’ come aver regalato il pozzo petrolifero in cambio di venir pagati per fargli da guardiano mentre gli altri lo sfruttano e diventano ricchi.
Lucia Navone. Quale dovrebbe essere il ruolo delle Istituzioni, peraltro alla luce della sua esperienza danese?
Giorgio Demurtas. In merito alla collocazione degli impianti eolici, lo Stato dovrebbe dettare regole precise evitando di lasciar queste decisioni alle regioni. Trovo ingiusto che in alcune regioni il procedimenti autorizzativi siano molto piú semplici, o piú difficili, che in altre. Vogliamo essere una nazione unica o no?
Lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica è una attività libera, non soggetta ad autorizzazione (ciò che richiede l’autorizzazione è l’impianto, non l’utilizzo del vento o del Sole).
Mentre l’energia solare è distribuita in modo abbastanza uniforme, il vento risente fortemente dell’orografia del terreno, pertanto ci sono dei siti molto più ventosi (convenienti) di altri, ed è giusto che vengano assegnati, almeno in parte, con criteri di interesse generale, invece di lasciarli sfruttare alla prima impresa che si fa avanti. Per questo motivo é importantissimo regolamentare la proprietà di un impianto eolico, per esempio imponendo, sopra una certa potenza, 2-3 MW, di offrire una quota dell’impianto in vendita per azionariato diffuso locale.
Lucia Navone. La Danimarca è uno dei principali costruttori al mondo di turbine eoliche…
Giorgio Demurtas. Lo stato danese ha aiutato la nascita dell’industria eolica danese fin dagli anni ’80, quando il centro di ricerca nel quale lavoro, RISØ, fu incaricato di sviluppare i disegni tecnici di turbine di 10-30 kW da fornire gratuitamente agli artigiani che volessero cimentarsi nella produzione di turbine eoliche. Con il supporto scientifico gratuito di RISØ, alla fine degli anni ’80 si arrivò a costruire turbine da 500 kW, che vennero poi esportate massivamente verso gli USA intorno al 1990. Nello stesso tempo lo stato finanziava le famiglie danesi con il 30% del costo dell’acquisto della turbina, e l’energia era remunerata a prezzo di mercato.
Le maestranze che si cimentavano in tale costruzione erano perlopiù fabbri e meccanici. Una di queste officine, la Vestas, che originariamente costruiva trattori, é ora il più grande produttore al mondo di turbine eoliche (13% del mercato mondiale nel 2011, e 50 GW installati).
In quel periodo anche in Italia l’Enel, la Fiat e la Riva Calzoni si cimentavano nella costruzione di turbine eoliche, ma evidentemente lo stato italiano non è stato lungimirante quanto quello danese, e il risultato è che adesso, in Italia, sostanzialmente non esistono costruttori di turbine eoliche.
E pensare che la Danimarca, leader mondiale della tecnologia eolica, è grande appena quanto Sardegna e Sicilia messe insieme!
Lucia Navone. Quali sono i miti da sfatare quando si parla di eolico?
Giorgio Demurtas. Alcuni ambientalisti e politici sostengono che le turbine eoliche abbiano un impatto paesaggistico troppo elevato. La sentenza n. 150/2005 del TAR di Sicilia recita: “La tutela del paesaggio non è l’unica costituzionalmente rilevante; pari considerazione rivestono la tutela dell’ambiente e la tutela della salute”.
Esistono precisi accordi (ANEV-Legambiente) atti a ridurre, evitare o mitigare gli impatti negativi: rispetto della distanza minima tra gli aerogeneratori, limitazione della realizzazione di nuove strade, interramento dei cavi elettrici di media e bassa tensione, riduzione dell’effetto “selva”, utilizzo di soluzioni cromatiche neutre e vernici antiriflettenti, ecc.
Uso del territorio: L’eolico non ruba spazio al territorio, dove potranno continuare a pascolare gli animali, infatti un generatore eolico della potenza di 1 MW, occupa al suolo una fondazione di appena 10 m di lato, che viene poi ricoperta di terra in modo che possa ricrescere l’erba.
Rumore: Ho visto di persona tanti parchi eolici e ho osservato che il rumore più importante è imputabile al rumore di fondo (prodotto dal vento sui cespugli e sugli alberi). Tanto maggiore è l’intensità del vento, tanto più il rumore emesso dall’aerogeneratore è mascherato dal rumore di fondo. Il rumore dell’aerogeneratore (principalmente dovuto all’attrito dell’aria con le pale) misurato a 150 metri di distanza è di 43.5 dB. Giusto per avere un’idea: i rumori che si sentono a tavola durante il pranzo sono 50-60 dB, i rumori all’interno di un automobile 80 dB, un martello pneumatico 120-130 dB.
Fauna: L’impatto sulla fauna, da uno studio autorevole (Wallace P. Erickson, USA) sulle cause di morte accidentale degli uccelli rileva che il 58% è dovuto a superfici vetrate degli edifici, 10,6% ai gatti, 8,5% automobili e appena 0,01% è dovuto a turbine eoliche.
Lucia Navone. Ad esempio Ikea ha deciso di sostituire delle vecchie turbine con una di nuova generazione, molto più efficiente. Perché in Italia si è sempre pensato ad installare centinaia di turbine eoliche senza guardare all’innovazione e all’efficienza energetica?
Giorgio Demurtas. Molti ritengono che per limitare l’impatto paesaggistico occorra installare turbine eoliche piccole: niente di più sbagliato! Mentre il fotovoltaico si presta bene per qualsiasi taglia di potenza, da pochi chilowatt a migliaia di chilowatt, lo stesso non vale per le turbine eoliche. Turbine piccole (sotto i 100-200 kW) sono più costose in relazione all’energia che producono, hanno un impatto paesaggistico più elevato per via del maggior numero necessario a parità di energia prodotta, sono più rumorose perché costrette a ruotare più velocemente per questioni aerodinamiche.
Per esempio, cinque turbine da 160 kW (15 metri di diametro e torre da 22 metri di altezza), producono solo un quinto dell’energia rispetto a una unica turbina di potenza pari alla somma delle cinque turbine (800 kW, 50 metri di diametro e torre da 55 metri). Al fine di poter essere offerte a un prezzo accettabile, turbine sotto i 30 kW rinunciano spesso (sempre se sotto i 4-5 kW) a sistemi di sicurezza adeguati e sono quindi pericolose. In Danimarca negli anni ’80 molte famiglie o cooperative di agricoltori avevano una (o più) turbine da 100-200 kW, quindi non ha senso, nel 2013, installare turbine piccole. Turbine moderne da 1-2 MW, in comproprietà, sono meglio sotto tutti gli aspetti.
Lucia Navone. Come vede il futuro delle energie alternative in Italia, in particolare l’eolico, non tanto da ingegnere quanto da sardo, legato alla sua terra?
Giorgio Demurtas. L’Italia, purtroppo, è in una situazione di estremo ritardo nel campo delle energie rinnovabili in generale (siamo il paese del sole, è vero, ma purtroppo solo per i turisti!) e dell’eolico in particolare.
In Italia ci vuole più programmazione nazionale del sistema energetico complessivo, anche cercando di impostare dei meccanismi incentivanti che privilegino l’utilizzo di prodotti Made in Italy. In breve, si potrebbe cominciare immediatamente copiando l’attuale normativa danese (disponibile qua: http://www.ingdemurtas.it/eolico/normativa-danimarca/) Il sole e il vento dell’Italia meridionale si prestano perfettamente per dimostrare che si può rinunciare completamente ai prodotti petroliferi. Puó essere il punto di partenza per una storia di successo industriale, simile a quella danese degli ultimi 30 anni.
L’obiettivo danese é entusiasmante: 100% dell’energia da fonti rinnovabili al 2050 in tutti i settori (elettricità, riscaldamento e trasporti). L’obiettivo del Governo italiano non mi è chiaro, quindi per ora me ne resto in Danimarca a lavorare per le tecnologie del futuro (a meno che mi chiamino come ministro italiano dell’energia).
Le alluvioni che di recente hanno colpito la Sardegna e l’Italia meridionale ci mostrano in maniera nitida che l’aumento dell’effetto serra (cioè aumento di CO2) accelera i fenomeni climatici estremi. Per questo motivo, indipendentemente dai vantaggi economici e dalla speculazione (alla quale, in misura giusta, non sono contrario) gli impianti alimentati a fonti rinnovabili sono opere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti (art. 12 d.lgs. 387/2003) al fine di limitare le emissioni di anidride carbonica che stanno modificando il clima.
Per ulteriori informazioni: http://www.ingdemurtas.it/