di Alfonso Nannariello
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L’ho già detto: si sarebbe potuto, sfogliando la raccolta curata da Franco Arminio e Stefania Borriello, Siamo esseri antichi, scambiare non pochi calitrani della fine dell’ ‘800 e del primo ‘900 per apaches o cherokees.
Non sappiamo come e quando la razza si schiarì. Il padre di mio padre era ancora di una materia arcana, fatto di terra scura. Vallario Leonardo, il nonno di mio padre, il padre di sua madre, invece, no. Tata Nàrd anche se sembrava un po’ un brigante per via dell’orecchino che portava, non avrebbe potuto mai essere scambiato per indiano. Anzi, era come terra attirata, chissà da quanti lustri, dall’anima lunare. Con gli occhi verdi, i capelli biondocenere e la pelle chiara, sembrava un essere celeste, uno simile agli astri. Se avesse avuto i capelli lunghi e se, oltre ai baffi, avesse avuto il pizzetto, avrebbero potuto confonderlo col generale Custer o Buffalo Bill.
Tutti i suoi figli presero da lui, poi anche mio padre. Anche lui ebbe i capelli biondocenere e la pelle chiara, solo che, col tempo, diventando grande, i capelli gli volsero allo scuro.
Sia che somigliassero a indiani sia a pionieri, i calitrani di quelle foto erano tutti pieni di ciò che ognuno era e di quanto aveva avuto. Erano tutti concentri sul necessario e vero. Erano tutti consacrati da una vita disadorna, piena d’assoluto. Erano tutti esseri compatti; tutti in quello stato a cui accedono gli eletti.
Avrebbero potuto i loro nomi appartenere a un mito. Li avevano avuti, per non nominare invano, ognuno legato a un antenato.