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Chiapas: un viaggio semiserio/3

Da Silviapare

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Ma tutto sommato non aveva importanza. La cittadina era bellissima con tutti quei colori, il clima fresco, soleggiato e secco delle alture, e c’era tanto da esplorare. Al mattino, in cerca di un buon rapporto calorie/prezzo, cominciavo la giornata facendo indigestione, cosa che mi permetteva poi di saltare il pranzo. Pane, uova strapazzate, riso, fagioli, succo d’arancia e caffè, il tutto di scarsa qualità e piuttosto insapore, ma sempre pesantissimo (da allora ho sempre odiato la cucina messicana). Poi partivo in esplorazione della cittadina e dei dintorni. In Chiapas, così come nel vicino Guatemala, c’è una forte presenza indigena, formata soprattutto dalle popolazioni tzotzil e tzeltal, che convivono con i messicani ispanici che sono immancabilmente più ricchi e grassi, oltre che ingioiellati, baffuti e pieni di figli. In Chiapas le bambine indigene ti guardano curiose e timide con i loro vestiti colorati, le bambine ispaniche ti guardano panzute e arroganti con i loro vestitini rosa pieni di fronzoli. O almeno, questo era ciò che vedevo allora, nel mio fervore rivoluzionario-terzomondista. E naturalmente quello che alimenta l’intenso turismo della zona sono proprio gli indigeni, che vorrebbero semplicemente farsi gli affari loro e invece sono sempre sotto gli occhi dei turisti come me, che vanno in cerca di qualcosa di “tipico”.
Chiapas: un viaggio semiserio/3Sopra e sotto: la sfilata dei carri della Festa di Primavera e della Pace, la settimana dopo Pasqua. Sopra, in particolare, la reginetta-barbie blanquita. 
Chiapas: un viaggio semiserio/3

Chiapas: un viaggio semiserio/3

La chiesa di San Juan Bautista

Prendiamo, per esempio, quello che le guide descrivono come “l’affascinante villaggio tzotzil di San Juan Chamula” poco più a nord di San Cristòbal, “famoso per le sue pratiche religiose uniche che fondono credenze maya e cristiane”. È vero. L’attrazione principale di San Juan Chamula è la chiesa di San Juan Bautista. È una chiesa senza sacerdoti né messe: anche se in teoria sarebbe cattolica, il prete arriva solo una volta all’anno, per i battesimi, e per il resto la chiesa è gestita autonomamente dalla popolazione indigena. L’interno è spoglio, ma c’è un’atmosfera intensamente mistica che colpisce a sorpresa anche un’atea divorapreti come me. D’altronde qualcuno me lo aveva detto: in questa chiesa succedono delle cose. Il pavimento è cosparso di aghi di pino, che rappresentano la fertilità della terra e il contatto tra l’uomo e madre natura; sopra gli aghi di pino è tutto un pullulare di candele accese, e l’effetto, tra il profumo e la luce, è davvero ipnotico. Potenzialmente incendiario, anche, e infatti più tardi visiterò le rovine di una chiesa rasa al suolo dalle fiamme. È tutto strano ed esotico, qui. Intere famiglie inginocchiate a terra recitano litanie a bassa voce, circondate da bottigliette di Coca Cola che, una volta ingerita, produce grandi quantità di gas e quindi agevola l’espulsione del male attraverso la bocca. Altri riti prevedono l’uso di animali, in genere polli o galline sui quali si cerca di trasferire il male che ha colpito il postulante, per poi sacrificarli (e mangiarli se il male e lieve, oppure seppellirli se il male è grave). Dalle pareti osservano la scena innumerevoli santi, dall’immancabile Vergine del Guadalupe a Sant’Antonio da Padova, tutti travestiti con preziose stoffe colorate, dono dei fedeli per le grazie esaudite. 

Chiapas: un viaggio semiserio/3

... e il suo portale

Mi siedo in un angolo, confusa, consapevole di non capirci niente. Mi vergogno di essere venuta qui a fare la turista a casa di questa gente che sta semplicemente vivendo la propria fede, che sta chiedendo un miracolo per un figlio malato o per un raccolto andato male. Chi sono io per stare qui a guardarli? Mi faccio piccola piccola e mi succede qualcosa. Non so cosa. Il tempo si ferma e si dilata, sono parte della Storia, sono con questa gente, sono una di loro in questo tempo senza tempo che esiste solo qui dentro. Piango, senza sapere perché, se non che sono una di loro e che il tempo non c’è più. Poi esco, stordita, dalla chiesa di San Juan Bautista.
Qualche settimana dopo, al mio ritorno dal Chiapas, avrei partecipato alla festa organizzata da un importante editore per il lancio dell’importante libro di un importante scrittore che avevo tradotto, e al primo incontro con l’importante scrittore mi sarei lanciata in una lunga disquisizione sulla mia esperienza mistica fra gli indigeni tzotzil del Chiapas, cosa che a tutt’oggi non so che effetto abbia fatto all’importante scrittore.
Quando finalmente Sergio riuscì a raggiungermi, qualcun altro lo aveva preceduto. 
(3/Continua)

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