Dalla silloge inedita 30+1 in soffitta proponiamo una scelta di testi poetici di Chiara Baldini.
La scala
Con le movenze pie
e fame d’affetti materici
stancamente dismessi in un tetto
l’anima-Mosè
ascende già
dal passato remoto al Sinai legnoso
di polvere e penombra.
Intona un cigolio
pesando a ogni piede
marcato a fuoco: tavole incise
di comandamenti tarlati.
La terra promessa
in pochi passi.
L’abbaino
Occhio a mezz’asta
cisposo di ciglia vetrate
e tegole.
Filtra solo un pennello.
Sulle punte
ballerine datate
setole rugose
accennano passi
raggiati di sabbia.
Quanto basta
a spazzare la tela aerea.
Intimità ombrosa
come di Caravaggio.
Vesti
Sgorgati da una fonte
remota
flussano nelle mani affondate
frusciando tutti
i sensi.
Tatto assapora la seta.
Vista l’orfano candeggio.
La canfora appuntita
in pizzo alla narice prude
e nell’orecchio echeggia
canterino
il crepitio di un merletto.
Lampada a olio
Ho sfregato
l’idea geniale di vezzi ramati
col fiato bianco e la stoffa
fusi
nelle mie linee digitali.
Troppa brama
per tintinnare tre soli desideri:
tra i fiori graffiati
l’unico cesello viziato
è la mia speranza.
Sedia a dondolo
Come non voler
declinare la fatica
sulla paglia croccante.
Andando come il seno
libera note di sirene
incise negli anelli
del legno reggente.
Su questo galeone
si beccheggiano anime marinaie
salpate da largo
a far pace in porto.
Esotica eco d’Oriente
il corpo ristora.
Fiore di loto schiuso
in un breve riposo.
Libro di favole
Sono la morale animalesca
glassata sì di vecchio
ma rinnovabile in un soffio.
Liberami oltre la veste
di cartone
umilmente stantia.
Lasciami bucare gentile
la grotta del tuo orecchio
con inchiostro ancora saldo.
Leva la voce, adesso:
non perla
ma pillola
per solo uso orale.
Damigiana
Curva di donna
botticelliana
nel grembiule di paglia
si veste
e nel grembo
è madre generosa
fatta per accogliere
sangue di vita di una vite
che in lei matura.
Busto da sarta
Nell’ombra
losca silhouette
gioca a nascondino.
Mezzo di donna.
Mancata regina
sul piedistallo.
Una vita intera
per modellare di Eva
curve e misure.
Creare e coprire
il peccato di stoffa
originale.
Chiave
Stecco d’ottone
ricordi tu?
Io spremo nelle nocche
bianche di sforzo
un dubbio tangente
la forma tua nata
per scattare.
Ma non una molla
raminga s’attizza.
Più so
quale ruggine
con te
si possa purgare.
Macchina da cucire
Erano anni di servizio intenso
veloce, giocato sul filo.
C’era poco da ricamarci su.
Troppe ferite da rammendare.
Era la guerra, signore!
Le gonne, una vera eredità.
China a tavolino, pedalavo stretta
e nel mio andirivieni
tutto sistemavo
mai chiedevo.
Ma qualche volta
prendendo il giusto tempo
mi specchiavo con lentezza
nel gesto fatto.
E lì scoprivo come nuovo
il senso del mio essere.
Io, lettrice diligente del piano cartesiano
affondando nella trama ero
pura frenesia di suggellare solide
come il prete all’altare
le unioni appena imbastite.
Trappola per topi
Mi scherniscono
perché insulsa
nel gerontocomio
dei pezzi obliati
sono a far da Colombina
Schiava!
Che s’io non ci fossi
Lor Signori forse non sanno
quanto più gli roderebbe.
Ma domani mi stallo
e schiocco in capriccio
un solo bacio d’addio.
Domani, la vostra
scatolina del cacio
i sorci ve li farà vedere.
Come olive mature.
Post scriptum di Tarma e Tarlo
Al proscenio dunque!
ché l’equità del buio
attorno già ci tange.
A noi la contraerea
sei dei ratti avanza
compatta la falange.
***
Chiara Baldini (Roma 1975), laureata e specializzata in Scienze Chimiche a Padova, vi risiede, dividendosi, nella scrittura,tra poesia e prosa. Partecipa talora a premi letterari. La silloge da cui sono tratti questi versi è la sua prima raccolta.
La soffitta e le sue “scoperte”, in questi versi, sono il correlativo oggettivo di un altrove nel presente/passato, di un’alterità della voce delle cose, un “partito preso”, per citare Ponge, che ha un dettato, una scienza che abbranca la visione, possedendola e liberandola dai ruoli fissati nelle cose stesse. C’è una scoperta dell’e/norme, del fuori norma, fuori dai ruoli del quotidiano, sapendone con finezza ardirne le potenzialità inespresse, un’osare il ri/uso onirico delle dimensione della domus, che nella “soffitta” ha il suo vertice e il suo santuario terrestre.
Una voce che risentiremo sicuramente.