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Chimaira Splēn

Da Paride

Vita. Visione. Distorsione di un metamorfosi interiore. Penultima sigaretta. Ero diverso appena un istante fa, adesso che sono passato dal sonno e dai fumi del sogno, a questa vita sveglia persa nelle nebbie della penultima cicca, inizia la metamorfosi, figlia della dea Stanchezza, piccola divinità del pantheon delle ciglia appoggiate sui miei occhi, nello sguardo distorto di luci appena schiuse. Le giocosità della malinconia inferta con la sicurezza di un risveglio pacato e sbronzo in lacerazioni chirurgiche e quasi anestetiche. Mi mancano. Le rivoglio, o vino o i loro bisturi adesso necessito. Non è facile nella lucida mente poggiata dietro occhi fiaccati, trovare. Catturare. A caso uccidere parti di se e degli altri. Anche ridere, piangere poi è come la vecchia verginità del mio sangue e d’un antico mare. Entrambe le cose hai avuto da me in dono. Comprendo, adesso finalmente succhia come sempre dal mio collo, dal cazzo, o da qualunque altra parte di me, ma che desidera e non respinge il suo, il tuo pensiero. Eri da immemore tempo senza scorrere la creatura che mi viveva addosso a ricordo dello squarcio perpetuo e senza tramonto. Adesso vivo, presto dovrò morire nella visione e distorsione incomprensibile del mio credo unico e assassino. La Chimera raggiunta è ossimoro. Ma sprecare ogni cosa mi riesce bene, come rigurgitar parole e trovarti senza sosta fra le mie righe di salmi incomprensibili che neanche io capisco. Il solito poggiarmi nel dionisiaco accontentarsi, del riempirsi dell’anima della sicurezza del suo incolmabile verbo. Gli ossimori si rincorrono e io li guardo correre: nichilistico delirio o divertentissimo gioco? Il verbo della mia anima; nessuna sensazione assoluta se non nelle parole. E’ successo, ho trovato un modello, metro di bellezza da cui far oscillare in alto e in basso ogni mia percezione della vita, per qualche minuto. Attualmente sono all’ultima sigaretta, forse adesso rileggerò il Tutto e poi continuerò a scrivere fino a quando si sp


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