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Chimica nel piatto part II: pochi controlli, tanti residui

Creato il 04 dicembre 2011 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

pochi controlli, tanti residui

Chimica nel piatto part II: pochi controlli, tanti residui
Parto dal post precedente (qui) per riassumere che i prodotti Plasmon (dichiaratamente per l’infanzia e con certificazione di filiera) sono più sicuri di quelli Barilla, ma non del tutto esenti da residui. E visto che i prodotti per l’infanzia riguardano la fascia 0-3 anni e tutti gli altri devono sorbirsi i prodotti per adulti (buoni o brutti, contaminati o meno), allora c’è una soluzione per essere garantiti della salubrità totale del prodotto? Si, è il biologico. Ma vari scienziati-food blogger-giornalisti-esperti ecc. come Bressanini non sono concordi, in quanto il biologico ammette l’uso di “soli” 20 principi attivi usati come pesticidi, contro i ben 500 nel convenzionale. Bressanini minimizza questa differenza e mangia le mele senza sbucciarle (source), perchè si sente garantito e protetto dalle leggi, dai limiti e dalle dosi ammissibili di sostanze chimiche. Bene! Io invece la mela la sbuccio! Non mangio sempre biologico (costa tanto, questo è l’unico appunto che faccio, e poi preferisco sempre la Nutella alle varie creme bio alternative, comunque ricche di zuccheri!), però mangio tanta frutta e verdura e la maggior parte delle aziende agricole (non bio) che conosco, nonostante la legge, ignorano o non usano il quaderno di campagna (e quindi i limiti di carenza tanto osannati da Bressanini). Conosco alcuni grossi produttori di uva da tavola (sono pugliese) e loro stessi mi dicono che da quando la Grande Distribuzione ha imposto i suoi standard, l’uva non ha più il sapore di una volta (alla GDO non piace l’uva con acini di grandezza diversa o leggermente macchiati da funghi e altri parassiti). E poi i tanto sicuri controlli di cui parla Bressanini, possono davvero garantirci? Dai dati del Ministero della Salute, rapporto sul controllo degli alimenti in Italia del 2010 (source) solo il 20% delle unità produttive (compresi ristoranti e rivendite alimentari) sono stati ispezionati come da routine; sono stati analizzati 31 mila campioni di alimenti e bevande (forse solo una famiglia in un anno compra 31 mila porzioni di alimenti); invece, delle circa 50 mila partite di prodotti di origine animale importati da fuori Europa che hanno varcato le dogane nazionali, su tutte vengono controllati i documenti e la conformità, ma su quante viene fatta un’analisi chimica e microbiologica? Solo il 3%, mentre sui prodotti di origine non animale i controlli analitici sono stati del 4,17% Certamente i controllori fanno tutto il possibile e fanno un ottimo lavoro, ma a quanto pare le risorse a loro disposizione sono poche, per cui possono controllare solo una piccolissima parte della merce che varca i confini, e questo non mi fa sentire sicuro! A prova di tutto ciò c’è l’allarme di Legambiente nel suo dossier “Pesticidi nel piatto 2011″, secondo il quale, nel 37% dei prodotti ortofrutticoli che finiscono sulle tavole italiane sono presenti residui di sostanze di sintesi.

I dati derivano da analisi effettuate nei laboratori delle ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell’ambiente) e rivelano che nel 18% dei casi, frutta, verdura e derivati (pane, pasta, succhi, passate, etc.) contengono tracce di un pesticida. In un altro 18,5%, inoltre, le analisi hanno rilevato la presenza di due o più pesticidi diversi. Legambiente, comunque, precisa che solo nello 0,6% dei casi i campioni sono risultati formalmente irregolari, perché contenenti residui di sostanze chimiche superiori ai limiti di legge. In ogni caso, denuncia l’associazione ambientalista, nei nostri piatti finiscono ancora troppe sostanze artificiali e si ritorna al problema che i limiti sono stabiliti sul singolo principio attivo ma bisognerebbe tenere contro del cocktail che noi ingeriamo da più fonti. In particolare, preoccupa la quantità di pesticidi rilevata nella frutta: i tecnici hanno individuato tracce di più di un composto chimico nel 45,7% delle mele, 49,8% delle pere, 47,16% delle fragole, 40,6% delle pesche e 44,4% dell’uva analizzate. Male anche il vino (nel 38,6% dei campioni sono presenti residui) e l’olio d’oliva (26,1%), ma il record della presenza di sostanze chimiche va a dei campioni di uva bianca ligure con tracce di 5 diversi pesticidi (clorpirifos-metile, triadimenol, traidimenof, pencanazolo, pirimetanil) e di pere emiliane con 6 residui (fosmet, pirimetanil, trifluralin, folpet, chlorpirifos, kresoxim).


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