…e chissà che cosa ce ne faremo?
di Marco Cagnotti
C’è un ricordo personale associato a quest’ufficio. E oggi sono qui di nuovo con la stessa persona: Annalisa Marzuoli, fisica teorica dell’Università di Pavia. Fa un po’ strano, per la verità. Però so che Annalisa si occupa ancora di cose interessanti. Così mi faccio raccontare che cos’è cambiato nel suo lavoro, a distanza di quasi 20 anni.
Ma un essere umano è più di una macchina di Turing? (Cortesia: A. Marzuoli)
Annalisa, tu ti occupi di quantum geometry e di topological quantum computing. E’ roba che è già difficile solo da pronunciare. Vuoi provare a spiegarci in parole semplici di che cosa si tratta?
Mentre la quantum computation tradizionale si basa semplicemente sulla meccanica quantistica, la topological quantum computation è una sua evoluzione fondata sulle teorie quantistiche di campo di tipo topologico.
Quindi c’è dietro una storia non breve.
Sì, la base della teoria quantistica della computazione è stata posta all’inizio degli Anni Ottanta da Richard Feynman in uno dei suoi ultimi lavori. Gli sviluppi sono poi stati studiati da David Deutsch e Charles Bennett. L’idea consiste nel costruire, dapprima come modelli e poi magari anche nella realtà, dei computer basati sui principi e sulle proprietà della meccanica quantistica.
Perché invece i computer attuali…
…si basano su semiconduttori ed elettromagnetismo, cioè sulla fisica classica. Un computer quantistico sarebbe molto più potente. Potrebbe svolgere i calcoli in tempi più brevi, per esempio sfruttando le possibilità quantistiche del calcolo parallelo. Ma c’è un problema fondamentale: nel processo di misura l’informazione viene distrutta. Dunque in teoria un computer quantistico possiede enormi capacità, ma nel momento in cui si va a misurarne l’output quello che emerge è un risultato il cui valore è solo probabilistico, perché un computer quantistico dà una risposta rappresentata da una variabile di tipo casuale.
Una bella fregatura.
Già. Le leggi della probabilità sono quelle derivate da proprietà dei sistemi quantistici, non quelle proprie della teoria classica dei sistemi dinamici probabilistici. E nel lavoro di Feynman del 1982 si dimostra che nessun computer classico può simulare in modo efficiente un sistema quantistico.
Ma a livello profondo, di bit e di unità di informazione, cambia qualcosa?
La computazione quantistica è stata sviluppata mimando quello che succede nella teoria classica dell’informazione, quindi con le variabili booleane 0 e 1, le porte logiche, i gate and, or, not eccetera. Queste operazioni sono state trasportate nella teoria dell’informazione quantistica per costruire i corrispondenti gate quantistici. Per le proprietà della meccanica quantistica, questi gate sono rappresentati da matrici unitarie con proprietà matematiche più forti di quelle che si ritrovano nella computazione classica. Insomma, il modello corrispondente a una computazione classica rappresentata da un circuito, cioè un insieme di operazioni, può essere riformulato in ambito quantistico. Però l’input sarà costituito non da stringhe di 0 e di 1 ma da stringhe di qubit.
Qubit?
Un qubit è uno stato quantistico che può assumere una continuità di valori. E’ una collezione di stati che possono variare dallo 0 all’1 assumendo anche tutte le loro possibili combinazioni complesse. A livello concettuale abbiamo però un problema: uno stato quantistico non può essere osservato direttamente, ma possono essere osservate le ampiezze di transizione da uno stato all’altro. Queste ampiezze sono mediate non dagli stati quantistici ma dalle osservabili quantistiche.
In sostanza le grandezze fisiche misurabili.
Sì, ma diverse dalle osservabili classiche come la posizione e la velocità. Nella meccanica quantistica per misurare la posizione noi dobbiamo trovare un insieme di stati fatti in modo tale da essere autostati della posizione.
D’accordo, ma tutto questo dove porta? Voglio dire: avremo poi davvero un computer quantistico da mettere sul tavolo, con monitor e tastiera, per poterci lavorare?
Secondo me il problema è che c’è una sorta di tendenza generalizzata nella fisica teorica a sposare nuove idee o nuovi paradigmi. Dopodiché ci sono anche dietro interessi di tipo economico, in un certo senso, perché si intravede la possibilità di costruire sistemi di calcolo sempre più potenti. Ma ti dirò che al momento l’affidabilità di progetti di ricerca che prevedono la costruzione di un vero computer quantistico è molto dubbia. In realtà non c’è un vero e proprio computer in cantiere, se non a livello di modelli molto ridotti che si basano su un numero molto piccolo di componenti e che, per le proprietà della meccanica quantistica e per l’interazione con l’ambiente esterno, degradano in tempi molto rapidi. Infatti un sistema si mantiene quantistico per un tempo, chiamato tempo di coerenza, che attualmente può essere solo di pochi secondi.
E dunque… niente?
Per il momento niente, sì. E secondo me se entro qualche anno non ci sarà un prototipo questo settore è destinato a spegnersi.
Certo però che sarebbe bello poter avere una macchina di Turing quantistica…
Sì, ma prima dobbiamo spiegare che cos’è una macchina di Turing, non credi?
Giusto.
Nella computazione classica una macchina di Turing è un modello universale, perché si è dimostrato che qualsiasi altro modello astratto di computazione può essere ricondotto a una macchina di Turing. I principi su cui si basa sono quelli della logica booleana. Nell’ambito della teoria dell’informazione classica vale la tesi di Church-Turing, che afferma che ogni computatore… dove con computatore si intende anche un agente umano che svolge dei calcoli usando carta e penna, cioè usando risorse finite e avendo accesso a una porzione finita di spazio, come per esempio un foglio di carta finito… ogni computatore, dicevo, è una macchina di Turing. Modelli alternativi, che speravano di andare oltre il paradigma di Turing, non ci sono riusciti.
Insomma, si casca sempre nella macchina di Turing.
Oggi però conosciamo forse delle eccezioni. E’ il natural computing. In sostanza il DNA computer.
Che c’entra il DNA, scusa?
Questi sistemi usano delle porzioni di DNA fatte opportunamente interagire con degli enzimi. L’assemblamento spontaneo fa sì che si creino configurazioni corrispondenti alla computazione di qualcosa in un tempo molto più breve di quello necessario a un computer tradizionale. Questi sistemi possono operare in parallelo e vengono studiati dai logici, secondo alcuni dei quali introducendo dei nuovi assiomi questi modelli di computazione vanno oltre la tesi di Church-Turing. E tuttavia la tesi di Church-Turing è ancora considerata valida dalla maggior parte dei logici e dei filosofi della scienza e del linguaggio. D’altronde anche nella computazione tradizionale ci sono modelli di sistemi che operano in parallelo e per i quali si può dimostrare che possono essere simulati con una macchina di Turing.
E la meccanica quantistica dove entra in tutto questo?
David Deutsch, Charles Bennett e poi, in anni successivi, anche Seth Lloyd hanno formalizzato la definizione di macchina di Turing quantistica. Più precisamente, si è dimostrato che un circuito quantistico che opera su delle unità computazionali, i qubit, è equivalente a una macchina di Turing quantistica. Perciò anche qui c’è una paradigma, basato sulla formalizzazione in termini di gerarchie di tutti i modelli di computazione. La macchina di Turing è un modello universale, nel senso che è in cima a una gerarchia di modelli, chiamata gerarchia di Chomsky…
Chomsky… Chomsky?
Proprio lui: Noam Chomsky. La gerarchia di Chomsky è espressa in termini di macchine che accettano dei linguaggi. Al livello più basso ci sono automi a stati finiti. Questi automi accettano un linguaggio, che è espresso in un alfabeto. L’alfabeto contiene un numero finito di simboli, che a loro volta possono sempre essere scritti in termini di stringhe contenenti 0 e 1. Dopodiché un automa a stati finiti deterministico è il modello più semplice. Infatti processa l’input, una parola, cioè una stringa di lettere, operando su una lettera alla volta, e ti può dare una risposta “Sì” oppure “No”, quindi accetta quella parola se fa parte del linguaggio a priori. Tra quest’automa a stati finiti e la macchina di Turing ci sono alcuni altri modelli intermedi. La macchina di Turing comprende tutti i modelli di computazione che fanno parte della gerarchia: per questo è in cima alla scala. Ebbene, anche a livello quantistico ci sono proposte con gerarchie di automi con una macchina di Turing alla sommità. E naturalmente questa è una macchina di Turing quantistica. Nessuno l’ha ancora costruita, ma d’altronde una macchina di Turing può essere ottenuta adattando un qualsiasi computer che la simula.
Tu hai espresso delle perplessità sulla realizzabilità di un computer quantistico. Ma, per ipotesi, ammettiamo che una macchina siffatta esista. Sarebbe più potente di un computer tradizionale?
In realtà ancora non è chiaro se un computer quantistico sarebbe in grado di andare oltre la tesi di Church-Turing, quindi se la macchina di Turing quantistica sarebbe più potente della macchina di Turing classica.
Però, sfruttando la possibilità di operare parallelamente in tutti gli universi possibili…
Attenzione, perché il calcolo parallelo quantistico deve fare i conti con l’interferenza quantistica, che può far interferire in modo costruttivo o distruttivo le diverse alternative teoriche dei processi computazionali. E il risultato finale è di tipo probabilistico.
Ma se non ce la certezza del risultato… come faccio a fidarmi?
Stabilisci di accettare la risposta del computer quantistico ponendo, convenzionalmente, la probabilità a due terzi. Inoltre in certe circostanze puoi anche preferire una risposta non certa, solo probabilistica, ma in tempi molto più brevi di quelli possibili con un computer classico. Per esempio, si è dimostrato a livello teorico che con il più importante algoritmo quantistico, l’algoritmo di Shor, la fattorizzazione dei numeri primi può essere eseguita in un tempo che è la radice quadrata di quello necessario a un computer classico.
Ma a chi può importare di fattorizzare i numeri primi?
A tutti coloro che sono interessati alla crittografia! Infatti proprio lì sta una delle applicazioni più interessanti. Ci sono esperti di crittografia quantistica che, nell’ambito della conservazione e della trasmissione dei dati, collaborano come consulenti di enti governativi, militari, economici.
Allora il futuro della computazione quantistica sta nella crittografia?
Senza dubbio. Anche perché, se tu avessi un efficiente canale quantistico di comunicazione, potresti accorgerti se è penetrato un intruso che ha cercato di intercettare il tuo messaggio. La crittografia è sì un insieme di procedure con cui qualcuno deve rendere incomprensibile agli estranei il proprio messaggio, e deve farlo in un tempo ragionevole. Ma poi deve anche trasmettere al proprio destinatario il messaggio e la chiave. Il problema è che tutti i canali di comunicazione classici sono in teoria intercettabili senza che il ricevente se ne accorga. Mentre un canale di comunicazione quantistico che trasporta informazione quantistica possiede proprietà tali per cui il ricevente si accorge quando il segnale è stato intercettato da un intruso. A quel punto non può più farci niente, ma almeno è consapevole dell’avvenuta intercettazione e può perfino sospettare una manipolazione e decidere di non credere al messaggio ricevuto.
Usciamo ora dal tuo ambito di specializzazione e osserviamo la fisica nella sua globalità. Quali sono secondo te i grandi problemi aperti?
C’è la grande questione della Teoria del Tutto. La cui principale incarnazione nel presente è la teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe comprende al suo interno il Modello Standard delle particelle elementari, verificato con estrema precisione negli esperimenti con i grandi acceleratori. Tuttavia per verificare la presenza della proprietà battezzata supersimmetria richiede degli esperimenti nuovi, come quelli programmati con il Large Hadron Collider. Ecco, l’LHC potrebbe convalidare il quadro teorico della teoria delle stringhe oppure refutarlo.
Sì, ma della teoria delle stringhe è da un pezzo che si parla. Quasi mezzo secolo. Ce n’è voluto…
Al momento la teoria delle stringhe al di fuori del Modello Standard è puramente speculativa. Perciò si avvicina molto a un insieme di problematiche affrontate dai matematici puri. Tant’è vero che una ventina di anni fa i matematici coinvolti nelle dimostrazioni di alcuni teoremi della teoria delle stringhe hanno proposto alla comunità matematica di accogliere all’interno della disciplina questa cosa chiamata theoretical mathematics…
Theoretical mathematics: ma non è un pleonasmo?
La theoretical mathematics è un complesso di proposizioni in cui entrano anche componenti non completamente dimostrate con i metodi tradizionali della matematica, quindi in particolare quelle che i matematici chiamerebbero congetture. Fino a qualche anno fa le riviste di matematica non accettavano dei lavori scientifici che non fossero completamente validati, i cui risultati non fossero completamente dimostrati, mentre in quest’ambito più ampio si ammette la possibilità di accogliere su riviste scientifiche delle congetture di cui per il momento non c’è la prova nel caso più generale, ma che sono sostanziate da un grande numero di esempi positivi.
E tutto questo che c’entra con la fisica e la teoria delle stringhe?
C’entra, perché la teoria delle stringhe è altamente formalizzata dal punto di vista matematico e usa parti della matematica mai usate prima in fisica, come la geometria algebrica e l’analisi globale. La formalizzazione matematica della teoria delle stringhe avviene attraverso concetti e proprietà non dello spaziotempo fisico o dei campi fisici, ma di oggetti matematici che vivono in spazi astratti.
Qual è la tua opinione sulla polemica che negli ultimi anni ha toccato la teoria delle stringhe?
La teoria delle stringhe è, come ho detto, puramente speculativa. In anni recenti le si è contrapposta una visione diversa della geometria dello spaziotempo: quella della loop quantum gravity. In questa polemica sono apparsi anche dei blog che si occupano di confutare le teorie altrui o di mettere in rilievo le incongruenze della controparte. Entrambi i sistemi mirano a conciliare la teoria della gravità di Einstein con la meccanica quantistica. E’ una delle più grandi sfide intellettuali che ci siano. Però a me sembra che i due sistemi non siano comparabili. Perché comunque la teoria delle stringhe comprende dei modelli, come il Modello Standard, già validati dagli esperimenti e insieme comprende anche la teoria della gravità di Einstein. Inoltre c’è un abisso tra gli strumenti matematici impiegati.
Sembra di capire che tu creda piuttosto nella teoria delle stringhe…
Non ha senso “credere” in una teoria. Anzi, ti dirò di più: nella scienza il verbo “credere” proprio non dovrebbe avere cittadinanza. Una teoria ti può piacere, ti può appassionare, ma non devi mai dimenticare che “ogni scarrafone è bello a mamma sua”. (Ride.) Io non mi voglio schierare apertamente in questa polemica, anche perché non lavoro né nella teoria delle stringhe né nella loop quantum gravity. Penso che tutte le ipotesi da cui partiamo e le teorie che studiamo siano frutto di un’inclinazione personale. E dovremmo avere l’umiltà di non considerarle dei dogmi indiscutibili. In altre parole, c’è posto per tutti. A maggior ragione ricordando che stiamo parlando di teorie solo speculative, per il momento prive di effetti immediati sulla vita di tutti i giorni o sul miglioramento della tecnologia. Pertanto per il momento vanno trattate solo come modelli matematici più che vere e proprie teorie. E pertanto devono avere anzitutto una consistenza interna.
Saliamo ancora di livello e parliamo di genere, senza però perdere il contatto con la fisica. Riscontri differenze nel tuo modo di lavorare, come donna, rispetto a quello dei tuoi colleghi uomini?
Nella scelta dei temi direi di no. Tutti gli scienziati sono guidati anzitutto dalla curiosità. Poi, com’è ovvio, ci sono anche altre motivazioni, come la carriera, la fama, l’accettazione da parte della comunità scientifica. Però il fatto di essere donna implica, secondo me, soprattutto una maggiore attenzione verso l’ambiente umano circostante. Per esempio a me non piace lavorare da sola. Io devo interagire con i miei collaboratori, che siano colleghi più anziani oppure giovani ricercatori o dottorandi. Ecco, questa è per me la parte più divertente e più gratificante.
Ma quando ti concentri su un problema ti sembra di seguire un approccio differente rispetto a un uomo?
Secondo me non c’è un genio femminile, non c’è una vera differenziazione di genere. Ci sono però atteggiamenti diversi. Alcune persone vanno molto in profondità, lavorano in modo analitico su un singolo problema. Altre operano più sulla base di analogie, più in modo orizzontale, cercando di confrontare il problema studiato con problemi diversi per cercare sintesi e analogie. Ecco, io sono del secondo tipo. Tuttavia conosco scienziati uomini e donne sia del primo sia del secondo tipo, quindi non posso considerarla una differenza di genere. La differenza fondamentale, semmai, sta nel modo di porsi verso gli altri, come ho detto.
Anche tuo marito è un fisico teorico. Com’è la vita nella famiglia di due fisici teorici? Quali problemi, quali difficoltà emergono? C’è competizione oppure collaborazione?
La vita nella famiglia di due fisici teorici è… un inferno per nostra figlia. Tant’è vero che lei ha deciso di studiare Lettere. (Ride.) In realtà è piuttosto difficile separare l’ambito lavorativo da quello familiare. Quando lavoravamo insieme sugli stessi problemi avevamo spesso anche altri collaboratori, perciò il rapporto era mediato anche da altre persone. Ma abbiamo anche avuto sempre due modi diversi di lavorare, e questo ha fatto sì che non ci siano mai stati dei conflitti diretti. D’altronde per me la competizione è sempre stata sovrastata dallo spirito di collaborazione. Non me ne frega niente di mettermi in competizione con qualcuno. Non mi diverte.