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Chris Froome, Mont Saint-Michel e le ali che scacciano i demoni.

Creato il 10 luglio 2013 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Mont Saint Michel. Il suo profilo da isoletta delle favole, disegnato in oro, sullo sfondo rosso, lo vedo ogni giorno. E’ il simbolo dell’acqua di colonia che usava il nonno. Da quando non c’è più, me la sono portata a casa e nessuno ha il permesso di usarla. Mi ha fatto un certo effetto, oggi, vederla in televisione.

San Michele. L’ultimo contatto con il cielo francese ce l’ha lui: la statuetta dorata che sembra un po’ la nostra Madonnina del Duomo di Milano alla quale, invece, è stata data l’immagine dell’Arcangelo che ha il potere di scacciare i demoni.

Demoni. I ciclisti, come tutti gli uomini, hanno i loro e forse pedalano più forte per tentare di lasciarseli alle spalle. A Chris Froome, in questi giorni, i demoni, glieli hanno cuciti addosso e sono quelli più tremendi perché hanno le sembianze deformate del dubbio, dell’insinuazione. Chris va forte: in salita è incontenibile, lo scorso anno scalpitava perché il Capitano designato della sua squadra, sir Wiggo, non gli stava dietro; e a cronometro è la fusione dell’uomo con la macchina. Alto, magrissimo, con la faccia da ragazzino e quel sorrisetto tra il simpatico e l’enigmatico, sudafricano dalla pelle chiara e gli occhi tra il verde e l’azzurro ha l’indole da leader. Leader vero, di quelli che si fanno seguire anche senza una sola parola.

E questo Tour de France è sempre più il suo: forse lo aspettava e lo sognava da troppo tempo. Non è stato scritto pensando a lui, i percorsi non li hanno disegnati sulla sua pelle da corridore. E’ stato Chris stesso che ha deciso di mettere il suo nome su questa centesima edizione. Lo sta facendo senza fronzoli, senza presunzione ma con decisione. Eppure, quando l’uomo sta per realizzare sogni alti, c’è sempre chi si chiede se la scala che sta usando per arrivare in cima sia regolamentare.

Chris, dopo aver fatto cose mirabolanti la scorsa settimana, si è ritrovato, nel giorno di riposo, a far fronte alle mille domande su di lui: “Come mai è così forte?”, “Come riesce a dare quei distacchi?” “Quelle medie sono tutte farina del suo sacco?
Demoni del dubbio che fanno fatica ad andare via dalla testa della gente. Demoni che assomigliano a quelle chiacchiere che, di bocca in bocca, riescono a diventare, magicamente, certezze.
Ma Froome, con un sorriso un po’ più teso, oggi si è attaccato il numero uno, ha messo la sua tutina gialla da crono, è salito sui rulli con le cuffie nelle orecchie e si è preparato alla sua gara. Sua, sì. Perché le cronometro non c’entrano niente con la squadra e con tutto il resto. E’ un viaggio intimo che finisce solo quando la classifica di tappa si ferma. Un viaggio silenzioso, dove i sogni bisbigliano e le paure urlano. E’ sempre così, quando si è soli, in un mondo che applaude e ringhia allo stesso tempo.

E’ partito per ultimo, con il chiodo fisso di prendersi ancora più secondi e con il desiderio proibito di superare il primo: Tony Martin, iridato a Valkenburg, re delle prove contro il tempo, che con una media costante e impressionante, ha formato un baratro tra la sua ruota e quella degli avversari.
Chris è veloce e piegato sulle protesi della bicicletta è un tutt’uno con il vento e la strada. I due intertempi sono sbalorditivi: riesce a fare meglio di Martin, mette davanti al suo tempo dorato e irraggiungibile, due secondi che sembrano minuti. Corre Chris, e sembra volersi lasciare tutto alle spalle, pensare solo a pedalare. E’ quello che conta. E’ curvo e concentrato e forse non vede, là in fondo, la sagoma dell’isolotto con San Michele che brilla, sulla guglia più alta. E’ lassù e segna un traguardo, un arrivo: un po’ come la Madonnina nel sole che fa sentire i milanesi a casa.
Nell’ultima curva perde qualche secondo, una piccola distrazione forse, una piccola sbavatura umana. Basta questa per essere il numero due. Tony Martin è imbattibile ancora una volta ma non importa: Chris ha ancora più salda la sua maglia gialla.

Brilla anche nella notte, illuminata dalle luci artificiali, la statuetta sull’ultima guglia, dell’isola che sembra quella delle fate. Brilla come ultimo baluardo sicuro prima del mare scuro. Brillano gli occhi di Froomy, come lo chiamano gli amici. Oggi, forse, le insinuazioni, sono un poco più lontane e i Campi Elisi un poco più vicini.
E’ vero, i ciclisti non hanno spade per lottare contro i demoni, solo biciclette e il loro sudore. Non sono angeli e non hanno ali, i ciclisti, ma sanno che, tante volte, la strada che percorrono può portarli verso un traguardo che assomiglia sempre a un piccolo pezzo di paradiso.

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