non è con sentimento neutro che ho letto la notizia dell’uccisione di bin laden.
so bene che il mestiere del tiranno o del capo terrorista ha, fra i suoi “effetti collaterali” quello di essere ucciso.
so che la storia è costellata di prese della bastiglia con conseguente decapitazione di re e regine, di gaetani bresci, di prese del cremlino e di piazzali loreto.
so che la folla, inebriata dalla voglia di libertà, può uccidere il despota.
so anche che un anarchico, un ribelle, un bombarolo, può un giorno impugnare una pistola e fare fuoco contro la carrozza.
so anche che capita pure che a dallas una donna vestita di rosa si giri disperata verso il marito colpito a morte da una finestra nelle vicinanze.
lo stesso non riesco a provare sollievo.
lo stesso mi fa paura una folla che alla notizia che dei soldati (emissari quindi di uno stato, di uno stato regolare e democratico) hanno ucciso un uomo, per quanto bestia feroce quest’uomo sia stato, si raduni e scandisca “USA, USA!” davanti alla casa presidenziale, mi fa paura la frase “verrà esposto il corpo”, mi fa pensare a un turpe trofeo di guerra.
so che esiste un limite fra la civiltà e la barbarie, che l’occidente ha avuto, a partire dal secolo dei lumi, una tradizione che, passando per cesare beccaria, ha distinto quello che noi chiamiamo “società civile”.
e so anche che il rubicone, il confine, la linea netta di non demarcazione per chiamarsi civile passa anche dal ripudio della giustizia sommaria, dal ripudio della pena di morte.
a scandalizzarsi per gli innocenti condannati son buoni tutti.
è tempo di scandalizzarsi per i colpevoli.
perchè noi non siamo come bin laden, o per lo meno non lo eravamo, fino a questa notte, fino a guantanamo, fino ad abu graib, fino all’arresto di saddam hussein, e forse, purtroppo, potrei continuare molto, molto a lungo.
è tempo di tornare uomini.
e di rinunciare ai caporali.