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Ci sono altre storie

Da Marcofre

L’arte, in certe circostanze, scuote gli animi mediocri, e interi mondi possono essere rivelati loro dai suoi interpreti più grossolani.

Lo scriveva Flaubert. In questa piccola frase c’è tutto, e quindi non dovrei affatto star qui a indicare cosa c’è di buono, e cosa di ottimo. Uno degli elementi positivi risiede in questo: questo scrittore non predica, non dice cosa c’è da fare, quali sono le regole, i trucchi… Forse lo avrà fatto in un’altra circostanza. Ma prima di tutto, è necessario capire che lavoro c’è da portare avanti.

Flaubert è perfettamente conscio che l’arte non funziona sempre, ma solo “in certe circostanze”. Ci sono un tal numero di variabili che è impossibile avere la certezza che usando l’arte, il singolo abbandonerà la mediocrità. Può accadere, ma alla fine l’ultima parola spetta all’individuo. E come si sa, spesso le cose facili hanno un fascino irresistibile.

Ogni autore che abbia scelto di fare un certo tipo di narrativa ha sempre finito col parlare di arte. Qui non si tratta di essere snob, di darsi un tono perché si è pubblicato e allora diventa necessario segnare una sorta di confine.
Da questa parte i lettori, dall’altra gli artisti.

In realtà, nella solitudine della sua riflessione, l’autore fissa i cardini, e procede in una direzione precisa: rivelare interi mondi. Molta della letteratura che ho letto, non rivela mondi, non ha intenzione di farlo. Sono storie impeccabili, scritte con in testa un preciso pubblico, e un altrettanto preciso scopo. Di solito riescono nell’obiettivo: ottengono successo. Non amo questo tipo di letteratura, però sarebbe da folli ignorarla oppure disprezzarla. La leggo ogni tanto. C’è qualità, cura e attenzione.

Mi richiama alla mente un’imbarcazione che solca le acque del mare: impeccabile.

Ma è nelle profondità che si nasconde la vita. E la si raggiunge proprio con l’arte. Ma sono pochi coloro che scelgono di precipitarsi in quelle acque. Perché è tutto maledettamente complicato, vero?

Semplificando.

Molte storie presentano un problema, e il resto delle pagine (magari 500), sono utilizzate per risolvere quel certo problema. Che può essere sgominare una banda di terroristi, svelare un complotto che dura da secoli, eccetera eccetera. Il lettore legge, e alla fine è soddisfatto perché trova la soluzione. Il premio c’è, è chiaro e comprensibile, e si è soddisfatti.

Ci sono altre storie dove se viene presentato il problema, alla fine manca la soluzione. Il lettore resta disorientato perché è stato abituato che una storia non è altro che un rompicapo da risolvere, e d’un tratto di trova tra le mani un dannato cubo di Rubik. Non sa cosa farci. Come affrontarlo.

Se leggo “Moby Dick”, alla fine cosa ho in mano? Un mare di morte. Melville voleva offrire una soluzione? Se questo era il suo intento, occorre riconoscergli che è riuscito a mancare l’obiettivo in modo sublime.

L’arte, in certe circostanze, scuote gli animi mediocri, e interi mondi possono essere rivelati loro dai suoi interpreti più grossolani.

L’unico modo di sopravvivere, e capire qualcosa, è riconoscere una natura diversa in certa narrativa. La soluzione potrebbe essere quella di evitare ogni aspettativa, e invece di andare alla ricerca della soluzione capace di chiarirci ogni cosa, leggere la storia. È necessario cioè spogliarsi dei pregiudizi, e comprendere che alcune storie non forniscono affatto le risposte. Ma formulano le giuste domande. Dovrebbe essere impegno del lettore prenderne atto e provare a scovare qualche soluzione. Da qualche parte là davanti, nella sua vita.


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