Il professor Keating lascia l’aula, stavolta davvero, e in piedi sui banchi ci sono milioni di persone, molte delle quali cresciute con le battute de L’attimo fuggente stampate nella mente, fra commozione e ricordi. La notizia della morte di Robin Williams (1951-2014) è arrivata all’improvviso sollevando grande tristezza perché sono in tantissimi ad aver riso con lui, truccati da Mrs Doubtfire o duellanti con Capitan Uncino, col naso rosso di Patch Adams o nel Vermont, iscritti al collegio Welton. La possibilità che sia stato un suicidio, poi, rende l’addio ancora più amaro, anche se questo straordinario attore capace di entusiasmare i bambini di tutto il mondo gli occhi malinconici, a ben vedere, li aveva sempre avuti. Quasi che i sorrisi che strappava a milioni fossero tutti un magnifico tentativo di resuscitare il proprio, quello che le telecamere non riprendevano ma dalla cui esistenza, prima che la carriera di una star, dipendeva la vita di una persona.
La cocaina di cui arrivò a fare uso, i due divorzi e la depressione degli ultimi tempi stanno lì a dimostrare che la vita di Robin Williams, purtroppo, è stata diversa da quella dei personaggi che interpretava così bene, capaci sempre di trovare il buono, il positivo o, più semplicemente, un motivo per sorridere. Eppure, anche adesso che l’incantesimo è finito nessuno se la sente d’ipotizzare che, in realtà, i suoi fossero solo bei film, lampi, effimeri gioielli cinematografici. Perché in quelle scene semplici ma geniali ci sono sprazzi d’infanzia e gioventù, le volte che abbiamo riso di gusto senza pensare a nulla, le volte abbiamo sognato di avere una star di Hollywood per amico; non muscoloso come Rocky o avventuriero come Indiana Jones, ma straordinariamente vicino, in grado di capirci al volo. Il professor Keating lascia l’aula, stavolta davvero, e in piedi sui bianchi siamo milioni, ognuno con una storia diversa ma tutti con lo stesso grazie.