La questione razziale continua a tormentare il pianeta-NBA: dopo le intercettazioni di Donald Sterling e la vendita miliardaria dei Los Angeles Clippers, Bruce Levenson e Danny Ferry hanno strappato alla FIBA World Cup 2014 le headlines delle testate giornalistiche statunitensi con le loro frasi al vetriolo. Gli Atlanta Hawks sono finiti nell’occhio del ciclone e, per un curioso riflesso condizionato del sistema americano, nel bel mezzo del mercato sportivo; le loro vicende concedono parecchio credito alla teoria marxista secondo la quale la storia si ripete almeno due volte, la prima con le tinte oscure della tragedia e la seconda nelle linee comiche della farsa. Le prese di distanza degli altri dirigenti e le richieste di condanna dei colpevoli soddisfano gli appetiti perbenisti dei responsabili delle relazioni pubbliche e dei creatori delle splendide campagne di promozione pubblicitaria che la Lega diffonde in tutto il mondo, ma non tolgono le ombre che il silenzio omertoso dell’establishment proietta sulle condotte dei suoi protagonisti. Le apparenze antirazziste sono salve, ma quale sarà il destino delle sostanze? L’NBA sarà in grado di estirpare un male che accompagna la società americana da più di due secoli con le sue politiche comunicative e con le purghe dei suoi membri meno presentabili?
L’E-MAIL DI LEVENSON
La seconda bolla razziale dell’estate americana esplode nel pomeriggio del 7 settembre. L’azionista degli Atlanta Hawks Bruce Levenson annuncia al mondo che ha deciso di auto-denunciarsi al Commissioner Adam Silver poiché il 25 agosto del 2012 si è reso responsabile di un’azione inaccettabile: al termine di una riflessione sulle condizioni dell’organizzazione, ha inviato allo staff dirigenziale un’e-mail che non si allineava alle politiche della Lega cestistica più famosa del mondo, ma ammiccava ai pregiudizi dei “bianchi del Sud”. Secondo Levenson, le ottime scelte dei responsabili del marketing non trovavano adeguate corrispondenze al botteghino della Philips Arena poiché la presenza di un gran numero di spettatori neri teneva lontani i veri clienti-obiettivo dell’organizzazione, i bianchi benestanti compresi fra i 35 e i 55 anni d’età. Agli occhi dell’azionista, le cheerleaders afroamericane, la musica hip-hop e il contesto black rendevano pressoché invendibile il prodotto sportivo e limitavano l’espansione del basket professionistico nel tessuto connettivo della città della Coca-Cola.
Poco più di due anni dopo l’invio di questo messaggio, Bruce Levenson ha annodato il cilicio mediatico alla sua cintura e ha messo in vendita le quote degli Atlanta Hawks. Dopo la tempesta georgiana, Adam Silver ha manifestato il suo disappunto per la recrudescenza razziale e ha benedetto la cessione del pacchetto azionario, ma ha riconosciuto lo spirito collaborativo di Levenson e ha offerto il massimo sostegno al dirigente che avrà il compito di gestire la difficile transizione della franchigia, Steve Koonin.
Anche se le polemiche cominciavano ad accendere i media, le sorprese non erano finite…
LA TELEFONATA DI FERRY
Poche ore dopo l’esplosione dello scandalo-Levenson, il mondo NBA ha dovuto fare i conti con un singolare caso di whistle blowing: Michael Gearon, uno dei proprietari degli Atlanta Hawks, ha deciso di mettere nei guai il suo principale avversario all’interno della franchigia, il General Manager – ed ex-giocatore NBA – Danny Ferry.
La pietra dello scandalo? Una dura intercettazione telefonica: secondo Adrian Wojnarowski di Yahoo! Sports, Gearon attendeva da tempo un’occasione di riscatto poiché Levenson e Ferry erano riusciti a relegarlo in una muta minoranza all’interno della dirigenza. Il dente avvelenato dell’azionista ha morso il nervo scoperto del suo General Manager e ha sfruttato il lato più ingenuo e focoso del suo carattere: nel corso di una telefonata, Gearon ha chiesto a Ferry alcune indicazioni sui principali free-agent dell’estate e ha cercato di capire se Luol Deng fosse una pedina accattivante per gli Hawks. Il GM, che aveva trattato con profondo interesse ma senza successo l’ex-stella dei Bulls e dei Cavs, ha lasciato spazio alla frustrazione e ha vomitato una serie di stereotipi razziali: secondo la versione di Wojnarowski, la voce di Ferry ha inciso sulla memoria esterna del registratore di Gearon il profondo legame fra l’imprevedibile inaffidabilità di Deng e le sue radici sudanesi:
“Ha ancora un po’ di africano in sè. Non necessariamente in modo cattivo ma è come una persona che ha un bel negozio di facciata ma che nel retro bottega ti vende merce di contrabbando… È un doppiogiochista bugiardo ed incline al tradimento.”
Il paragone fra l’ala sudanese e le “facce menzognere degli africani che vendono oggetti contraffatti” ha moltiplicato l’intensità del ciclone-Levenson e ha proiettato un’ombra di mistero sugli Atlanta Hawks. Quando i media hanno cominciato a trasmettere il contenuto della sua telefonata, Danny Ferry ha espresso il suo disappunto per l’espansione virale di una vicenda distorta: il General Manager ha dichiarato che le frasi incriminate non erano il frutto del suo pensiero, ma alcuni semplici topics estratti dagli scouting reports che circolano nelle stanze segrete dell’ambiente NBA. Mentre le prime perizie vocali sul nastro smentivano l’autodifesa di Ferry, la dirigenza degli Hawks ha annunciato che prenderà provvedimenti importanti nei confronti del GM, ma ha confermato la validità del suo contratto e ha incassato l’approvazione di Adam Silver: il Commissioner ha ribadito la condanna delle esternazioni razziste, ma ha ricondotto la vicenda nell’alveo delle dinamiche interne alla franchigia e ha manifestato il suo ottimismo per la felice risoluzione della vicenda. Intanto Ferry ha deciso di prendersi un periodo indefinito di assenza dalla franchigia:
In a statement from CEO Steve Koonin, the Hawks announce Danny Ferry is taking an indefinite leave of absence: http://t.co/hXLG2JVass
— Atlanta Hawks (@ATLHawks) 12 Settembre 2014
Fiducia ragionevole o auspicio titubante? I prossimi sviluppi offriranno una prospettiva più completa e dipaneranno alcuni misteri, ma l’immagine patinata della Lega rischia di essere travolta dalla sua realtà quotidiana. Basterà l’interessamento all’acquisto della franchigia che la leggenda “locale” Dominique Wilkins ha manifestato nelle ultime ore a ristabilire l’armonia del brand NBA sotto i cieli della Georgia?
OMERTÀ E DENUNCE
Le vicende di Bruce Levenson e Danny Ferry riaprono il discorso etico ed economico che il clamoroso caso-Sterling aveva lanciato all’inizio dell’estate. I movimenti dei free agents e la FIBA World Cup hanno distolto l’attenzione dell’opinione pubblica dagli scandali per qualche settimana, ma la dolorosa recrudescenza mediatica della questione razziale ha riproposto le annose questioni dell’omertà e del whistle blowing: per quale motivo un solido azionista di maggioranza ha deciso di fare pubblica ammenda in queste circostanze? Appare piuttosto difficile escludere l’ipotesi che l’Atlanta Spirit LLC – la holding che controlla gli Hawks – stia cercando di vendere la franchigia tre anni dopo la cessione dei Thrashers (NHL). SB Nation ha ricordato la trattativa che Levenson e i suoi colleghi avevano avviato con l’imprenditore della ristorazione Alex Meruelo nell’estate del 2011: la vendita delle azioni non era avvenuta poiché il potenziale acquirente non voleva farsi carico delle tasse di garanzia che l’NBA richiede a tutti i suoi proprietari. Le vicende dell’estate e la cifra mostruosa – intorno ai 2 miliardi di dollari – che Steve Ballmer ha versato nelle casse dell’astuto Donald Sterling per rilevare i Los Angeles Clippers potrebbero aver convinto Levenson che fosse giunto il momento di sondare nuovamente il mercato e di pulire gli hard-disk degli archivi dagli “scheletri digitali” per evitare che gli acquirenti facessero leva sui loro predecessori o denunciassero le loro malefatte, ma un anonimo dirigente dell’Olympic Tower non si è limitato a biasimare il consiglio degli Hawks: le sue parole hanno messo in dubbio la reale volontà di collaborare che Levenson ha manifestato al Commissioner e hanno suggerito ai commentatori un ponte fra la vicenda-Ferry e lo strano pentimento dell’azionista. Questo link è favorito da un altro interrogativo stringente: perché Michael Gearon non ha mai denunciato i contenuti dell’e-mail incriminata? Se il razzismo avesse veramente ferito la sua coscienza, non avrebbe permesso che le parole di Levenson restassero mute nella memoria virtuale della sua casella posta: più che un whistle blowing, il suo atto assomiglia a un tentativo machiavellico di recuperare l’influenza perduta grazie agli errori altrui. L’unica certezza di una delle vicende più grottesche della storia cestistica americana risiede tra le mura della Philips Arena: è difficile pensare che Steve Koonin e i futuri acquirenti pianifichino una re-location prima del 2018/2019 poiché il contratto di utilizzo dell’impianto di Atlanta prevede una penale molto salata in caso di abbandono anticipato. Il business dello sport a stelle e strisce leggerà con attenzione questa provision.
MORALE E DENARO
Le vicende di Atlanta confermano che le inquietudini dell’estate angelena innervano l’intero sistema sportivo americano: per più di vent’anni i proprietari NBA hanno accettato la compagnia di Donald Sterling anche se conoscevano benissimo le sue idee razziste. La vendita dei Clippers ha fruttato all’ex-avvocato matrimonialista una cifra incredibile e ha lavato le coscienze della Lega con l’unico battesimo che l’establishment non rifiuta mai: l’unzione del denaro. Gli scenari descritti in precedenza dipingono nubi nere sull’orizzonte morale dell’America sportiva: il puritanesimo della società a stelle e strisce pretende condanne e accetta dollari.
Per fortuna c’è il campo, per fortuna mancano solo cinquanta giorni alla prima palla a due, per fortuna il futuro si gioca (anche) sul parquet.