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'cidenti, mi tocca parteggiare per Renato Soru

Creato il 18 settembre 2010 da Zfrantziscu
Ma guarda un po' che s'ha da fa': mi tocca difendere Renato Soru, ed è già la terza volta, dalla intellighentsia più statalista del suo partito, il Pd. La prima volta fu quando lo sbertucciò per aver voluto la Limba sarda comune, la seconda fu quando, nel febbraio del 2009, la stessa intellighentsia lo costrinse a togliere la lingua sarda dal suo programma elettorale. (. Adesso che, insieme a un folto gruppo di consiglieri del suo partito ha presentato una mozione – la ottava – sulla riforma dello Statuto sardo è sotto attacco di uno dei maggiori intellettuali democratici, Guido Melis, che oggi lo maltratta su La Nuova Sardegna, quotidiano cui va riconosciuto il merito di aver sottratto la questione dal silenzio cui sembrava destinato.Tralasciando per un attimo la questione politica del rimbrotto, l'articolo di Melis si segnala per questa affermazione “storica”: “... deprecando la frettolosa rinuncia del 1847 (avete capito bene: proprio del 1847), quando con la fusione perfetta i sardi rinunciarono alla antica autonomia del Regnum Sardiniae per aderire al giovane Stato piemontese”. Da deputato qual è, Melis può anche essere storicamente grossolano, ma si dà il caso che egli sia Professore ordinario di Storia delle Istituzioni politiche. Gli studenti dovrebbero chiederne l'allontanamento dalle aule universitarie, visto che da quelle parlamentari non possono, ricordando al loro professore che gli sciagurati delegati di tre città sarde chiesero (pentendosene subito dopo) la perfetta fusione della Sardegna – non del Regnum Sardiniae, che sciocchezza – con gli stati di terraferma del Regno di Sardegna. Aderire al giovane Stato piemontese”?. Ma può un docente di storia delle istituzioni, sia pure fatto a deputato, piegare al suo furore ideologico proprio la storia delle istituzioni? Lo Stato fu stato sardo fino al 17 marzo 1861, quando diventò Stato italiano e mai piemontese. Ancora nel 1859 – dodici anni dopo quei fatti – Cavour e Napoleone III fecero un accordo a Plombères tra “Sardegna e Francia”, di cui, senza disturbare i testi di storia, si trovano comode notizie su Wikipedia. Semplicemente (e sciaguratamente) il Regno di Sardegna si trasformò, in quel 1847, da stato federale in stato unitario.Se le premesse del ragionamento stanno qui, immaginate il resto. Che può essere riassunto in questo alto pensiero, rispettoso di stati come la Lituania e Malta, Cipro e Cechia e altri “staterelli”, repubbliche delle banane: il mondo sta andando sempre più rapidamente verso la globalizzazione e davanti a stati come la Cina o l'India, gli staterelli non contano un piffero. Giusto, accidenti. Si smantelli lo staterello Italia, che vuoi che contino 60 milioni contro il miliardo e mezzo dei cinesi e il miliardo e duecento milioni di indiani? Racconta una barzelletta cinese: “Ci sono gli italiani che protestano contro la Cina” dice uno e l'altro risponde: “In quale albergo sono scesi?”Ma lasciamo le frivolezze storico.geografico-nazionaliste. Interessante è la piega che hanno assunto la mozione Soru e più, quella di Felicetto Contu, Dedoni e Cuccu e quella di Zuncheddu, Uras, Sechi, Massimo Zedda (vedi sul blog Sette mozioni per lo Statuto sardo). Insistono sulla necessità di revocare la perfetta fusione del 1847 e quindi sulla revoca della costituzione, allora, dello Stato unitario sardo poi trasformatosi in Stato unitario italiano. Secondo il diritto costituzionale, come ricorda Francesco Cesare Casula e riprende la mozione del Pdl, “l'attuale Stato italiano non è altro che l'antico Regno di Sardegna, profondamente mutato nella sua struttura politica e non meno mutato nei suoi confini territoriali. Tutte le trasformazioni che si ebbero, dall'antico Regno di Sardegna ad oggi, furono trasformazioni interne...”. Credo che persone sperimentate come i firmatari delle tre mozioni abbiano piena consapevolezza che, revocando la perfetta fusione, l'adesione dunque allo Stato unitario sardo, si revoca l'adesione allo Stato italiano, figlio del primo. E poi dice che la storia non serve. Serve, serve, tanto è vero che Guido Melis non ha timore di mistificarle.
PS – C'entrano nulla, ma sono notizie in grado di procurare terribili mal di pancia, come stanno facendo, ai santoni del nazionalstatalismo. In Sicilia, il presidente della Regione trova normale – come per decenni è capitato in Catalogna – fare un governo in Sicilia diverso e contrario a quello italiano che pure si appresta ad appoggiare. Il che sta innescando la volontà di un leader siciliano del partito di Berlusconi di costituire un partito siciliano, sempre di centro destra.  

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