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Cina e Corea del Nord: come difendersi dalla “Primavera Araba”?
Creato il 30 giugno 2011 da Bloglobal @bloglobal_opidi Giuseppe Dentice
Sono passatisei mesi dall'inizio delle rivolte che stanno sconvolgendo il panoramaarabo-meditarraneo. Le proteste vibranti di questi giorni che stannopreoccupando le oligarchie al potere nei regimi dell'area MENA (Middle Eastand Northern Africa), hanno prodotto apprensione anche in Estremo Oriente.Più precisamente Cina e Corea del Nord sembrano essere seriamente preoccupatedagli eventi in corso e, nonostante gli sforzi a valutare la situazione come“normale” o, comunque, sotto il controllo delle autorità competenti, ci sonoepisodi singolari che non fanno ritenere i due Paesi totalmente disinteressatidalle vicende in corso. Ovviamente, i timori di questi regimi risiedono nellapaura che il contagio rivoluzionario possa attecchire anche al loro interno. Adogni modo, alcuni episodi significativi fanno capire quale nervosismo serpegginei regimi sino-nord coreano.
In Cina, per timore che la protesta attecchisca nelle regioni con unafolta comunità islamica (il Sichuan e lo Xinjiang), il governo centrale diPechino ha proibito la produzione del gelsomino, prodotto tipico cinese, anchedi esportazione, causando danni notevoli all'economia agricola nazionale. Nonsoddisfatto, il governo di Pechino ha anche proibito l'utilizzo del vocabolo,mettendolo “all'indice” in quanto la sola parola potrebbe essere ritenuta unapericolosa associazione di idee con le rivolte in corso nel Maghreb e nelMashreq e che, quindi, potrebbe generare una coscienza rivoltosa tra lapopolazione. Inoltre, Pechino ha adottato una duplicestrategia per fronteggiare eventuali proteste nel territorio. Una prima prevedeil “pugno di ferro” dinanzi a qualsiasipotenziale “fomentatore di disordini": il 20 febbraio scorso 200 persone aPechino e un altro centinaio a Shanghai hanno manifestato contro il regime dicensura del governo. La polizia cinese ha risposto con fermezza e ha disperso earrestato alcune decine di manifestanti. Il messaggio pertanto risulta chiaro:il regime non accetterà nessuna protesta, anzi questa verrà dispersa nellamaniera ritenuta più appropriata. La seconda parte della strategia governativaprevede un giro di vite dello Stato contro intellettuali e difensori deidiritti umani. Il più noto fra questi è l'artista Ai Weiwei, che è statoarrestato all'inizio di aprile, ma che pare sia stato rilasciato lo scorso 23giugno. Pechino giustifica tali azioni con la necessità di preservarel'esistenza stessa dello Stato.
In Corea del Nord la situazione non è migliore. Infatti, come riferitodal Chosun Ilbo, il maggiore quotidiano sud coreano, lo scorso 14febbraio sarebbero avvenute delle proteste nelle cittadine di Jongju, Yongchone Sonchon, nel Nord Ovest del Paese, vicino al confine con la Cina: queste sarebbero statedovute alla scarsezza delle forniture elettriche e alla crisi alimentare cheattanaglia il Paese. Come riportato dalla Korean Central News Agency(KCNA), l'agenzia di stampa ufficiale nazionale, Pyongyang si sarebbe lamentatadella campagna “psicologica” che Seul starebbe conducendo nell’area, lanciando,cioè, volantini sul territorio nord coreano per informare la popolazione diquanto sta avvenendo nel mondo arabo. La Corea del Nord ha accusato Seul di sabotaggio,minacciando anche azioni di rappresaglia se non venissero immediatamenteinterrotte tali azioni. La Coreadel Nord vede nella “Primavera araba” un forte pericolo alla propria stabilitàinterna e al potere personalistico di Kim-Yong Il.
Come sostenuto di recente anche dalla stampa sud coreana, sia Pechinosia Pyongyang sembra stiano correndo ai ripari per prevenire qualsiasi protestainopportuna. Infatti, sia nel vertice sino-nord coreano, avvenuto lo scorso 25maggio a Pechino tra il Presidente cinese Hu Jintao e il leader nordcoreano KimJong Il, sia nel viaggio a Pyongyang del Ministro cinese della Pubblica SicurezzaMeng Jianzhu, si sarebbero discusse le misure più idonee da adottare inentrambi i Paesi per prevenire qualsiasi manifestazione contro i regimi.L’obiettivo di Pechino e Pyongyang sarebbe quello di impedire la diffusione diinformazioni relative alle rivolte che si stanno verificando nella regione MENAattraverso il blocco totale dei media nazionali e internazionali e di qualsiasisistema di comunicazione che non venga verificato dall'interno dei rispettivi Paesi.In Corea del Nord, ad esempio, è stato già sospeso il noleggio di telefoniniagli stranieri, richiedendo la consegna di ogni dispositivo di comunicazione almomento dell’ingresso nel Paese e che sarà poi restituito solo una voltapartiti. Da parte sua Pechino ha risposto con il blocco totale di internet edei social network, rei di propagandare idee libertarie e contrarie allastabilità della grande patria cinese.
Ma sarebbe realmente possibile una “Primavera sino-nordcoreana”? E inche modo tale processo potrebbe influenzare gli scenari regionali einternazionali? L'ipotesi di una rivolta popolare che porti alla caduta di entrambi iregimi sembra essere difficilmente ipotizzabile, poiché vi sono numerosi fattoriche contribuiscono a conferire una relativa tranquillità ai rispettivi governi.Innanzitutto, a differenza dei regimi arabi – spessodescritti come dittature feudali e personalistiche, preoccupate di perpetuareil proprio potere e a non investire sul benessere del loro popolo, conconseguente stagnazione economica – i regimi di Pechino e Pyongyang sembranoassomigliare a delle fortezze difficilmente inespugnabili, ma allo stesso temporisultano essere molto diversi. La Cina è una nazione con un grande benessere nelle città emolta povertà nelle campagne. Lo Stato cinese dispone di una grande ricchezzaperché favorito da un processo decisionale collettivo, da un assenza dimonopolio sul potere individuale e da una rete di base del partito comunistacinese molto ampia. Il successo e la superiorità cinese possono essere misuratedalla prosperità economica rapida e dal migliore tenore di vita medio deicittadini e dalla capacità dello Stato di rispondere rapidamente alle necessitàdella popolazione, come avvenuto con il terremoto del Sichuan del 2008 in cui i soccorsi e lasuccessiva ricostruzione sono stati molto celeri. La Corea del Nord, invece, èuna realtà quasi arcaica e incredibilmente povera. Al di là dei proclami diPyongyang sul proprio nucleare, il Paese è attanagliato dalla morsa di unadifficile carestia che sembra non avere fine.
Tutta l'area asiatica, nel corsodegli anni, è diventata complessivamente più democratica grazie all'aumentomedio della ricchezza pro-capite. Stati come Taiwan e Indonesia hannoattraversato con successo le transizioni democratiche. Anche Malesia eSingapore stanno attraversando un periodo di liberalizzazioni politiche chestanno rendendo le società sempre più aperte alla democrazia. Pertanto,un'instabilità in due aree così strategiche e politicamente rilevamenti sarebbeun lusso talmente tanto grande che nessuna potenza continentale o mondialepotrebbe permettersi. Anche gli Stati Uniti che cura grandi interessi con iPaesi ASEAN non potrebbe accettare un indebolimento della Cina rischiando diprocurare danni, di converso, anche alla propria economia visto che i Cinesisono i primi finanziatori del debito pubblico statunitense. Ma lasciare la Cina abbandonata a se stessasignificherebbe, inoltre, creare un caos totale in una porzione di mondotalmente tanto grande da avere ripercussioni dirette in tutta l'Asia Centrale eSud Orientale dando via libera a movimenti indipendentisti di varia estrazione.Allo stesso modo, indebolire la Corea del Nord significherebbe invadere gli interessistrategici cinesi nell'area.
La Real Politik, però, prenderebbe il sopravvento egarantire lo status quo diventerebbe la necessità primaria allastabilità mondiale, per evitare effetti domino ben peggiori di quelli chestanno ridisegnando la geografia politica araba. Ad ogni modo, le protestefanno emergere le vere criticità dei regimi. Infatti, le sfide per la stabilitàdella Cina e della Corea del Nord non risiedono nelle rivolte popolari, comeinvece avvenuto nel Vicino Oriente, da parte di coloro che rimanevano esclusidal sistema politico esistente, bensì nella capacità di rinnovamento delproprio sistema di leadership e nel suo modo di dialogare con lapopolazione, cogliendo le richieste e intervenendo in maniera incisiva perbloccare sul nascere qualsiasi tipo di protesta. La vera domanda che in realtàdovrebbero porsi questi regimi é la seguente: se questi regimi mantengono laloro popolazione povera e isolata rischiano di trovarsi in casa una rivoltasullo stile arabo. Però se questi regimi portano prosperità e ricchezza allapropria gente quale sarebbe invece il rischio in cui incorrerebbero? Andrebberocomunque incontro al disfacimento di uno Stato?Sono risposte che difficilmentetroverebbero una spiegazione univoca, ma un tentativo forse andrebbe fatto daquesti regimi per evitare loro il peggio. Forse la Cina con “Tienanmen” (1989),ovviamente con le dovute proporzioni e differenze, ha conosciuto una stagioneche l'ha portata ad essere quella che è oggi pur non essendo una democrazia insenso stretto. La Coreadel Nord, invece, non ha mai conosciuto una stagione di cambiamento eprobabilmente mai la conoscerà a causa del potere personalistico eonnicomprensivo della famiglia Kim, che spesso ha preferito mantenere ilproprio potere barattando il benessere del proprio popolo e lasciandolo incondizioni di povertà estrema.
Ad ogni modo, pur non essendoci, al momento, reali condizioni dicambiamento, la possibilità di nuove manifestazioni popolari potrebbero esserealla lunga un primo fattore di cambiamento anche in una porzione di mondo incui la censura e l'oppressione dei regimi è totale sulla vita delle persone.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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