Lo scorso 5 giugno il Vice presidente cinese Xi Jinping, uno dei candidati più accreditati alla successione di Hu Jintao, ha incontrato il Presidente cubano, Raul Castro. Questa notizia, trascurata dalla maggior parte del mondo dell’informazione, e che di per sé rappresenta soltanto l’ultimo anello della catena diplomatica tra i due Paesi, sottolinea in realtà – e se mai vi fossero dubbi – l’ampiezza del mondo multipolarizzato, ma, soprattutto, l’importanza assunta in quest’ultimo dalle relazioni Sud-Sud, non solo in un contesto economico, ma evidentemente anche in una prospettiva politica e strategica.
Nel corso dell’incontro a l’Avana, i due governi hanno firmato 13 nuovi accordi economico-commerciali. Pechino esporta autobus, locomotive, strumenti per l’agricoltura e beni di consumo; Cuba risponde esportando prevalentemente zucchero di canna. L’interscambio tra i due Paesi, per il 2010, si aggira intorno ai 1.800 milioni di dollari, 300 milioni in più rispetto al 2009. In pochi anni, la Cina ha scavalcato la Spagna nel volume degli scambi con il Paese caraibico, attestandosi come il principale
partner commerciale dopo il Venezuela, e dopo il Canada e la Spagna, appunto. Ma le relazioni commerciali sono solo un punto delle più estese ed importanti relazioni bilaterali: Cuba, infatti, offre molte opportunità dal punto di vista degli investimenti energetici, su cui la Cina punta molto e per i quali finanzia progetti per milioni di dollari. Durante la permanenza sull’isola, infatti, Xi Jinping, ha visitato alcuni pozzi petroliferi situati nella costa nord dell’isola che vengono attualmente sfruttati dalla compagnia “Gran Muralla” – una filiale della China National Petroleum Corporation (CNPC) – a cui l’ente petrolifero statale cubano Uniòn Pètroleo de Cuba (CUPET) ha affidato la perforazione di vari pozzi. Proprio le due aziende di Stato, e grazie soprattutto agli investimenti cinesi, hanno in progetto la riabilitazione, la modernizzazione e l’espansione della raffineria meridionale di Cienfuegos – raffineria che si occupa del processo dei barili di grezzo provenienti dal Venezuela e amministrata dall’azienda Cuvenpetrol, insegna a Cuba dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) – un progetto che costerà circa 6 milioni di dollari e che aumenterà le capacità di raffinazione da 65mila a 150mila barili giornalieri, oltre alla produzione di gas liquido. Così anche l’ammodernamento della raffineria di Matanzas è un altro macro-progetto che verrà finanziato dalla Cina, con garanzie venezuelane, e nel quale potrebbero partecipare imprese europee, ad incominciare da quelle spagnole.Cuba rientra in questo senso in un più ampio progetto di penetrazione economica/energetica della Cina nell’area caraibica, soprattutto se si considera la rilevanza geo-economica che riveste l’intero Golfo del Messico, in cui si realizzano progetti di esplorazione e perforazione da parte della spagnola Repsol, della malaysiana Petronas, e dell'indiana Oil and Natural Gas Corporation Limited (Ongc). Per questo motivo, fin dal 2003, Pechino ha stanziato circa 500 milioni di dollari per la costruzione a Moa (nella parte orientale dell’isola) di una centrale di produzione e lavorazione di ferro-nichel (questo settore, oltretutto, è sempre più in rapida crescita, tanto da generare profitti per circa 800 milioni di dollari, addirittura più dello zucchero) e per l’esplorazione dei giacimenti situati nei pressi di San Felipe (nella provincia di Camagûey). A distanza di vent’anni dalla ripresa dei rapporti diplomatici – interrottisi durante gli anni della crisi sino-sovietica durante la quale Cuba si schierò dalla parte dell’Unione Sovietica – i rapporti tra i due Paesi sembrano, dunque, nella loro fase più positiva. Dopo il dissolvimento dell’URSS, riallacciare i rapporti con Pechino fu quasi una scelta in un certo senso obbligata per Fidel Castro che necessitava di sussidi economici per risollevare la disastrata situazione economica. Il sostegno, soprattutto dopo l’ingresso del Dragone nella World Trade Organization (WTO), non è tardato ad arrivare: la Cina ha erogato aiuti economici ad interessi molto bassi o anche senza interessi; ha istituito facilitazioni per la liquidazione del debito, che hanno permesso a l’Avana di sviluppare programmi economici e sociali; ha fondato numerose joint venture con le imprese cubane e ha creato le premesse per l’apertura nei prossimi anni di negoziati in numerosi altri settori (cultura, educazione, salute, scienza e tecnologia); in ultimo, ma non per ultimo, i due governi hanno intensificato gli scambi militari e lo stesso Fidel ha da sempre dichiarato il supporto alla causa di riunificazione del popolo cinese, non solo per quanto riguarda Taiwan, ma anche il Tibet e lo Xinjiang. Dal canto suo la Cina, nel corso della 64esima Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha per la 18esima volta votato a favore della cancellazione dell’embargo USA nei confronti dell’isola caraibica.
Proprio questo reciproco sostegno nelle questioni internazionali fa riflettere sulle strategie politiche del colosso asiatico, che partono da una dimensione puramente regionale ma che hanno ricadute, anche, su un piano globale (come accade, per esempio, anche per ciò che riguarda la crescente penetrazione cinese nel continente africano) e che la pongono, evidentemente, in diretta concorrenza/contrasto con gli Stati Uniti, e non solo per quanto riguarda le perforazioni di fronte alle coste della Florida. Sorge dunque spontaneo domandarsi se il ruolo odierno della Cina nell’area cubana può essere paragonato a quello dell’Unione Sovietica negli anni della Guerra Fredda. Di fatto, il progresso delle relazioni bilaterali, la forte interconnessione economico-finanziaria, una visione ideologica comune fanno pensare ad un’area di scambio che possa aprire la strada ad una nuova epoca di cooperazione politica tra Pechino e l’Avana. Resta tuttavia ben inteso che, almeno per il momento, la Cina non ha alcun interesse e alcuna intenzione a cercare uno scontro con gli USA.
Piuttosto, comunque, si tratta di un’ennesima dimostrazione di forza dell'affermazione cinese che Washington non deve sottovalutare, così come l’intera rete dei rapporti che Pechino intrattiene con il Sud del mondo e in particolare con quell’intera area latinoamericana che tenta di legittimare la propria via definitivamente indipendente, alternativa e concorrenziale agli Stati Uniti. E infatti, al termine della visita di Xi Jinping, anche il Presidente venezuelano Chavez si è recato a l’Avana: in cantiere la creazione di una scuola di formazione delle Forze Armate dell’ALBA, “un paso histórico para construir una doctrina latinoamericanista, indipendentista, de paz”, che abbia come alleato fondamentale, plausibilmente, proprio il gigante asiatico.
Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università degli Studi di Siena)