Cinema e psicoterapia: In treatment, la paziente del martedì, Dario.
Per quanto riguarda Dario, mi piace sottolineare questi due punti:
1. Competizione al massacro con il padre.
2. Essere un paziente sfidante.
Competizione al massacro con il padre. Mi è capitato in questi anni di seguire figli di imprenditori, schiacciati dal fatto di avere padri perfetti, riusciti, geni dell’economia. In questa terra (provincia di Reggio E. e Modena), alla fine degli anni 90 si è vissuto un ricambio generazionale nelle aziende. Spesso si trovava il padre, fondatore, creatore dell’azienda, che schiacciava il figlio, giovane rampollo, screditato agli occhi dei dipendenti, che doveva fare quello che il padre aveva deciso per lui. E’ vero anche, che il figlio, tante volte, arrivava a lavorare in azienda, dopo aver goduto di ricchezze, agevolazioni, percorsi scolastici disastrosi, privilegi economici e non, qualche volta sul versante opposto stressanti gavette e prove di forza, che lo rendevano sofferente con un’IO inadeguato, senza autostima, molto arrabbiato con il mondo, frustrato, sfidante, incapace di affrontare le verità del padre. Questo modello relazionale, si ritrova anche in altre famiglie (padri dirigenti, attori famosi, avvocati, notai, medici, psicologi, ma anche operai, impiegati) nei casi in cui questi non riescano a vivere il proprio successo professionale (reale o costruito), in maniera relazionale, accettando il punto di vista del figlio, accogliendo le differenze, riconoscendo con umiltà i propri limiti, piuttosto che in modo narcisistico/onnipotente. Tutto questo trasmette Dario. Il padre giudice, lui poliziotto, destinato comunque vadano i fatti di vita a perdere, nonostante il coraggio di azioni pericolose, la capacità di vivere un lavoro al limite, pericoloso e dissociante. E’ nella competizione, è nella struttura relazionale, è nell’idea narcisistica, il fallimento di questo personaggio aggressivo, sfidante, falsamente sicuro di sè, ma realmente fragile e perso, incapace di gestire le relazioni affettive.
2. Con tutto questo bagaglio, con tutto questo carico di richiesta a se stesso e al terapeuta, arrivano i pazienti simil-Dario. L’idea è quella di superiorità e di sfida. Tu (terapeuta) non sei niente, il modello relazionale è simile a quello avuto negli anni nella sfida con il padre. Devo conoscerti per controllarti, per batterti, per stabilire che sei debole, perchè devo avere un ritorno psicologico, una compensazione alla mia battaglia persa. Almeno con te, nella relazione terapeutica, devo vincere. Il terapeuta sente la sfida, sente questa continua messa in discussione della terapia, del modo di condurla, del modo di esprimersi. Non so se fidarmi. Sei sempre sotto esame. Non so se mi fiderò mai di te. Che in qualche modo equivale al non so se mi fiderò mai di me stesso. E ancora, ti provoco perchè devo farti arrabbiare, devo valutare se tu riesci ad amarmi nonostante tutto, se tu non fai come mio padre, deluso da me come sua estensione, parte di Se’ fallata da eliminare… Potete capire che questo tipo di terapia si vive sul filo del rasoio, sulla continua messa in discussione, su alti, veramente alti e bassi distruttivi, feroci. Non esistono regole e confini, ma un continuo ridefinirsi: un braccio di ferro che si spera possa sfociare in un uniamo le nostre mani i nostri muscoli, non per difendere la nostra anima, ma per verificarne le ferite, curarle ed infine utilizzare quelle parti di psichicità, che si disperdevano in una lotta fantasmatica con il padre, che reggevano quella maschera assurda, come nuova fonte di possibilità.