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Cinema: opificio, arcipelago e molecola

Creato il 15 marzo 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Cinema: opificio, arcipelago e molecola

Il cinema è l’arte che più di tutte è dipendente dalla struttura tecnologica che la produce e la diffonde. Dietro un film non c’è solo il genio di un artista, ma una vera e propria industria che impiega uomini, mezzi e capitali. E anche dopo la realizzazione, il film necessita di un apparato logistico che lo distribuisca capillarmente in ogni città, in ogni sala. Tale notevole impiego di risorse ha profondamente modificato anche l’oggetto film.

Nelle cinematografie mainstream, che impiegano ingenti risorse, ogni film è considerato soprattutto come un prodotto commerciale che deve far rientrare in fretta i capitali investiti e produrre profitti. Una delle conseguenze più dirette di tale approccio economico-industriale è la costruzione del concetto di film-evento. Per film-evento voglio intendere quella proposta commerciale che l’industria del cinema offre allo spettatore, invitandolo a considerare la visione come un gesto festoso, straordinario, in grado di caratterizzare uno spazio di tempo superiore alla durata del film e che produca una soddisfazione oggettiva, chiaramente definibile, a tal punto prefigurabile da poter essere commercialmente acquistabile. Lo stesso costo del biglietto è determinato in modo da essere paragonabile ad altri eventi di intrattenimento edonistico-sensibile.

Una tale concezione economica ha prodotto effetti sul contenuto e la forma dei film mainstream che tendono a proporsi come spettacoli ‘eccezionali’, in grado di produrre un tangibile effetto emotivo sullo spettatore: riso, pianto, paura. Emozioni forti e ben distinte che il fruitore acquista con il pagamento del biglietto. Tale visione economicista è riscontrabile anche nel layout delle sale cinematografiche delle grandi catene di distribuzione: lo spettatore viene risucchiato in sala (previo passaggio attraverso eventuali punti vendita) con un opportuno anticipo, funzionale all’assorbimento del maggior numero possibile di spot pubblicitari (alcune multisala dichiarano l’orario di proiezione con un anticipo anche superiore ai 20 minuti), la visione del film viene interrotta per la vendita di generi di conforto (ma non è così stancante vedere un film!) e, appena terminata la proiezione (possibilmente prima della conclusione dei titoli di coda), lo spettatore viene espulso dalla sala il più rapidamente possibile attraverso cunicoli freddi, spogli e bui che lo scaricano in strade secondarie, distanti dall’ingresso principale, come un indesiderabile prodotto di scarto. È una chiara logica industriale che identifica la sala cinematografica come un opificio, funzionale alla produzione del più ampio profitto possibile e che è alla continua, affannosa ricerca di novità tecnologiche (ultima il 3D) che giustifichino l’esistenza di strutture di visione-produzione (di profitto) in cui attrarre lo spettatore-pagante (ma, a prescindere dalle motivazioni poco nobili, a questo modello va riconosciuto il merito di aver introdotto il sonoro, il colore, il cinemascope, il dolby stereo, etc).

Contro tale visione è possibile immaginare un altro modello di distribuzione, che chiamerei ad arcipelago, formato da sale cinematografiche pensate come isole del cinema. Distribuite capillarmente sul territorio, magari anche di piccole dimensioni, ma che offrano la possibilità di arricchire l’esperienza della visione cinematografica attraverso l’offerta di un valore aggiunto, sia sotto forma di selezione critica delle pellicole proposte in visione (ogni sala opera una selezione, l’importante è dichiararne i principi), sia come una possibilità di espansione della capacità critica mediante strumenti di approfondimento (spazi di discussione, materiali di approfondimento, connessione con altre esperienze, etc). Queste isole-cinema non dovrebbero essere autoreferenziali all’interno del territorio, ma interagire con il tessuto urbano, a differenza delle multisala-opifici che rassomigliano a cattedrali del profitto nel deserto delle zone industriali. All’interno di questo arcipelago-cinema rientrano anche i cineclub, che possono ancora svolgere un ruolo di orientamento ed educazione alla visione, anche di pellicole fuoriuscite o mai entrate nei maggiori circuiti distributivi. In questo modello di distribuzione alternativo è indispensabile che il prezzo di fruizione sia più contenuto di quello ordinario, non solo per favorire il più ampio accesso, ma anche per incarnare la consapevolezza che una visione cinematografica non deve essere considerata un’esperienza occasionale ma deve poter essere fruita, se desiderato, anche con intensa frequenza. Lo spettatore munito di tale consapevolezza non chiederà di acquistare emozioni all’ingrosso, ma potrà cogliere tutte le sfumature culturali, emozionali e informative, e concepirà la visione non solo come un bene il cui godimento comporta un pagamento che deve onorare, ma anche come un’operazione di esplorazione e di ricerca.

Se il modello arcipelago non potrà usufruire di un proprio spazio distinto rispetto all’opificio, allora l’alternativa sarà offerta esclusivamente dal modello molecolare, ovvero la visione individuale sul proprio monitor personale (TV, PC, tablet, smartphone, etc) di film prevalentemente scaricati dalla rete. Questa opportunità offre senz’altro la possibilità dell’esplorazione culturale, in quanto è prevalentemente gratuita anche se è continuamente minacciata da tentativi di censura operati dalle majors cinematografiche. In questa opzione molecolare si ha il massimo di libertà ma, molto spesso, anche il minimo di educazione alla visione. Un esempio che dimostra le ‘devianze’ indotte dal modello molecolare è l’esistenza dello spettatore bulimico che guarda una quantità innumerevole di film, magari ancora circolanti in sala, nella barbara modalità della versione ripresa furtivamente attraverso una videocamera. La presenza di un ampio numero di tali spettatori dimostra che, pur ritenendo opportuno garantire uno spazio di visione liberato dall’assillo mercantile, c’è necessità anche di altri spazi di compensazione culturale.

Nonostante tutte queste insidie, il cinema sopravvive e non smette di affascinare, noncurante delle minacce che su di esso incombono. Magico, inutile, fantastico, ossessionante. Forse senza futuro, ma il futuro è sempre un’altra storia che neppure i più esperti (anzi, soprattutto loro) sono mai riusciti a prevedere.

Pasquale D’Aiello


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