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Sono sempre stata un carboidrato complesso, a rilascio graduale, lenta a carburare, quanto da assimilare. Percio', anche se avrei davvero voluto venire qui e raccontarvi come mi stavano andando le cose, anche se, sinceramente, continuavo a ripetermi quotidianamente "nei prossimi giorni scrivo un post" , alla fine, senza accorgermene, ho lasciato passare i giorni, le settimane, i minuti, che sono infine diventati 50 giorni. 50 giorni, ma soprattutto 50 notti, senza dire una parola. Il che è cosa quanto mai inusuale per una bulimica verbale come la sottoscritta.Ma, ripeto, sono un carboidrato, un whiskey invecchiato, un prosciutto (di tofu) stagionato; ho bisogno di tempo. Tempo per capire dove sono, chi sono adesso che tutto è cambiato, capire cosa ci faccio qui e dove diavolo sto andando.In questa lunga, involontaria, autocensura, non ho capito nessuna di queste cose, ovviamente, finendo - come tutti quelli che si fanno questo genere di domande - per approdare ad una quantità tendente a infinito di domande della stessa portata, e col medesimo numero di risposte con cui ero partita (zero).Pero', pur avendo accumulato una quantità di domande che mi preparo a smaltire nel corso di interminabili sedute di autoterapia, celate sotto la fuorviante etichetta di "post", sono riuscita a scolpire vagamente i giorni, a smussare gli angoli accrocchiati delle strade di Bruxelles e quelli aggrovigliati e appuntiti dei miei pensieri, ritrovandomi alla fine di questi 50 giorni con qualcosa che inizia ad assomigliare ad una vita.
L'impressione, per lungo tempo, è stata quella di aver inavvertitamente preso un gap spazio-temporale mentre tronavo a casa dalla vecchia libreria, a Firenze, ed essere caduta dentro la vita di qualcun altro, prendendone il posto. Che, anche se non sembra, non è ua cosa necessariamente negativa, solo incredibilente strana. La vita, il lavoro, le persone, l'insieme di cose che ammassate l'una sull'altra, costituicono - dettaglio più, dettaglio meno - la banalità del quotidie della maggior parte dei comuni mortali, hanno richiesto una presenza immediata, imperativa, impegnativa; cosi' ho dovuto fare di necessità virtù, affidandomi ad un uso smodato di ciò che costituisce, oltre che risorsa insostituibile, uno dei pochi pregi di cui posso farmi fregio: la flessibilità. Così mi sono lanciata in quest'ammasso di cose nuove, cercando di andare con la corrente senza arenarmi nè intasare la circolazione, infilandomi nel flusso senza bloccarlo. E ora, nonostante le cose che ancora mancano all'appello siano milleuna, mi scopro presente a me stessa, a questa città, con le cose che non so ma che trovo il modo di aggirare con le poche che so, con il francese, che scava sottili capillari di conoscenza nel mio cervello, con la dimestichezza di alcuni luoghi, di alcuni movimenti, con la spavalderia di chi impara mentre fa, con l'umiltà necessaria affinchè questa spavalderia serva a qualcosa, e con il parlato e il sentito che finalmente sono tornati completamente in sincrono.E' una bella sensazione.Perciò, anche se ultimamente scrivo solo la mattina, in metro verso il lavoro, anche se la mia alimentazione ha subito un crollo della qualità dei pasti, anche se non dormo mai abbastanza e il tempo se lo porta via il vento, so che aggiusterò il tiro in corsa, come è accaduto per le altre cose, anche per queste, troverò un senso di marcia che sia quanto meno affine a quello terrestre. Servirà ancora un po' di tempo, oltre che il costante impegno, ma una cosa per volta, tutto andrà a posto.Ne sono certa.
Vi abbraccio, come se fossi lì.E, anche se non so fare promesse, tornerò presto, statene certi.
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