Diventare vegetariana è stato per me uno di quei percorsi a cui da tempo ero già arrivata, mentalmente, ma che per qualche ragione ancora non affermavo a me stessa e agli altri. Dopo anni di riflessioni poco attente su questo argomento – senza profondità, lo ammetto, ma con sentimento – ricordo che davanti a una cena di carne non ho più potuto fingere che le cose non stessero come stavano.
So che molti diventano vegetariani rifiutandosi di mangiare qualcosa che aveva un cuore che batte e gli occhi che fanno da porta dell’anima. Anche per me è stato così, anche se dopo la sera in cui mi fermai a pensare che stavo mangiando “una cosa che aveva gli occhi” passo ancora un po’ di tempo prima che la mia scelta mi portasse a un percorso vegetariano serio. Eppure a casa mia carne non ne entrava più da tempo. Era a casa dei miei che mi arrendevo senza neanche comunicare i miei pensieri agli altri, di fronte alla tavola imbandita. Un pomeriggio, poi, un gazebo di un’associazione animalista attirò la mia attenzione: stava spiegando ai passanti come vengono trattati gli animali prima di morire per diventare “cibo” per gli umani. Ricordo benissimo che raccattai confusamente tutta la documentazione che c’era sul banchetto, e per due giorni mi chiusi a casa a “studiare”.
«Da domani – mi dissi – non mangerò più carne. Non posso più farlo». Avevo detto a me stessa “da domani” perché proprio quel giorno ero invitata a pranzo dal sindaco di Gratteri per le conclusioni di una manifestazione di Legambiente per la tutela dei beni culturali siciliani, alla quale avevo preso parte. A pranzo c’erano le fettuccine al ragù. Ne mangiai meno di mezzo piatto. Per la prima volta pensai che in quella salsa c’era il sangue dei miei fratelli animali. Era aprile del 2005: da quel giorno non ho mai più assaggiato carne, né pesce.
Io non credo che questo sia un percorso che si possa “imparare”, non credo che chi si sente pronto per questo “salto” sia migliore o più maturo. Credo solo che sia una strada che ha bisogno dei giusti tempi per essere percorsa. Bisogna maturare il distacco dalla carne, che non è un fatto automatico, e capire che un tempo quella carne palpitava di vita e che non è stata creata da un impasto inerme per essere mangiata. Era viva. Aveva una coscienza. Dal mio punto di vista aveva un’anima e, di certo, sensazioni e sentimenti. E’ per questo che non potrei – e non vorrei – tornare indietro. Spero siano sempre di più a capirlo. Col cuore, perché col cervello certe cose non si possono cogliere.