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Ciò che rimane del Partito Democratico.

Creato il 24 aprile 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Cronaca di un suicidio mai annunciato. Fino a gennaio sembravano una coalizione compatta, fortificata dalle primarie e diretta a grandi falcate verso il governo del paese. Poi le prime crepe, la rimonta elettorale di Berlusconi che andava consumandosi di giorno in giorno. Con le politiche di fine febbraio arriva quella disfatta che non ti aspetti, un colpo di vento che scoperchia la casa di paglia e che ne mina per sempre le fondamenta. Sembrava l’apogeo della crisi, il peggio doveva ancora arrivare. Dopo quasi due mesi di stallo e di trattative mai realmente iniziate, la situazione si inasprisce ulteriormente tanto da non poter tornare più indietro. Il Partito Democratico si squaglia come neve al sole in occasione della nomina alla presidenza della Repubblica, sbagliando in ogni occasione possibile . Se è vero che le vittorie hanno tanti padri ma la sconfitta una madre sola, il grande responsabile della disfatta democratica è l’ormai ex segretario Bersani, mai del tutto capace di gestire e conciliare una struttura divisa in mille e una correnti che hanno scambiato le elezioni presidenziali per contarsi e misurare le loro forze all’interno del partito.

L’errore di Bersani sta nel giorno uno, nell’aver appoggiato Marini e non Rodotà. Una scelta di campo che il PD ha pagato a caro prezzo, un preferire ancora il palazzo alla piazza ma soprattutto un segnale di chiusura nei confronti dei Cinque Stelle, disponibili a sedersi al tavolo delle trattative qualora la sinistra avesse appoggiato il loro candidato. Tutto il resto è semplice conseguenza, dai 101 franchi tiratori che la mattina applaudono la candidatura di Prodi e il pomeriggio lo tradiscono, fino all’ultimo disperato appello a Napolitano. Viene da sé anche la resa incondizionata verso il Caimano, dettata dalla consapevolezza di non avere la forza e le capacità per gestire da soli la macchina governativa. Larghe intese dunque, anche se con Enrico Letta premier: magra consolazione, perché la prossima tornata elettorale vedrà, a meno di clamorose sorprese, il PdL nuovamente alla maggioranza. Il popolo voleva rinnovamento&trasparenza, le risposte del Partito Democratico sono sotto gli occhi di tutti.

Nel PD, ora, le praterie. Il ruolo di segretario è vacante, e con esso quello di presidente. I grandi vecchi per la prima volta si dimostrano pronti ad affidare il timone a Renzi, colui che solo pochi giorni fa era inviso a tutta la direzione ma che, allo stato attuale delle cose, è l’unico collante possibile. In attesa del prossimo congresso, che con tutta probabilità verrà anticipato ad inizio estate e darà al sindaco di Firenze le chiavi della struttura democrat, all’assemblea di ieri per la prima volta Renzi ha ricevuto segnali positivi da Franceschini, Veltroni, persino da D’Alema, con cui è in atto una pace armata. A sostegno del rottamatore anche Matteo Orfini, leader dei temuti giovani turchi, che nella giornata di ieri aveva addirittura avanzato l’ipotesi di Renzi Presidente del Consiglio fin da subito.
Per affrontare la tempesta prevista per i prossimi mesi il sindaco di Firenze sembra essere l’uomo giusto, più per i consensi trasversali che ha dimostrato di poter raccogliere che non per affinità elettive con lo zoccolo duro del partito. Molto probabile se non certo il duello con Enrico Letta in caso di Primarie, francamente l’esito della sfida pare molto scontato.

Articolo di Matteo Fontanone.

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