Il volume di David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, è un testo, prima di ogni altra cosa, lucido e sincero. E non è pregio da poco, per un saggio, che esce nel nostro Paese per i tipi di IlSaggiatore, nella collana La Cultura, con la traduzione di Francesca De Chiara, e si propone come una riflessione eclettica e stimolante. Per di più, considerando l’estrema attualità presa in esame, anche se non solo quella, tanto più si verifica l’aderenza al tempo presente del saggio di Harvey.
E, del resto, anche solo a scorrere con rapidità la bibliografia in italiano dell’autore, si ritrovano titoli eloquenti, da La crisi della modernità a Breve storia del neoliberismo, da L’esperienza del capitale a L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza. Harvey, geografo di formazione ma, più ancora, storico, sociologo e politologo di vocazione, è considerato lo studioso che, negli ultimi anni, più e meglio di altri ha saputo riprendere in mano, con onestà e accortezza, le tesi marxiste classiche, evidenziandone limiti e mancanze, sottolineandone punti di forza, e applicandole a una nuova critica al capitalismo globale e al neoliberismo. In questo senso, Città ribelli è un esempio quasi paradigmatico del pensiero di Harvey. L’idea di fondo è molto semplice, quasi elementare: bisogna partire da un nome, e da un anno. Il nome è quello, celebre, di Henri Lefebvre, e l’anno è il 1967, con l’uscita del primo volume dell’opera Il diritto alla città.
Ma cosa è il diritto alla città? Un «tipo di diritto collettivo», di certo, ma non basta, poiché è necessario capire cosa è davvero la città, e come formalizzare i processi, le direttrici che informano questa entità, così familiare alle nostre concezioni, eppure, a volte, tanto “aliena”. Dunque Harvey chiama in causa Robert Park, sociologo urbano, che definisce la città come «il tentativo più coerente e nel complesso più riuscito da parte dell’uomo di plasmare il mondo in cui vive in funzione dei propri desideri».
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E, in fin dei conti, risiede proprio in ciò la gustosità del saggio di Harvey, che ricostruisce e riflette allo stesso tempo, partendo da lontano, senza dubbio, e utilizzando qualche categoria che è necessario padroneggiare per comprendere il senso generale dell’operazione critica, ma riuscendo in scioltezza a condurre una sorta di storia, seppure anomala, dei reclami manifestati in giro per il mondo, sul diritto a “riavere” indietro gli spazi delle città.
In questa prospettiva, delle due grandi sezioni in cui il volume è suddiviso, la seconda, che dà anche il titolo al saggio, la fa da padrone e dimostra, e crediamo ce ne sia ancora bisogno, che sul terreno delle rivendicazioni, Marx, Occupy, anticapitalismo. liberismo, lotta di classe urbana, no-global, si incontrano, e scontrano, anche se spesso senza la piena consapevolezza, “storica” diremmo, che questo stia accadendo.
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