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“Città ribelli” di David Harvey

Creato il 12 settembre 2013 da Sulromanzo
Autore: Alessandro PuglisiGio, 12/09/2013 - 11:30

Città ribelliIl volume di David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, è un testo, prima di ogni altra cosa, lucido e sincero. E non è pregio da poco, per un saggio, che esce nel nostro Paese per i tipi di IlSaggiatore, nella collana La Cultura, con la traduzione di Francesca De Chiara, e si propone come una riflessione eclettica e stimolante. Per di più, considerando l’estrema attualità presa in esame, anche se non solo quella, tanto più si verifica l’aderenza al tempo presente del saggio di Harvey.

E, del resto, anche solo a scorrere con rapidità la bibliografia in italiano dell’autore, si ritrovano titoli eloquenti, da La crisi della modernità a Breve storia del neoliberismo, da L’esperienza del capitale a L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza. Harvey, geografo di formazione ma, più ancora, storico, sociologo e politologo di vocazione, è considerato lo studioso che, negli ultimi anni, più e meglio di altri ha saputo riprendere in mano, con onestà e accortezza, le tesi marxiste classiche, evidenziandone limiti e mancanze, sottolineandone punti di forza, e applicandole a una nuova critica al capitalismo globale e al neoliberismo. In questo senso, Città ribelli è un esempio quasi paradigmatico del pensiero di Harvey. L’idea di fondo è molto semplice, quasi elementare: bisogna partire da un nome, e da un anno. Il nome è quello, celebre, di Henri Lefebvre, e l’anno è il 1967, con l’uscita del primo volume dell’opera Il diritto alla città.

Ma cosa è il diritto alla città? Un «tipo di diritto collettivo», di certo, ma non basta, poiché è necessario capire cosa è davvero la città, e come formalizzare i processi, le direttrici che informano questa entità, così familiare alle nostre concezioni, eppure, a volte, tanto “aliena”. Dunque Harvey chiama in causa Robert Park, sociologo urbano, che definisce la città come «il tentativo più coerente e nel complesso più riuscito da parte dell’uomo di plasmare il mondo in cui vive in funzione dei propri desideri».

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David Harvey
Con questa acquisizione alle spalle, sebbene ancora attualissima, è possibile mettere in piedi il secondo, e ultimo, e più importante, pilastro che è alla base della riflessione di David Harvey. Se la città è uno strumento per impiegare (in parte) il plusvalore generato dal sistema capitalistico per sua natura, sembra lampante come l’urbanizzazione, nelle sue varie espressioni e nella sua capacità, più o meno pronunciata, di rappresentare uno spazio confortevole, abitabile, “positivo” dal punto di vista esistenziale, ricopra in questo modo un ruolo centrale nell’assetto economico e geopolitico. Tanto più che vengono tirate in ballo due figure, Georges-Eugène Haussmann e Robert Moses, genii, a loro modo, che, in luoghi e tempi diversi, hanno contributo con forza alla trasformazione urbana di due città come Parigi e New York. E basterebbe solo citare, en passant, la vicenda dei famigerati “ponti di Moses”, che non permettevano agli autobus di passarvi, per renderci conto di come la geografia, l’architettura, l’urbanistica, non siano scevre da considerazioni sulla socialità e sull’interclassismo.

E, in fin dei conti, risiede proprio in ciò la gustosità del saggio di Harvey, che ricostruisce e riflette allo stesso tempo, partendo da lontano, senza dubbio, e utilizzando qualche categoria che è necessario padroneggiare per comprendere il senso generale dell’operazione critica, ma riuscendo in scioltezza a condurre una sorta di storia, seppure anomala, dei reclami manifestati in giro per il mondo, sul diritto a “riavere” indietro gli spazi delle città.

In questa prospettiva, delle due grandi sezioni in cui il volume è suddiviso, la seconda, che dà anche il titolo al saggio, la fa da padrone e dimostra, e crediamo ce ne sia ancora bisogno, che sul terreno delle rivendicazioni, Marx, Occupy, anticapitalismo. liberismo, lotta di classe urbana, no-global, si incontrano, e scontrano, anche se spesso senza la piena consapevolezza, “storica” diremmo, che questo stia accadendo.

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