I Rohingya, apolidi senza speranza
Le Nazioni Unite lanciano un appello agli Stati membri di firmare le due convenzioni del 1954 e del 1961 che cercano di creare un quadro legale per gli apolidi. Un rapporto Onu denuncia, infatti, che nel mondo ci sarebbero almeno 12 milioni di persone senza cittadinanza e, per questo, senza diritti.
«Queste persone hanno un bisogno disperato di aiuto perché vivono in un limbo legale», commenta António Guterres, capo dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (Unhcr). «Gli effetti della marginalizzazione di interi gruppi genera grandi tensioni nelle società e a volte è fonte di conflitto».
A causa della loro condizione di apolidi queste persone vanno incontro ad una serie di problemi pratici tra cui il diritto alla proprietà, il matrimonio legale o la registrazione all’anagrafe dei figli. Questo fa in modo che la loro situazione si perpetui anche alle nuove generazioni. Alcuni di loro spesso incorrono anche in periodi di detenzione in quanto non possono dimostrare la propria identità o provenienza.
Solo 66 Stati hanno firmato la Convenzione del 1954 che stabilisce minimi standard di trattamento nei confronti degli apolidi e solo 38 aderiscono alla convenzione del 1961 che delinea un quadro legale per garantire i loro diritti. Recentemente vi hanno aderito Turkmenistan, Filippine, Panama e Croazia.
Un popolo può diventare apolide per diverse ragioni quali la disgregazione di uno Stato, come l’Unione Sovietica o la Yugoslavia, o la creazione di nuove nazioni dopo l’indipendenza coloniale. Ad esempio sono popoli senza cittadinanza i Rohingya in Myanmar, i gruppi Rom in Europa e il popolo Bidoon negli Stati del Golfo.
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