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CJ7 (2008) di Stephen Chow

Creato il 28 febbraio 2010 da Close2me

CJ7L’ultima fatica di Chow, uscita in Italia direttamente per il mercato home video, conferma nella sostanza quello che si era sospettato ormai da tempo: Chow è il più grande regista cinese vivente. Immenso non solo per la sua originale sensibilità visiva e narrativa, che capovolge la funzione fantascientifica del digitale conducendola verso soluzioni scenicamente incredibili, ma soprattutto per il suo personale talento capace di coniugare un linguaggio complesso (amalgama di cinema classico, di genere e citazionista) con la natura popolare e squisitamente universale del cinema commerciale.
“Ti (Stephen Chow) e suo figlio Dicky (Xu Jiao), orfano di madre, cercano di sopravvivere in onestà nonostante il lavoro umile del padre e la retta scolastica non irrisoria dell’istituto in cui Ti manda il figlio affinché possa avere possibilità migliori delle sue. Ti è anche in debito con un capo della Triade, semplicemente chiamato Boss (Chi Chung Lam), il quale gli ha prestato i soldi per pagare il funerale della defunta moglie. Dicky vive nella conseguente povertà causata dal minuto salario mensile del padre, proprio lui un giorno cerca di comprare qualche giocattolo al figlio per distrarsi un po’. Ti non riesce a comperare nessun gioco, e così comincia a rovistare nella spazzatura, proprio qui trova un simpatico peluche che porta subito in casa. Col passare del tempo, Ti e Dicky scoprono che il simpatico pupazzo è in realtà un essere animato giunto dallo spazio, e che i suoi simili lo stanno ricercando”
A fior di pelle si potrebbe liquidare tutto con l’etichetta di nuovo “ET orientale”, tuttavia questo soltanto per chi, in maniera prevenuta e limitata, identifica nel cinema-luna park americano il debole modello di riferimento. L’opera, mai come nei precedenti capolavori del regista (Kung Fu Hustle e Shaolin Soccer in primis) brilla di una poesia così pura da lasciare spiazzati: metafora totale sul noto tema del “diverso”, del suo impatto con l’ostilità preventiva dei tempi, doverosamente privata di inutili spiegazioni ed indirizzata a critiche sociali affatto prevedibili.
Una vicenda che, dietro la retorica dei rapporti padre-figlio, nasconde imprevisti deragliamenti etici (la morte di un genitore) e persino morali (i rapporti falsati da impellenti necessità opportunistiche, lo status sociale dal quale veniamo indelebilmente marchiati).
Chow racconta senza strafare, da attento osservatore mette in scena tematiche orgogliosamente antiche, fuori dal tempo, lontane da denunce urlate o arringhe di circostanza. Il tutto, come è tipico dell’autore, arricchito da innumerevoli rimandi all’estetica irreale dei cartoon di Tex Avery, al cinema di fantascienza del passato e persino a spassose autocitazioni visive (la sequenza volante di Dicky, ripresa e montata esattamente come quella dell’eroe Sing in Kung Fu Hustle).
Un titolo da recuperare assolutamente, in attesa del sequel – attualmente in preproduzione – che tuttavia conoscerà stavolta la regia al bravo Toe Yuen (A Decade of Love, My Life as McDull).


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