A cento anni di distanza dal primo progetto (Monumento per l’Imperatore Alessandro II a Pietroburgo, 1911) e a cinquant’anni dalla morte (20 novembre 1961), l’architetto Saverio Dioguardi è stato celebrato a Bari con una mostra allestita presso la Sala del Colonnato del Palazzo della Provincia.
Lo scopo della mostra, promossa da A.A.M. Architettura Arte Moderna e dal Fondo Francesco Moschini, in collaborazione con la Regione Puglia e la Fondazione Gianfranco Dioguardi, è stato quello di inaugurare una stagione di ricerca intorno all’opera dell’architetto affinché se ne potessero ricostruire le vicende storiche e architettoniche, per molti versi inedite, che hanno influenzato e formato le scelte progettuali in un arco di tempo molto complesso che va dal 1910 al 1960. S. Dioguardi può ritenersi una figura rappresentativa delle vicende architettoniche e urbanistiche che nella prima parte del secolo scorso hanno costituito l’identità della città di Bari. Rievocare l’opera in occasione di questo anniversario significa rendere un doveroso omaggio ad una tra le personalità più emblematiche, anche se poco studiate, della storia dell’architettura del Novecento. L’evento rappresenta un’occasione di particolare rilevanza per la valorizzazione culturale del patrimonio architettonico del capoluogo pugliese.
Rispetto ai protagonisti che firmeranno i cambiamenti dell’architettura tra fine Ottocento e inizi Novecento, S. Dioguardi, nato nel 1888, si trova in un momento fervido di iniziative culturali essendo più giovane in campo europeo di diciotto anni di A. Loos e J. Hoffmann, mentre in Italia sette anni lo separano da A. Calza Bini e M. Piacentini. Più giovani di lui sono G. Samonà, di dieci anni, e C. Petrucci, di quattordici. Si trova in un certo senso ad appartenere e ad ereditare lo spirito più rappresentativo della cultura ottocentesca. Tuttavia, in questo riferimento anagrafico non possono tralasciarsi i nomi di E. Basile, R. D’Oronco e G. Sommaruga che, direttamente e indirettamente, forniscono le basi morfologiche per una suggestiva visione della tradizione eclettica. Allo stesso modo l’opera di G. Sacconi, riassunta nel Vittoriano, che sarà tra l’altro inaugurata proprio nel l911, riveste un ruolo importante per la comprensione della sua vocazione ad una profusa monumentalità, ad una candida neoarcheologia nonché ad una prolissa dimensione simbolica e scultorea.
I disegni e i progetti di S. Dioguardi sono, infatti, emblematici di una cultura novecentesca che per diversi motivi si è andata configurando, fino ad oggi, come controversa e contraddittoria, sempre distinta da ricerche per certi versi ideologiche, realistiche e per altri fascinose. Si può, quindi, dividere il lavoro progettuale di S. Dioguardi in tre grandi capitoli che non hanno la funzione di circoscriverne in forma didascalica le esperienze lavorative, ma di testimoniarne i cambiamenti e le persistenze tematiche all’interno del proprio linguaggio architettonico. Se il primo capitolo si può identificare con la tradizione eclettica nelle sue declinazioni più decorative e rappresentative, il secondo non può che coincidere con il “ventennio” dove le opere sono quasi sempre il prodotto dell’ambivalenza tra arte retorica e istinto futurista, il terzo capitolo, anche se in nuce, è testimonianza di una cultura liberatoria riconoscibile nell’ascesa neorealista e dalle neoavanguardie in genere.
Tuttavia è evidente come l’adozione di questa struttura descrittiva se da un lato fornisce i presupposti per un inquadramento storiografico, dall’altro lascia aperta la possibilità di documentare, riscoprire e rivalutare il processo ideale e progettuale di formazione dell’architetto barese.
Gli inizi lavorativi sono quindi segnati dai progetti dove, l’elenco degli stilemi ottocenteschi, si confronta con le espressioni più europee e moderne del floreale e del liberty. Numerosi sono i concorsi italiani e internazionali, ai quali S. Dioguardi partecipa, che scandiscono i tempi della sua produzione architettonica e gli interessi verso le culture degli altri paesi.
Il capitolo sul ventennio rappresenta un momento di estrema complessità a causa dei suoi caratteri contradditori, ma anche estremamente fecondi. La cultura architettonica più consapevole di questo periodo è sempre apparsa attenta a esprimere una volontà di equilibrio e di compromesso tra un indirizzo politico e una dimensione formale che riassumesse i valori dello scontro tra l’apparato retorico dello stato e quello più realistico e astratto del razionalismo. Tanto i risultati architettonici quanto quelli urbanistici non sono sempre testimonianza di una semplicistica egemonia culturale. Infine il capitolo che va dal dopoguerra fino al 1961, anno della sua morte, contiene quella carica espressiva finora compromessa dalla dimensione celebrativa e retorica delle passate esperienze. Basterebbe il padiglione Assicurazioni Generali per la Fiera del Levante (1960) e il progetto per la chiesa dell’Istituto Di Cagno Abbrescia (1961), entrambi a Bari, per riscoprire una tensione geometrica più smaliziata in grado di dominare lo spazio senza tralasciare le memorie e gli stilemi tradizionali dell’architettura rurale. Caratteristica di questo periodo sono i segni più educati e perentori che riflettono una composizione architettonica testimonianza di una capacità di tradurre le passate sovrastrutture in un semplice “oggetto architettonico”.
Non si può eludere in questo anniversario l’eredità che S. Dioguardi consegna all’architettura di oggi. Il suo lavoro evidenzia il rapporto con la storia, con gli avvenimenti sociali, culturali e politici. Tutto questo consente di riconoscere la figura dell’architetto sia nella sua fragilità, sia nella sua autorevolezza. Se da un lato, infatti, si scopre una maniera di ragionare sui temi dell’architettura in forma sommessa e intimistica, dall’altro si sente la volontà di far prevalere la propria competenza con un linguaggio più ambizioso e pieno di personalità. Questa dualità interna all’architetto rappresenta le tensioni più contraddittorie, ma anche più vere, in cui il progetto architettonico nasce.