Casa è il luogo dove rimane il cuore. Quello di Claudio Gioèalberga a 45 minuti di volo da Roma, nella sua Palermo dove mantiene la residenza pur trascorrendo nella Capitale la maggior parte del suo tempo. Del resto il lavoro è lavoro. E per il 39enne Gioè questo è un momento d’oro. Impegnato a girare, per Mediaset, insieme a Giulia Michelini, la serie thriller, Il bosco, sarà al cinema nel cast di Senza nessuna pietà, opera prima di Michele Alhaique con Pierfrancesco Favino come protagonista e produttore associato, mentre è protagonista ogni lunedì sera, su Canale 5, della seconda serie de Il tredicesimo apostolo, mistery nel quale si cala nei panni di padre Gabriel.
Un ruolo che amo molto - sottolinea Gioè - perché è inserito in un tentativo sperimentale per la fiction italiana di affrontare tematiche come il mistery.
Per importare il genere in Italia s’è dovuta aggiungere una vena romantica…
Il Tredicesimo apostolo rappresenta una mediazione tentata da Canale 5 di fare di una serie squisitamente di genere, un prodotto più adatto al pubblico della fiction italiana che non è certo abituata ai demoni e alle lotte col maligno. C’è stato, però, il coraggio, ripagato dai buoni ascolti della prima serie che ha raggiunto anche il 27% di share, di affrontare il nuovo.Per lei è stato anche un modo di smarcarsi da un certo tipo di ruolo stereotipo spesso legato alla Sicilia?
È stata, sicuramente, l’occasione di farmi vedere in un ruolo non connotato regionalmente e culturalmente, ed è stato stimolante il dovermi appoggiare a un tipo di recitazione quasi fumettistica.A chi si è ispirato per arrivarci?
A lasciarmi un imprinting molto forte è stato I predatori dell’arca perduta di Spielberg, il primo film che ho visto al cinema con mio padre. L’Indiana Jones di Harrison Ford mi è entrato nelle vene.
C’è stato un momento in cui ha definito la televisione un “mezzo mostruoso”…
Dal punto di vista dell’invasività e della potenza capillare che ha di arrivare ovunque lo è. Dovrebbe essere utilizzata in maniera più coscienziosa sotto tutti i punti di vista, purtroppo è in mano a chi ha molti interessi economici e non fa che mandare messaggi deleteri. Usata in maniera saggia potrebbe essere molto potente anche in senso opposto.
A lei, però, i personaggi televisivi che ha interpretato hanno dato la notorietà…
Io ho fatto solo il mio lavoro, recitare. Non sono certo andato a fare un reality o a cercare una popolarità da bravo presentatore. Sono contento che i miei ruoli siano stati apprezzati. Tutto finisce lì.
Quindi è orgoglioso di essere un attore, non un personaggio televisivo?
Ho pure tanto di titolo conseguito all’Accademia d’Arte drammatica D’Amico di Roma. Purtroppo sono stato abituato a vedere persone a ritrovarsi a fare gli attori per caso. Ho visto assegnare ruoli molto importanti a personaggi che poco avevano a che fare con l’arte drammatica, perché qualcuno li aveva messi lì. Questo ha dato molto da pensare a uno come me che rispetta profondamente il lavoro che c’è dietro l’interpretazione. Mi piace difendere la deontologia professionale e non essere felice quando un attore viene scavalcato dal tronista o dalla velina di turno.
Quando ha scoperto quest’amore per il teatro?
Ai tempi del liceo quando mi sono trovato a fare le prime recite in ambito scolastico. A 18 anni feci il provino all’Accademia e mi trasferii a Roma. In questo sono stato supportato sin da subito dai miei genitori, anche se mio padre avrebbe preferito un lavoro, sulla carta, più stabile.
Èvero che ha studiato molto per imporsi la disciplina della recitazione?
Tendo a pretendere sempre molto da me stesso. Adesso sto cercando di lavorare sulle mie rigidità, non soltanto in ambito teatrale. Fondamentalmente me la prendo troppo a cuore. Una cosa che dovrebbe essere un pregio, ma spesso non lo è.
Nel suo futuro c’è solo la recitazione o anche la regia?
Mi piacerebbe fare regia teatrale per continuare una passione che ho già alimentato con delle piccole direzioni a Palermo. A teatro mi sento più a casa rispetto al cinema, dove noi interpreti siamo solo degli strumenti. Il teatro è immediato, più gratificante per un attore. Purtroppo, però, il teatro italiano è ingolfato da una “gerontocrazia” di vecchi potentati che non lascia spazio ai giovani.
@mariellacaruso
@volevofare
(Pubblicata su La Sicilia del 5 febbraio 2014)