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Clausewitz e la Fourth Generation Warfare ai tempi dello Stato Islamico

Creato il 05 agosto 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi
Clausewitz e la Fourth Generation Warfare ai tempi dello Stato Islamicodi Antonella Roberta La Fortezza

Per secoli il panorama delle relazioni internazionali in riferimento al fenomeno guerra è stato dominato da quelli che sono stati definiti conflitti convenzionali o simmetrici. Per guerra simmetrica si intende un conflitto armato nel quale due Stati, di forza più o meno equivalente, si affrontano in un combattimento aperto. Stiamo in sostanza parlando di una logica perfettamente clausewitziana del conflitto. Almeno a partire dalla seconda metà dello scorso secolo lo scenario appena descritto non sembra più corrispondere alla realtà delle relazioni internazionali. Le guerre non sono più condotte da eserciti classici in quanto una molteplicità di gruppi armati non statali partecipa ai conflitti, perseguendo del resto obiettivi spesso diversi e talvolta divergenti. Nell'attuale scenario internazionale l'asimmetria ha raggiunto un livello superiore rispetto alle semplici tattiche asimmetriche adottate in passato, divenendo caratteristica principale e multilivello degli attuali conflitti. Negli ambienti anglosassoni si è a lungo parlato di Fourth Generation Warfare (4GW), un nuovo paradigma che accanto al più classico conflitto tra Stati inseriva quello asimmetrico tra Stato e attori non statali. La realtà odierna sembra però non rientrare pienamente né nella logica clausewitziana né in quella anglosassone della 4GW, mescolando aspetti sia della prima sia della seconda in un nuova sfida militare, ma anche concettuale, emblematicamente rappresentata dallo Stato Islamico (IS).

Nei conflitti convenzionali il ruolo da protagonisti è svolto dagli Stati nazionali in quanto detentori del monopolio legittimo dell'uso della forza. La simmetria, dunque, è prima di tutto riscontrabile nelle caratteristiche stesse del soggetto autorizzato a muovere guerra, per poi dipanarsi soltanto in un secondo momento al livello tattico e dunque al campo di battaglia. Partendo da questa proposizione risulta facile comprendere come la guerra simmetrica si fondi sul sistema westfaliano pensato per reagire al disordine dei secoli precedenti, dal quale è scaturito un sistema di Stati nazionali aventi il monopolio della violenza legittima. Le guerre di questo tipo hanno segnato la storia europea dei secoli Diciassette-Venti permettendo, grazie alle loro caratteristiche, di segnare una linea netta di demarcazione tra guerra e pace, civili e militari, combattenti e non combattenti. Karl Schmitt parla in questo senso di un tentativo della società moderna di combinare la guerra con la "simmetria" per tentare in questo modo di limitarla grazie alla condivisione degli stessi aspetti politici e legali [1]. Istituzionalizzando la guerra gli Stati sovrani rivendicano per se stessi il monopolio del legittimo uso della violenza con il solo limite di avere le stesse forme politiche e legali degli altri Stati. La legalizzazione della guerra comporta di conseguenza la possibilità di distinguere tra guerre giuste e non, dove le prime sono quelle condotte dai sovrani degli Stati aventi uguali diritti. Ne deriva una diversa concezione del nemico stesso il quale assumendo forma giuridica non è più inteso come colui da annientare; in questo modo il diritto internazionale europeo, come conclude Schmitt, riesce nell'impresa di limitare la guerra con l'ausilio del concetto di Stato. Conferma di quanto appena detto si può avere analizzando i primi impulsi dati alla nascita di quello che fino a pochi decenni fa era definito "diritto internazionale di guerra". Se volessimo rinvenire una precisa data di nascita del diritto internazionale della guerra potremmo riferirci al 16 aprile 1856 quando venne adottata la Dichiarazione di Parigi sulla guerra marittima. A partire da questa data l'interesse per una concreta ed effettiva amministrazione giuridica degli eventi bellici sembra coinvolgere sempre più la Comunità degli Stati-nazione con l'obiettivo di definire un quadro comune di riferimento nella condotta delle ostilità seppur nell'ovvia cornice di costante tutela legittima della "necessità militare".

Sopravvissuto per circa tre secoli, lo scenario appena descritto non sembra più corrispondere alla realtà del panorama delle relazioni internazionali almeno dalla seconda metà del Ventesimo secolo. Il modello di conflitto inteso secondo uno schema classico "pace-dichiarazione di guerra-guerra-fine delle ostilità", non caratterizza più lo scenario bellico moderno, come non ha caratterizzato quello della Guerra Fredda, ma è stato rimpiazzato da dinamiche di guerra "diffusa" o "infinita", inserite in un contesto precario caratterizzato da forti agitazioni [2]. Sostanzialmente è avvenuto che tutto ciò che nelle guerre del passato veniva considerato fuori dai valori politici e legali condivisi nella cornice dello Jus Publicum Europaeum, oggi è diventato elemento centrale del modo di combattere le nuove guerre. D'altro canto, secondo alcuni, sono stati proprio gli anni del conflitto ideologico tra Est ed Ovest a rendere manifesto il superamento della logica clausewitziana della guerra. Il carattere paradossale della strategia atomica, basata su concetti quali la reciproca distruzione di massa, l'equilibrio del terrore e la deterrenza, hanno sradicato l'idea classica per cui la guerra si identifica come uno scontro che avviene tra due soggetti statuali nell'ambito di uno scenario geograficamente definito attraverso l'impiego di strumenti convenzionali con il fine di costringere l'avversario a compiere la nostra volontà distruggendone la forza militare, conquistandone il Paese e domandone la volontà [3]. È così accaduto che, per paradossale ironia della ragione strategica, la bomba atomica abbia condotto, proprio per il suo carattere apocalittico, alla pace atomica, aprendo però la via ad un massiccio uso bellico di cosiddette armi bianche.

Nella realtà teorica, l'idea della Fourth generation warfare [4] appare a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta configurandosi come una sorta di scatola vuota in cui riporre qualsiasi congettura sulle guerre future. La scatola conteneva frammentate, e talvolta errate, interpretazioni del concetto di "terrorismo" insieme con una cieca infatuazione futurista della tecnologia accompagnato dall'evidente presa di coscienza della perdita del monopolio statale di westafaliana evocazione della guerra, il tutto condito con la caratteristica principale dell'asimmetria [5]. La 4GW finiva per essere il punto di raccolta di tutte le esasperazioni portate a compimento nella seconda metà del Novecento anche grazie allo sviluppo tecnologico mai di così immani proporzioni. La teoria della 4GW rimase alquanto vaga e impercettibile fino al 2001 quando l'evidente cesura segnata dagli attentati al World Trade Center divenne il primo rintocco suonato dalla guerra di quarta generazione. Veniva cioè sfruttato a posteriori un momento di palese rottura con il passato per confermare quanto inserito a priori nella scatola della 4GW. La prima conseguenza di questo fu che i teorici della 4GW si preoccuparono prima di tutto di sfruttare l'attentato come conferma per rafforzare i presupposti della teoria della 4GW, tralasciando invece di preoccuparsi di capire le motivazioni profonde del terrorismo e di analizzare in dettaglio il cambiamento in fieri.

È innegabile che la War on Terror abbia significato un cambiamento di registro. Il mondo politico ma anche quello militare si sono trovati improvvisamente a fare i conti con una nuova minaccia: il terrorismo internazionale islamista di stampo qaedista. "La Base" (questo il significato arabo della parola Al - Qaeda) pur avendo cellule attive in molti Stati (non solo) del Medio Oriente è svincolata quasi per definizione dal territorio non avendo alcuna base territoriale precisa e neanche una struttura organizzativa predisposta e gerarchizzata tanto che il fenomeno terroristico ai tempi di al-Qaeda si caratterizzava proprio per la sua fluidità e magmaticità. A fatica l'Occidente è riuscito ad analizzare quel tipo di minaccia e a predisporre contromisure adeguate al suo contenimento. Alla base di tale difficoltà vi è stata l'adozione di una logica di semplificazione, l'idea di concepire il jihad come un qualcosa di monolitico, monocolore e pan-musulmano. Si stavano applicando, dunque, vecchie chiavi di lettura a fenomeni nuovi senza cercare di comprendere le differenze, le stonature e le discrasie.

A render ancor più complessa la galassia islamista e jihadista ha influito inoltre la comparsa nel 2011-2012 di un nuovo gruppo noto come Stato islamico dell'Iraq e poi come Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS). Almeno inizialmente l'ISIS è stato considerato una sorta di nuova al-Qaeda, un'organizzazione terroristica, un gruppo di ribelli, seguendo niente meno che quella stessa logica di semplificazione usata con al-Qaeda. In questo senso la proclamazione di uno Stato Islamico (IS) avvenuta il 29 giugno del 2014 ha segnato sia il salto di qualità dell'ISIS sia la presa di coscienza definitiva per tutti gli osservatori che l'organizzazione guidata da Abu Bakr al-Baghdadi fosse qualcosa di profondamente diverso da qualsiasi soggetto terroristico legato all'internazionalismo (pan-)islamista. La proclamazione dello Stato Islamico ha fatto dell'IS un attore strategico con un obiettivo chiaramente ufficializzato. L'IS si presenta oggi come un potente attore statale, intenzionato a ridisegnare le frontiere mediorientali così come volute nel 1916 dagli accordi anglo-francesi di Sykes-Picot. L'IS ha una propria organizzazione gerarchica composta da unità civili e militari direttamente collegate a un determinato territorio; controlla una popolazione stimata tra gli 8 milioni e i 12 milioni di abitanti in un'area di circa 250.000 km 2; paga uno stipendio ai suoi soldati; ha un'efficiente struttura mediatica e di stampa nonché un sistema molto ben costruito di propaganda e di reclutamento che riesce, tramite un messaggio universale e un uso sapiente delle nuove tecnologie comunicative, ad andare ben oltre i territori controllati.

Dalle 31 pagine scritte a mano dall'uomo che è considerato il vero leader strategico dell'IS, Bhaji Bakr, ex colonnello dell' intelligence dell'aviazione irachena sotto il regime di Saddam Hussein [6], emerge la costruzione anche di un sistema di intercettazione e recupero delle informazioni sul territorio strutturato e capillare; un sistema di sorveglianza sistematico ed esteso tale da far configurare questo come un vero e proprio apparato di servizi segreti. Ma l'IS avanza non solo militarmente contro gli infedeli; una volta conquistati nuovi territori procede alla creazione di un vero e proprio apparato statale: organizza feste e celebrazioni in onore del Califfato, ha un sistema di pattugliamento delle città che non si limita a redarguire i fedeli per eventuali piccole dissonanze con quanto prescritto dalla shari'a, ma si occupa anche di controllare i negozi, le merci, il sistema dei prezzi assicurandosi che non vi siano truffe ai danni dei clienti, vigila su ogni aspetto della vita civile avendo anche messo in piedi un apparato giudiziario costituito da autorità religiose. Nei tribunali ora siedono i giudici religiosi che non si occupano soltanto di emanare sentenze e di applicare le pene previste dalla shari'a ma fungono anche da intermediari per eventuali dispute tra cittadini. Lo Stato Islamico procede con l'organizzazione di asili, scuole e campi militari secondo una chiara divisione anagrafica. Parallelamente l'IS ha provveduto a costruire un sistema (per ora ancora abbozzato) di welfare state, ossia la creazione di una sorta di assistenzialismo sociale di tipo statale tramite l'applicazione della Zakat [7]: la tassa viene richiesta ai più ricchi per essere distribuita ai più poveri. Da ultimo, ma non vi sono riscontri certi in tal senso, sembra che lo Stato Islamico abbia iniziato a stampare moneta e a distribuire dei propri passaporti. L'organizzazione capillare e la velocità dell'avanzata militare rende evidente l'impossibilità di continuare a considerare lo Stato Islamico come un semplice "gruppo" terroristico.

L'istituzione del califfato guidato da Abu Bakr al-Baghdadi è fondamentale per la strategia di lungo periodo dell'IS che si basa sulla costruzione di un'autorità politica e religiosa che possa istituzionalizzare gli obiettivi propri di quella che ormai ha perso le caratteristiche di un'organizzazione terroristica. Giuridicamente parlando nella comunità internazionale moderna, i requisiti necessari affinché uno Stato possa essere considerato tale e possa quindi entrare di diritto nell'ordinamento giuridico internazionale sono esclusivamente due: effettività e indipendenza. Per effettività, la quale caratteristica qualifica l'aspetto interno della sovranità, si intende l'esercizio concreto della sovranità cioè la capacità dello Stato di esercitare le funzioni statali tipiche tra le quali spicca la capacità di imporre coattivamente i propri precetti. L'indipendenza, che costituisce invece l'aspetto esterno della sovranità statale, si qualifica come il diritto di esercitare le funzioni statali sulla collettività umana stanziata sul territorio con l'esclusione di ogni altro Stato, ossia in assenza di ogni ingerenza nel sistema politico, economico e sociale. Certo il discorso circa la statualità o meno dell'IS in termini esclusivamente giuridici internazionali potrebbe sollevare non pochi dubbi ma la realtà, prescindendo da una logica strettamente giuridica, mostra che ad oggi l'IS è molto più vicino ad uno Stato nel senso comunemente ammesso che ad un'organizzazione terroristica. A ciò bisogna aggiungere che gli obiettivi dell'IS sembrano ora più che mai chiari: analogamente ad un qualsiasi Stato a cavallo tra Ottocento e Novecento, l'IS porta avanti una guerra di conquista in cui il fine ultimo è quello di allargare il territorio controllato. Proprio questi obiettivi, il fine ultimo, sono il presupposto clausewitziano della strategia: " Essa deve dunque porre ad ogni atto bellico uno scopo immediato che possa condurre a quello finale. In altri termini, elabora il piano di guerra, collega allo scopo immediato predetto la serie delle operazioni che ad esso debbono condurre, e cioè progetta i piani delle campagne e ne coordina i singoli combattimenti " [8].

Kobane, Ramadi, Palmira, Falluja, Samarra sono la rappresentazione geografica della strategia militare di ampliamento dello Stato Islamico, dove, da un lato, si mira progressivamente a penetrare la resistenza intorno a Baghdad, dall'altro, invece, si punta a controllare l'Eufrate e i corsi d'acqua tra Siria ed Iraq. Esperti ingegneri manovrano quotidianamente le 26 chiuse e cancelli idrici che portano l'acqua verso la zona di Baghdad. Gli spostamenti tattici e le conquiste dell'IS non sono casuali ma elaborate da quello che pare comportarsi come un qualsiasi Stato Maggiore. Il primo obiettivo tattico dello Stato islamico è stato l'Eufrate e le sue dighe. Quest'ultime vengono usate come arma nei confronti del nemico, così da mandare acqua verso le zone controllate dall'IS e razionarla invece verso quelle controllate dagli infedeli. Ma il controllo delle dighe significa anche poter prosciugare a proprio piacimento il letto del fiume. Le armate di Semiramide circa 2.700 anni fa, quelle di Serse e di Alessandro il Grande usarono lo stesso stratagemma per poter arrivare alle porte di Antica Babilonia. Poter marciare sul letto del fiume garantisce all'IS l'effetto sorpresa teso a ridurre l'efficacia della risposta delle forze irachene e delle milizie sciite irachene e iraniane meglio armate ed addestrate. Così facendo lo Stato Islamico obbliga il nemico a schierarsi su un fronte troppo vasto quale appunto l'intero letto del fiume. Una chiara strategia, dunque, un piano militare studiato su una cartina geografica su un tavolo; un gruppo di comandanti militari che si occupa di definire la strategia militare dell'IS; una precisa tattica di assedio di Baghdad.

Davanti a tutto questo l'Occidente è rimasto spiazzato, come nel 2011, e incapace anche militarmente di provvedere a trovare soluzioni alla guerra contro soggetti non convenzionali come al-Qaeda. L'idea della guerra nei Paesi sviluppati è fortemente ancorata allo sviluppo della tecnologia: la guerra oggi si combatte con i droni, con i bombardamenti aerei e le armi più sofisticate. Una guerra combattuta soltanto con i bombardamenti di precisione è necessariamente un lento e difficile processo di identificazione, selezione e distruzione del bersaglio ed è evidente che questa strategia può ben poco contro un nemico ibrido che facilmente disperde le proprie forze in unità molto ridotte, nascondendole fra i civili. L'identificazione e l'eliminazione divengono azioni assai complesse, nonostante l'immane spiegamento di tecnologia. Il totale fallimento della strategia aerea tentata conto l'IS conferma l'errore di valutazione che ancora una volta si è commesso approcciandosi ad un nemico molto diverso dai nostri eserciti. Soprattutto le Small Wars combattute durante la guerra fredda dovrebbero aver insegnato al mondo che in guerra non conta soltanto la quantità e probabilmente neanche la qualità. Le dotazioni, la tipologia delle armi, la capacità che gruppi di scienziati hanno di mettere a punto nuovi sistemi d'arma non sono altro che una piccola parte di quel teatro del paradosso che viene messo in scena durante un conflitto. E così succede che i "roditori" agili e svelti riescono a vincere contro "giganteschi dinosauri" [9].

Ma la realtà è che l'Occidente non preferisce i bombardamenti aerei soltanto per un'irrefrenabile pulsione nei confronti della tecnologia. A questo punto si deve necessariamente introdurre nel discorso un aspetto che non è prettamente militare ma che condiziona imprescindibilmente la guerra secondo quel fil rouge che lega la storia della guerra all'evoluzione delle singole società. Ebbene, si deve a questo punto inserire nelle guerre moderne la dimensione umana e di conseguenza sociale. Due sono i livelli da considerare dunque: la dimensione umana del "soldato" e degli "eserciti" e le differenze tra i sistemi sociali nel complesso. Ed è proprio in questo contesto, ancor di più che in quello tattico e strategico, che prevale l'asimmetria della 4GW.

Per ciò che attiene al primo aspetto è lo stesso Clausewitz ad inserire fra gli elementi della strategia quello morale: " le forze morali sono fra le più importanti in guerra. Sono infatti gli spiriti, che penetrano tutto l'elemento della guerra e si collegano alla volontà che deve dare impulso e dirigere l'insieme delle forze [...] La storia ci dimostra nel modo migliore il valore delle forze morali e la loro influenza, spesso incredibile: e quest'è la sostanza nutritiva più pura e preziosa che la spada del condottiero possa trarre dalla storia" [10]. Entusiasmo, zelo spinto al fatalismo, fede, convincimento, spirito di corpo, onore delle armi, convinzione nella causa: sono queste le forze morali che possono portare un esercito debole nei fatti a sovrastare il nemico più forte. Non è un caso che nella lotta contro l'IS, la comunità internazionale abbia abdicato la scelta di combattere una guerra contro un nemico non convenzionale, ingaggiando proprio i curdi e le milizie sciite: è evidente che siano proprio loro ad avere più da perdere in caso di avanzata dello Stato Islamico. Questo spiega specularmente l'obiettivo tattico che l'IS intende conseguire con gli attentanti terroristici rivendicati. L'obiettivo è quello di continuare a mantenere alta la tensione tra le fila nemiche creando una situazione di panico e di terrore, appunto, non solo in chi abbraccia le armi per la difesa delle proprie città o del proprio Stato ma anche nella popolazione civile. La paura incide sul morale e sulla volontà di resistenza dei popoli e quindi del governo nemico; il senso di insicurezza poi genera errori di valutazione, azioni irrazionali, cambiamenti repentini talvolta guidati dall'impulsività. È discutibile certo, ma l'IS sembra aver fatto del terrorismo una nuova arma bellica. Altri Stati prima di lui avrebbero potuto sfruttare sistematicamente l'innegabile vantaggio psicologico, tattico e di conseguenza spesso anche strategico che indubbiamente deriva dall'utilizzo dell'arma del terrorismo. Tuttavia, l'istintivo e conveniente utilizzo del terrorismo come arma per raggiungere i propri obiettivi ha trovato un freno proprio nella creazione di quella comunità europea di Stati di cui parla Schmitt, la quale, nel momento stesso in cui si è auto-definita tale, si è auto-limitata, divenendo così l'incentivo a prevenire uno sviluppo senza remore di talune pratiche di guerra. Il diritto internazionale umanitario [11] non fa altro che codificare quel "buon senso" o quel "senso di umanità" che gli Stati ritenevano doveroso introdurre anche in un atto all'apparenza disumano come la guerra. Venuto meno quell' humus giuridico nella forma, etico nella sostanza, sono venuti meno anche i limiti. La guerra clausewitziana era combattuta nella cornice ben precisa di regole, usi, costumi; quella delle 4GW è fuori da ogni limitazione sia sul piano giuridico sia su quello etico e in riferimento a questo particolare aspetto è innegabile che l'IS abbracci il non-sistema esattamente come un qualsiasi gruppo terroristico, esattamente come al-Qaeda prima di lui. L'asimmetria è dunque giuridica, tra coloro che per quanto criticabili hanno cercato, nei modi più vari e seguendo talvolta strade tortuose e non sempre mantenendo la propria coerenza, di limitarsi e coloro che fanno della mancanza di limiti la propria forza. Questo conferisce un vantaggio innegabile a entità come l'IS, un vantaggio che è difficile annullare con le armi.

Allo stesso tempo l'Occidente subisce anche un altro svantaggio questa volta legato allo sviluppo raggiunto dalle proprie società. Abbiamo già fatto riferimento alla strategia dei bombardamenti aerei adottata contro l'IS; abbiamo riferito questa scelta ad una cieca fede nella tecnologia. In realtà bisogna aggiungere un'ulteriore considerazione. Luttwak parla di " avvento dell'era post-eroica" [12] in cui, a differenza del passato, la prosperità incoraggia al non impegno. In passato erano proprio le nazioni economicamente più progredite ad essere gli aggressori: emblematica la Prussia nel 1866 e poi nel 1870 o la Russia zarista alla fine del Diciannovesimo secolo o il Giappone imperiale. La storia dei conflitti mostra chiaramente che tanto più uno Stato diveniva forte tanto più aveva l'istinto, o forse la necessità, di sovvertire lo status quo esistente affinché potesse sedere al tavolo delle grandi potenze. Oggi la situazione è profondamente cambiata soprattutto perché il progresso è cambiato: non si tratta più di Stati ricchi ma di popoli ricchi. Il problema delle attuali democrazie è divenuto quindi non tanto come combattere una guerra quanto se combatterla o meno in funzione degli umori del popolo. Insomma si sta dicendo che il progresso della società, e non gli slogan pacifisti, è stato il vero motore della pace. I governi hanno iniziato a impegnarsi nella costruzione della pace quando le società hanno iniziato a pretenderla per potersi arricchire e per poter progredire. A questo logicamente va aggiunto l'impatto della copertura televisiva che consente ai civili di guardare in tempo reale ciò che accade sul campo di battaglia, le sofferenze, le atrocità, la dura e cruente realtà della guerra. Poco importa se il numero dei morti di 10 anni di guerra degli USA in Iraq non si avvicina neanche lontanamente ai numeri dei caduti in battaglia durante il secondo conflitto mondiale. Tuttavia la visibilità attraverso i media ancora non spiega tutto secondo Luttwak. Bisogna scendere ancora più in profondità nell'analisi e questa profondità si raggiunge soltanto se si prende in considerazione la base demografica delle società moderne postindustriali: " Nella famiglie che componevano la popolazione delle grandi potenze della storia, era comune la nascita di quattro, cinque o sei figli, quella di sette, otto o nove era meno rara di quella odierna di uno, due o tre" [13]. Significa che oggi, per dirla brutalmente in termini matematici, ciascun figlio " impersona una quota molto più alta del capitale emotivo della famiglia" [14]. La morte costituiva fino a qualche decennio fa un momento dell'intera esistenza con cui si era maggiormente abituati a convivere; la si percepiva come una possibilità più concreta legandola non soltanto all'età anziana. Nelle attuali società progredite la lotta, in tutte le forme possibili, contro la morte è divenuta un'esigenza talmente radicata e profonda da sfiorare l'istinto atavico. Proprio questi cambiamenti, continua Luttwak, hanno considerevolmente limitato l'uso della forza, o perlomeno premuto affinché i governi usassero meno quella delega all'uso della forza tipica delle democrazie. Se accettiamo il significato della nuova demografia della famiglia, ne deriva che nessuna delle nazioni progredite a basso tasso di natalità al mondo può svolgere più un ruolo di grande potenza classica a tal punto che Luttwak le definisce quasi "debellicizzate", poiché a parte l'autodifesa o casi eccezionali, le attuali società democratiche si mostrano disponibili ad accettare soltanto episodi bellici che si svolgono mediante azioni lontane di bombardamento aereo, rifiutando con ogni possibile mezzo " the boots on the ground ".

Le società post-eroiche che teorizzano guerre a costo zero in termini di vite umane dei propri soldati sono evidentemente svantaggiate quando si trovano a dover affrontare soldati disposti a morire per una causa e finanche attentatori sucidi. Il dislivello che si è venuto a creare tra le società industriali post-eroiche e quelle società escluse o autoesclusesi dalla globalizzazione e dalla modernizzazione è insanabile. L'IS e il dibattito relativo alla quantità e alla qualità dell'impegno che i Paesi industrializzati vogliono mettere in questa guerra hanno riportato sotto la luce dei riflettori proprio questo aspetto tipizzante delle società moderne industrializzate. Il continuo rifiuto delle operazioni di terra, significa tuttavia il rischio di vedere lo Stato Islamico affermarsi definitivamente nel Medio Oriente. A quel punto sarà tardi per scegliere: si potrà soltanto negoziare alla pari.

Per paradossale ragione della storia, dunque, sembra si sia tornati con la proclamazione dello Stato Islamico, ammesso che mai sia stata abbandonata, alla più tipica impostazione clausewitziana di guerra come scontro fra entità statuali per allargare i propri confini o semplicemente per alterare lo status quo esistente condotta per mezzo di precisi piani militari e tattiche centenarie. Eppure l'argomentazione non può esaurirsi in una simile semplificazione. Se dell'impostazione clausewitziana sembra esservi molto nell'attuale scontro con l'IS, non può negarsi del resto quanto vi sia di ancora vivo anche dell'impostazione della 4GW. L'intreccio che si è creato tra le due impostazioni fa del fenomeno IS una sorta di coacervo includente di secoli di storia. La verità è ancora una volta rintracciabile nelle parole del generale prussiano: la guerra è un camaleonte, muta a seconda delle circostanze come il camaleonte modifica il colore della sua pelle per adattarsi a quello dell'ambiente in cui cerca di mimetizzarsi. Il cambiamento non riguarda la natura della guerra (il camaleonte non cambia la sua natura soltanto perché appare diverso), ossia la struttura e i meccanismi interni di ogni conflitto. Ciò che muta sono i metodi e le modalità con cui l'uso della forza viene esercitato e utilizzato, nonché l'importanza relativa delle sue varie componenti: militare, economica, giuridica, comunicativa e morale. Probabilmente l'inganno è nel numero ordinario che precede le "generazioni" nel campo bellico o semplicemente nell'aggettivo che le qualifica (guerra totale, guerra asimmetrica, guerra simmetrica, ecc.): l'errore è nel voler ordinare le guerre come in una scala gerarchica in cui ciò che viene dopo è una rottura rispetto a ciò che esisteva fino a quel momento. Questo implica di conseguenza che ciascuna evoluzione provenga direttamente dal suo predecessore e che sia dunque la sua naturale trasformazione in qualcosa di nuovo e di diverso. Ma generalmente lo stato fattuale delle cose è che non si tratta di evoluzioni nette, cambiamenti chiari, linee di cesura tracciabili, quanto piuttosto di un correre in parallelo di tanti fenomeni diversi: taluni permangono per secoli, tali altri si trasformano, in un continuum non sempre etichettabile o facilmente circoscrivibile. Il tutto dunque diviene comprensibile soltanto se lo si guarda nella visione d'insieme abbandonando gli angoli ciechi dovuti all'idea che qualcosa abbia definitivamente lasciato spazio a qualcos'altro. Il fallimento di un approccio statico, di esclusione e sottrazione, in contrapposizione all'adozione di un approccio dinamico, di inclusione e somma, è apparso evidente ai tempi dell'IS quando si è realizzato che Clausewitz e la 4GW continuano a vivere, anzi convivere, più che mai sotto la stessa bandiera: quella dello Stato Islamico.

* Antonella Roberta La Fortezza è OPI Trainee

[1] K. Schmitt, Nomos della terra, in "Adelphi Edizioni", 1991.

[2] M. Forti, Guerre dimenticate, in "Treccani.it", 2009.

[3] È questa la definizione che Clausewitz da della guerra. Clausewitz, Della guerra, Oscar Mondadori, Milano, 2009, pp. 19-20.

[4] Le guerre di "Prima generazione" sono quelle agricole; le guerre industriali sono quelle di seconda generazione; di terza generazione sono le guerre post-industriali caratterizzate da aumento della precisione del fuoco e "terziarizzazione" del campo di battaglia.

[5] Il termine guerre "asimmetriche" è stato utilizzato per la prima volta dallo studioso Andrew Mack nel 1975 in un articolo dal titolo Perché le grandi nazioni perdono le Small Wars: le politiche dei conflitti asimmetrici.

[6] Il 18 aprile del 2015 il sito Spiegel ha pubblicato un'inchiesta esclusiva sull'organizzazione interna dell'ISIS basandosi sull'analisi di alcuni documenti tra cui 31 pagine autografe dell'ex colonnello iracheno Haji Bakr. Si veda, C. Reuter, The Terror Strategist: Secret Files Reveal the Structure of Islamic State, in "Spiegel online International", April 18, 2015.

[7] Spesso viene intesa come "elemosina". La Zakat è invece un obbligo religioso prescritto dal Corano volto alla "purificazione" della propria ricchezza. Ciascun musulmano deve compiere questa "purificazione" per poter essere un buon credente.

[8] Clausewitz, op. cit., p. 173

[9] La metafora è di Xiangsui e Liang, Guerra senza limiti: l'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, Editrice Goriziana, 2001. "Rispetto a tali avversari, gli eserciti professionisti sono infatti giganteschi dinosauri ai quali, in questa nuova era, manca una forza commensurata alle loro dimensioni. I loro avversari, invece, sono roditori dalle straordinarie capacità di sopravvivenza, in grado di usare i loro denti affilati per tormentare la parte migliore del mondo".

[10] Clausewitz, op. cit., p. 184 - 185

[11] Con Diritto Internazionale Umanitario (DIU) si intende quel corpus normativo che ha una sua specifica ragion d'essere legata a quelle condizioni "straordinarie" rappresentante dalle situazioni di conflitto armato.

[12] E.N. Luttwak, Strategia. La logica della guerra e delle pace, Best BUR, Milano, 2013, p. 110

[13] Ibidem, p. 113 - 114

[14] Ibidem, p. 114


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