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Coerenza senza sforzo

Creato il 25 gennaio 2011 da Lanterna
MdiMS loda la mia coerenza. E a me vien da pensare che non è che io faccia molto sforzo per mantenere la mia coerenza in materia di religione: io e mio marito siamo atei, non ci siamo mai trovati nel dilemma di iscrivere i nostri figli a una scuola confessionale (per necessità o comodità), alla materna nessuno ha mai fatto pressioni perché scegliessimo di avvalerci dell'IRC, i miei figli sono ancora piccoli o immaturi e non mi fanno grandi domande sui massimi sistemi.
In più, i miei figli non sono i soli a non frequentare religione, quindi non si sentono isolati. E, anche se si sentissero "diversi", non credo che, col carattere che hanno, ciò si trasformerebbe in un problema generalizzato. Dal mio punto di vista, potrebbero sentirsi diversi perché hanno una famiglia atea così come perché hanno un papà bizzarro o una mamma che non si mette i tacchi. Anzi, almeno in certi ambienti essere atei fa figo, mentre pulire resti di topo dal pavimento o non essere antiOGM sono attività e atteggiamenti più out.
Il fatto è che io sono coerente perché da questo punto di vista sono una pessima madre: non riesco a pensare più di tanto alle conseguenze delle mie convinzioni sulla vita dei miei figli. O forse, se proprio dovessi trovare una scusa alla mia indifferenza su questo punto, direi che trovo più educativo mantenermi su una certa posizione (comunque non fanatica, ma netta) piuttosto che cercare una conciliazione.
Anche perché non sono una pecorella pigra che non va più a messa o una persona dilaniata tra spiritualità e chiesa: sono atea. Dio per me è come Babbo Natale o la fatina dei denti: una bella favola raccontata per consolare o per passare valori positivi. Ma non riesco a crederci. E non ne sento neppure il bisogno, perché l'esistenza di uno o più dei non cambierebbe per niente né la mia vita né il modo in cui la vivo: se un domani dovessi morire e scoprire che hanno ragione i credenti, penso che un'eventuale divinità non avrebbe molto da rimproverarmi, se non il fatto che non ho creduto in lei.
Per i morti stesso discorso: a parte che credere in Dio non significa necessariamente credere all'immortalità dell'anima e viceversa, io non riesco proprio a pensare che, danneggiato il corpo, qualcosa possa sopravvivere. Sopravvivrà il mio ricordo, magari legato a oggetti che possano aiutarlo (foto, cose che ho scritto, cose che ho posseduto). Ma penso proprio che la mia coscienza si spegnerà per sempre, e ciò mi mette addosso una paura fottuta della morte, ma anche una grande determinazione a vivere la mia vita al meglio.
Ovvio che ai miei figli non dico "il tale è volato in cielo" ma "il tale è morto". Non mi sono ancora trovata nella necessità di spiegare la morte di qualcuno che loro hanno conosciuto da vivo e spero di trovarmici il più tardi possibile, ma non penso che potrò edulcorare la realtà per i miei figli.
È noncuranza? Pigrizia? Sincerità? Un misto. Dopotutto, ritengo che la cosa peggiore da perdere sia la fiducia dei miei figli, motivo per cui anche un solo piccolo tradimento come quelli che tanti fanno (vedi alla voce "scappare di nascosto da scuola su sollecitazione della maestra") mi scoccia da morire.
Per la stessa ragione, niente Babbo Natale a casa nostra: per i miei figli è una figura che si vede a scuola e per la strada, ma i regali li portano le persone che ci amano. Babbo Natale è un simbolo e una fiaba, punto.
Ripeto: può essere pigrizia, solo perché non ho voglia di fingere. Ma perché nel nostro mondo la sincerità è così importante, tranne che con i bambini?

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