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CoHF Ovvero.....Sclero totale.

Creato il 30 maggio 2014 da Rosellinag

Buona sera a tutti!Questo post è un'anteprima un po' particolare. E' da ieri che ci penso, da quando Anna della Mondadori mi ha contatta per chiedermi se foisi interessata a fare la segnalazione...la mia reazione è stata: *^* SERIOUSLY???????E così eccomi qui! Andate fiiiino in fondo al post perchè c'è una sorpresina per voi!
Come ben sapete da pochissimi giorni è uscito, oltreoceano, l'attesissimo ultimo libro della saga dedicata a Jace e Clary e io sono in trepidante attesa di poterlo leggere.Soprattutto, non vedevo l'ora di condivere questa notiziona con voi, per cui ho vinyto la mia stanchezza cronica ed....ecco qui!
CoHF Ovvero.....Sclero totale.
Beh la card che mi ha mandato la CE italiana è un po' datata, ovviamente City of Heavenly Fire è già uscito, ma a noi va bene lo stesso.La data di pubblicazione italiana dovrebbe cadere intorno ai primi di luglio e sembra che la Mondadori abbia tutte le intenzioni di mantenere la promessa, purtroppo l'ufficio stampa non ha ancora a disposizione nè la scheda tecnica nè la cover, per cui non ci resta che attendere con gli occhi a cuoricino il ritorno di MALEC....perchè deve, DEVE esserci Malec, Jace, Clary Simon e Isabelle.
Ma ora veniamo alla sorpresina che ho in serbo per voi...vi lascio un'estratto del PRIMO CAPITOLO!
IL CONTENUTO DEL LORO CALICEPiccola nota: ci sono ancora un mucchio di errori, ma il testo è scorrevole e si legge comunque bene.
-Immagina qualcosa di rilassante. La spiaggia di los Angeles: sabbia bianca, onde azzurre che la lambiscono, tu che passeggi sulla battigia… Jace socchiuse una palpebra. — suona molto romantico. il ragazzo seduto di fronte a lui fece un sospiro e si passò le dita fra i capelli scuri e arruffati. Anche se era una fredda giornata di dicembre, i lupi mannari non erano sensibili al clima quanto gli umani, e Jordan se ne stava senza giacca e con le maniche della camicia arrotolate. erano seduti l’uno di fronte all’altro su una macchia erbosa brunastra in una radura a Central Park, entrambi con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia, i palmi rivolti all’insù. Accanto a loro, dal terreno affiorava una roccia suddivisa in formazioni più o meno grandi, e sopra una di quelle maggiori erano appollaiati Alec e Isabelle Lightwood. Quando Jace alzò lo sguardo, Isabelle ricambiò l’occhiata e gli fece un cenno d’incoraggiamento. Notando il gesto, Alec le diede uno schiaffetto sulla spalla. Jace lo vide fare la ramanzina a Izzy, probabilmente dicendole di non interrompere la sua concentrazione. Sorrise fra sé: nessuno di quei due aveva davvero motivo di starsene lì, ma erano venuti comunque per offrire “sostegno morale”. Nonostante tutto, Jace sospettava che in realtà Alec non sopportasse l’idea di non avere niente da fare in quei giorni, che Isabelle detestasse il fatto di vedere suo fratello da solo e che entrambi stessero evitando genitori e istituto. Jordan gli fece schioccare le dita sotto il naso. — Ma almeno mi stai ascoltando? Jace corrugò la fronte. — lo stavo facendo, finché non siamo sconfinati nel territorio degli annunci di incontri per trovare l’anima gemella. — e va bene, allora dimmi: cos’è che ti fa sentire calmo e rilassato? Jace staccò le mani dalle ginocchia — la posizione del loto gli stava facendo venire i crampi ai polsi e si appoggiò all’indietro sui gomiti. Un vento gelido scosse i resti delle fronde morte ancora appese ai rami degli alberi. sullo sfondo del pallido cielo invernale, le foglie avevano un’eleganza sobria, come schizzi fatti a china. — uccidere i demoni. — una bella esecuzione netta e decisa, perché i massacri splatter sono una rottura. Dopo c’è un sacco da pulire… — No! — Jordan alzò le mani, esasperato.

Da sotto le maniche della camicia spuntavano i tatuaggi che salivano a spirale lungo le braccia. Shaantih shaantih shaantih. Jace sapeva che quella parola significa “la pace che supera ogni comprensione” e che andava ripetuta tre volte a ogni occasione in cui pronunciavi il mantra, per calmare la mente. In quei giorni, tuttavia, sembrava che niente potesse calmare la sua. Il fuoco nelle vene gli faceva viaggiare anche la testa a mille, con i pensieri che si succedevano troppo in fretta uno via l’altro come un’esplosione di fuochi d’artificio. Sogni vividi e saturi di colori come dipinti a olio. Aveva cercato di sfogarsi con gli allenamenti, ore e ore trascorse in palestra fra sangue, lividi, sudore e, una volta, persino dita fratturate. Alla fine era riuscito solo a irritare Alec con le continue richieste di rune di Guarigione e, in una memorabile occasione, era arrivato ad appiccare accidentalmente il fuoco a una delle travi. Era stato Simon a dirgli che il suo coinquilino faceva meditazione tutti i giorni, spiegando che imparare quella disciplina gli era servito per placare gli incontrollabili accessi di rabbia che spesso accompagnavano la trasformazione in lupo mannaro. Da quello al suggerimento di Clary per cui “tanto valeva provarci” il passo era stato breve, quindi eccoli lì, alle prese con la seconda lezione. La prima si era conclusa con Jace che aveva marchiato a fuoco il parquet di Simon e Jordan, motivo per cui quest’ultimo aveva suggerito di proseguire gli incontri all'aperto ed evitare così ulteriori danni immobiliari. — Nessuna uccisione — disse Jordan. — stiamo cercando di farti sentire in pace. Sangue, morte e guerra sono tutto il contrario. Non c’è nient’altro che ti piaccia? — le armi — fu la risposta di Jace. — Mi piacciono le armi. — Comincio a pensare che qui siamo alle prese con una problematica filosofia di vita. Jace si sporse in avanti, i palmi aperti sull’erba. — io sono un guerriero — e sono stato cresciuto come un guerriero. Non avevo giocattoli, avevo armi. Ho persino dormito con una spada di legno fino all'età di cinque anni. I miei primi libri sono stati manuali medievali di demonologia con le pagine miniate. Le prime canzoni, formule per scacciare i demoni. So cosa mi dà pace, e non sono né la sabbia delle spiagge né il canto degli uccelli nella foresta pluviale. Voglio un’arma in mano e una strategia per vincere. 
— Jordan vuole che pensi alla spiaggia — rispose lui, depresso. — È testardo — disse Clary, rivolta a Jordan. — Quel- lo che vuole dire è che apprezza molto il tuo impegno. — A dire il vero no — le fece eco Jace. Jordan sbuffò. — senza di me saresti in giro per Madi- son Avenue a mandare scintille da tutti gli orifizi. — si alzò in piedi e si rimise la giacca verde. — il tuo ragazzo è pazzo — comunicò infine a Clary. — sì, ma è anche uno schianto — commentò lei. — Va tenuto in considerazione. Jordan fece una smorfia, ma si vedeva che era divertito. — io vado. Mi trovo con Maia in centro. — fece il salu- to militare e si dileguò in mezzo agli alberi, scomparen- do con il passo felpato del lupo qual era sotto le spoglie umane. Jace lo guardò allontanarsi. Improbabili salva- tori, pensò. se solo sei mesi prima qualcuno gli avesse detto che sarebbe finito a prendere lezioni di comporta- mento da un lupo mannaro, non gli avrebbe mai creduto. Negli ultimi mesi Jordan, simon e Jace avevano stret- to una sorta di amicizia. Jace non riusciva a fare a meno di sfruttare casa loro come una specie di rifugio, lontano dalle pressioni quotidiane dell’istituto e dai continui se- gnali che il Conclave non era ancora preparato allo scon- tro con sebastian. Erchomai. Quella parola gli sfiorò la mente con il tocco leggero di una piuma, facendolo rabbrividire. Vide l’ala di un angelo, staccata dal corpo, in una pozza di sangue dorato. Sto arrivando. 
— Cosa c’è che non va? — gli chiese Clary; all’improvvi- so Jace sembrava distante anni luce. da quando il fuoco celeste era entrato nel suo corpo, lui aveva sviluppato la tendenza a perdersi più spesso nei propri pensieri. Clary aveva la sensazione che quello fosse un effetto colla- terale del suo voler sopprimere le emozioni. Avvertì una debole fitta:— quando l’aveva conosciuto, Jace le era ap- parso sin troppo controllato, e soltanto una piccola parte della sua vera identità riusciva a trapelare attraverso le crepe della sua armatura, come la luce attraverso le fes- sure di un muro. C’era voluto molto tempo per abbatte- re quelle difese. e ora il fuoco dentro le sue vene lo sta- va costringendo a rialzarle, a soffocare le emozioni per non compromettere la sicurezza in se stesso. Ma quando il fuoco fosse scomparso, sarebbe stato in grado di sman- tellarle di nuovo? Jace sbatté le palpebre, riscosso dalla voce di lei. il sole invernale era alto in cielo e freddo; gli metteva in risal- to le ossa del viso e le ombre sotto gli occhi. le prese la mano, inspirando profondamente. — Hai ragione — dis- se con quella voce pacata e più seria del solito che riser- vava soltanto a lei. — Mi aiutano. le lezioni con Jordan, intendo. Mi aiutano e sì, apprezzo il suo impegno. — lo so. — Clary gli strinse il polso. sentì la sua pel- le calda sotto la mano, come se, da quando lui aveva in- contrato Gloriosa, avesse raggiunto una temperatura di svariati gradi superiore alla norma. il cuore di Jace con- tinuava a battere al solito ritmo regolare, ma quando lei lo toccava sentiva il sangue nelle vene martellare con l’energia cinetica di un incendio sul punto di scoppiare. si mise in punta di piedi per dargli un bacio sulla guan- cia, ma lui si girò e le loro labbra si sfiorarono. da quan- do quel fuoco aveva iniziato a cantargli nelle vene, non avevano fatto niente di più che baciarsi, e pure quello con prudenza. Anche in quel momento Jace era cauto, la sua bocca scivolava morbida contro quella di lei, la mano le racchiudeva la spalla. Per un attimo furono corpo a corpo, e Clary sentì pul-
sare il sangue di lui. Jace si mosse per tirarla più vicino a sé, e fra loro scoccò una scintilla improvvisa, secca, come il crepitio della corrente statica. Jace interruppe il contatto e arretrò sussultando; pri- ma ancora che Clary potesse dire qualcosa, un coro di applausi beffardi eruppe dalla vicina collinetta. simon, isabelle e Alec li stavano prendendo in giro. Jace fece un inchino, mentre Clary si allontanò un po’ timidamente, agganciando i pollici nella cintura dei jeans. Jace sospirò. — Pensi che dovremmo unirci ai nostri fastidiosi amici guardoni? — sfortunatamente, è l’unico genere di amici che ab- biamo. — Clary gli diede una spallata al braccio, e in- sieme camminarono verso la roccia. simon e isabelle, seduti fianco a fianco, parlavano a bassa voce. Alec era un pochino in disparte, lo sguardo fisso sul cellulare e un’espressione di intensa concentrazione. Jace si sedette accanto al suo parabatai. — Ho senti- to dire che se fissi quei cosi abbastanza a lungo, prima o poi squillano. — sta scrivendo un messaggino a Magnus — spiegò isa- belle, lanciando al fratello uno sguardo di disapprovazione. — Non è vero — rispose lui di scatto. — e invece sì — disse Jace, sporgendosi per sbirciarlo da sopra una spalla. — e gli hai anche telefonato. Vedo le tue chiamate in uscita. — È il suo compleanno — spiegò Alec chiudendo di scatto l’apparecchio. in quei giorni sembrava più ema- ciato, era quasi pelle e ossa nel maglione azzurro liso, con tanto di buchi sui gomiti; anche le labbra erano tut- te mordicchiate e screpolate. A Clary dispiaceva moltis- simo. dopo che Magnus l’aveva lasciato, Alec aveva vis- suto la prima settimana immerso in una specie di nebbia fatta di tristezza e incredulità. Nessuno di loro riusciva davvero a capacitarsene. Clary era sempre stata convin- ta che Magnus amasse Alec, che lo amasse sul serio, ed era evidente che anche Alec aveva creduto la stessa cosa. — Non voglio lasciargli pensare che non ho… che mi sto dimenticando di lui. — ti stai struggendo — commentò Jace. Alec fece spallucce. — senti chi parla. «oh, io la amo. oh, è mia sorella. oh, perché, perché, perché…» Jace gli lanciò contro una manciata di foglie secche che lo fece sputacchiare. isabelle rideva. — sai benissimo che ha ragione, Jace. — dammi il telefono — ordinò lui ad Alec, ignorando- la. — su, Alexander. — Non sono affari tuoi! — si difese l’altro, allontanan- do il cellulare. — dimenticati questa storia, okay? — Non mangi, non dormi, fissi il cellulare e preten- di che io me ne dimentichi? — la voce di Jace era inso- litamente carica di inquietudine; Clary sapeva quanto gli dispiacesse vedere Alec così triste, ma non era sicura che Alec stesso lo sapesse. in circostanze normali, Jace avrebbe ucciso, o per lo meno minacciato, chiunque aves- se osato ferire il suo parabatai. Ma in quel caso era diver- so: a Jace piaceva vincere, e non si può vincere contro un cuore spezzato, nemmeno se appartiene a qualcun altro. Qualcuno a cui vuoi bene. Jace si chinò in avanti e sfilò il telefono di mano ad Alec. lui protestò e cercò di riprenderselo, ma l’altro lo tenne a distanza con una mano, usando l’altra per scorre- re con abilità tra i messaggi in memoria. — magnus, per favore, richiamami. ho bisogno di sapere se stai bene… — scosse la testa. — okay, no. Proprio no. — Con una mos- sa decisa, spezzò il telefono in due. Quando buttò i pezzi a terra, lo schermo si annerì. — ecco fatto.
Alec fissò allibito i resti del suo cellulare. — Mi hai Rotto il telefoNo! l’altro fece spallucce. — i ragazzi non permettono ai ra- gazzi di continuare a chiamare gli altri ragazzi. Be’, mi è uscita male. Riprovo: gli amici non permettono agli ami- ci di continuare a chiamare i loro ex per poi riattaccare. dico sul serio. la devi piantare. Alec sembrava furibondo. — Per questo mi hai fatto a pezzi il cellulare nuovo? Grazie tante! Jace sorrise serenamente e si sdraiò sulla roccia. — Prego. — Guarda il lato positivo — intervenne isabelle. — Non puoi più ricevere i messaggi della mamma. oggi me ne ha inviati sei… io ho spento — disse picchiettandosi la tasca con sguardo eloquente. — e che cosa vuole? — si informò simon. — Riunioni costanti — rispose. — deposizioni. il Con- clave insiste nel voler sentire e risentire che cosa è suc- cesso quando abbiamo combattuto contro sebastian al Burren. Abbiamo dovuto fornire tutti un resoconto det- tagliato, qualcosa come… cinquanta volte. Raccontare di quando Jace ha assorbito il fuoco celeste di Gloriosa. for- nire descrizioni degli shadowhunters oscuri, della Coppa infernale, delle armi che usavano, delle rune che aveva- no. e poi cosa indossavamo noi, cosa indossava sebastian, cosa indossassero tutti gli altri! tipo sesso telefonico, ma molto più noioso. simon soffocò una risata. — Cosa pensiamo che vorrà sebastian — quando tornerà — aggiunse Alec. − e come si comporterà quando lo farà. Clary puntò i gomiti sulle ginocchia. — È sempre bello sapere che il Conclave ha un piano preciso e affidabile. — Non vogliono crederci — commentò Jace, fissando il cielo. — È quello il problema. Non conta quante volte raccontiamo cosa abbiamo visto al Burren. Non conta quante volte ripetiamo che gli ottenebrati sono perico- losi. si rifiutano di credere che i Nephilim possano dav- vero essere corrotti, che ci siano shadowhunters capaci di uccidere altri shadowhunters. Clary era presente quando sebastian aveva creato il pri- mo ottenebrato. Aveva visto il vuoto dentro a quegli oc- chi, la furia con cui la creatura aveva combattuto. e ne era rimasta scioccata. — Quelli non sono più shadowhunters — precisò a bassa voce. — Non sono… persone. — Ma è difficile crederci se non li hai visti — le fece notare Alec. — e poi sebastian non ne ha molti. sono un gruppetto disorganizzato. il Conclave non vuole credere che sia una vera minaccia. oppure, se lo è, preferiscono pensare che lo sia più che altro per noi, a New York, an- ziché per gli shadowhunters in generale. — Non sbagliano a dire che, se c’è qualcosa a cui seba- stian tiene, si tratta proprio di Clary — aggiunse Jace, e la ragazza sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena, un misto di ansia e disgusto. — lui non prova emozioni vere e proprie. Non come le nostre. Ma se dovesse pro- varne, allora sarebbero rivolte a lei. in fondo, nei confron- ti di Jocelyn ne ha: la odia. — si interruppe, pensieroso. — Però non penso che verrà a colpire direttamente qui. troppo… scontato. — spero che tu lo abbia riferito anche al Conclave — gli disse simon. — Circa un migliaio di volte. Ma non credo che tengano particolarmente in considerazione i miei punti di vista. Clary si guardò le mani. Aveva testimoniato di fronte al Conclave, come del resto tutti gli altri, e aveva rispo- sto a ogni singola domanda. Però c’erano ancora cose su sebastian che non aveva raccontato né ai suoi amici né a nessun altro. Cose che lui aveva detto di volere da lei.
Non aveva sognato molto da quando erano tornati dal Burren,  ma se aveva incubi, erano sempre su suo fratello. — È come cercare di combattere contro un fantasma — proseguì Jace. — Non riescono a localizzarlo, non riesco- no a trovarlo, non riescono a trovare gli ottenebrati. — fanno quello che possono — commentò Alec. — stanno rinforzando le difese attorno a idris e Alicante. Anzi, le stanno rinforzando tutte. Hanno mandato deci- ne di esperti sull’isola di Wrangel. l’isola di Wrangel era la sede di tutte le difese mon- diali, gli incantesimi che proteggevano il globo e idris in particolare dai demoni e dalle loro invasioni. la rete del- le difese non era perfetta, e talvolta capitava che qual- che creatura riuscisse a oltrepassarla, ma Clary non osa- va immaginare come sarebbe stato se quel sistema non fosse nemmeno esistito. — Ho sentito dire alla mamma che gli stregoni del la- birinto a spirale stanno cercando un modo per invertire gli effetti della Coppa infernale — disse isabelle. — Cer- to sarebbe più facile se avessero dei corpi da analizzare… la voce le si affievolì, e Clary sapeva perché. i corpi degli shadowhunters oscuri uccisi al Burren erano stati portati nella Città di ossa, affinché i fratelli silenti po- tessero esaminarli. loro, tuttavia, non ne avevano mai avuto la possibilità. Nel corso di una sola notte, i cada- veri si erano decomposti fino a sembrare salme vecchie decenni. Non c’era stato altro da fare se non bruciare gli ultimi resti. isabelle ritrovò la voce: — e le sorelle di ferro stan- no sfornando armi su armi. stiamo ricevendo migliaia di nuove spade angeliche, chakhrams, di tutto… forgiate nel fuoco celeste. — Guardò Jace. Nei giorni immediatamente successivi alla battaglia sul Burren, quando il fuoco aveva imperversato nelle vene di Jace con una violenza tale da farlo urlare per il dolore, i fratelli silenti l’avevano ana- lizzato a ripetizione, gli avevano fatto la prova del ghiac- cio e del fuoco, del metallo benedetto e del ferro freddo, per capire se c’era il modo di togliergli quel fuoco dalle vene e immagazzinarlo. Non ci erano riusciti. il fuoco di Gloriosa, un tempo condensato in una spada, pareva non avere fretta di abi- tarne un’altra, o comunque di lasciare il corpo di Jace per qualsiasi altro veicolo. fratello Zaccaria aveva raccon- tato a Clary che all’inizio della storia degli shadowhun- ters, i Nephilim avevano cercato di intrappolare il fuoco celeste in un’arma, qualcosa da poter brandire contro i demoni. Non ce l’avevano mai fatta, e alla fine le spade angeliche erano diventate le loro armi d’elezione. Anche con Jace i fratelli si erano arresi: il fuoco di Gloriosa si rintanava nelle sue vene come un serpente, e il meglio in cui lui potesse sperare era imparare a controllarlo per non farsi distruggere. All’improvviso si sentì il suono di un messaggio in arri- vo: isabelle aveva riacceso il cellulare. — la mamma dice di tornare all’istituto, adesso — annunciò. — C’è non so quale riunione e dobbiamo partecipare anche noi. — si alzò, riaggiustandosi il vestito. — ti inviterei, eh — dis- se a simon — ma sai com’è, sei bandito in quanto non morto eccetera eccetera… — sì, me lo ricordo — rispose lui, alzandosi a sua vol- ta. Clary fece lo stesso e porse una mano a Jace, che si tirò in piedi a sua volta. — io e simon andiamo a fare shopping natalizio — lei disse — e nessuno di voi può accompagnarci perché dob- biamo comprare i vostri regali! Alec fece una faccia inorridita. — oddio. Quindi anch’io devo prendervi qualcosa? Clary scosse la testa. — Ma scusate, gli shadowhun-
ters non… Natale, gente. Avete presente? — All’improv- viso le tornò in mente la cena piuttosto imbarazzante che avevano organizzato per il Giorno del Ringraziamento a casa di luke: quando avevano chiesto a Jace di tagliare il tacchino, lui aveva infierito sul volatile con una spa- da finché non ne erano rimasti che minuscoli brandelli. Quindi forse no, non ce l’avevano presente. — Noi ci scambiamo regali per rendere omaggio al cam- bio delle stagioni — spiegò isabelle. — d’inverno una vol- ta si festeggiava l’Angelo, il giorno in cui Jonathan sha- dowhunter ricevette gli strumenti Mortali. Però credo che molti shadowhunters si siano stancati di essere esclusi da tutti i festeggiamenti dei mondani, quindi oggi diver- si istituti organizzano una festa anche a Natale. Quella di londra è famosa. — si strinse nelle spalle. — solo che secondo me noi non ne la faremo… quest’anno. — oh. — Clary si sentì una stupida. ovvio che non volessero festeggiare il Natale, dopo aver perso Max. — d’accordo, però almeno accettate i regali. Non deve es- serci per forza una festa o qualcosa del genere. — esatto. — simon alzò le braccia al cielo. — io devo comprare i regali di Hanukkah. lo impone la legge ebraica. il dio degli ebrei è un dio collerico. e molto orientato ai regali. Clary gli sorrise. ormai per simon era sempre più fa- cile pronunciare la parola “dio”. Jace sospirò e diede a Clary un bacio — un rapido sfre- gamento di labbra sulla tempia, che però le diede i bri- vidi. il fatto di non poter toccare Jace né baciarlo come avrebbe voluto cominciava a farle ribollire il sangue. Gli aveva promesso che la sua condizione non avrebbe mai avuto importanza, che lei lo avrebbe amato anche se non avessero mai più potuto toccarsi, ma odiava dover senti- re la mancanza della sintonia che c’era sempre stata fra i loro corpi. — A dopo — la salutò lui. — io torno all’isti- tuto con Alec e Izzy. — No, invece — lo interruppe inaspettatamente isa- belle. — Hai rotto il telefono di Alec. Certo, è quello che tutti volevamo fare da settimane, ma… — isABelle — la rimproverò il fratello. — Ma il fatto è che tu sei il suo parabatai, e sei anche l’unico che non ha ancora visto Magnus. Vai a parlargli. — Per dirgli cosa? Non puoi convincere la gente a resta- re per forza con qualcuno… o forse sì — aggiunse appena vide la faccia di Alec. — Non si sa mai. farò un tentativo. — Grazie. — Alec gli diede una stretta alla spalla. — Ho sentito dire che, quando vuoi, sai essere adorabile. — l’ho sentito dire anch’io — ribatté l’altro, mettendo- si a correre all’indietro. Clary pensò, sconsolata, che fos- se aggraziato anche in quello. e sexy. decisamente sexy. Alzò la mano per fargli un saluto poco entusiasta. — A più tardi! — gli gridò. Se non sarò morta prima di frustrazione.
I fray non erano mai stati una famiglia particolarmente osservante, ma Clary adorava la fifth Avenue nel periodo natalizio. l’aria profumava di caldarroste e le vetrine dei negozi luccicavano d’argento, blu, verde e rosso. Quell’an- no, a ogni lampione erano stati appesi grossi fiocchi di neve in cristallo, che riflettevano la luce del sole inver- nale in tanti dardi dorati. Per non parlare dell’enorme al- bero addobbato al Rockfeller Center; lei e simon erano sotto la sua ombra quando si appoggiarono alla transen- na della pista di pattinaggio per guardare i turisti che ca- devano mentre cercavano di scivolare sul ghiaccio. Clary stringeva fra le mani un bicchiere di cioccola- ta calda che le irradiava calore in tutto il corpo. si senti- va quasi normale: andare sulla fifth a vedere le vetrine e 
l’albero di Natale era una tradizione che lei e simon ri- spettavano da sempre. — sembra di essere tornati ai vecchi tempi, eh? — le disse lui, facendo eco ai suoi pensieri mentre posava il mento sulle braccia conserte. Clary provò a guardarlo senza farsi notare. simon in- dossava un soprabito e una sciarpa neri che facevano ri- saltare il suo pallore; le occhiaie erano il segno che non si era nutrito di recente. Aveva l’aspetto di quello che era: un vampiro stanco e affamato. Be’, pensò, quasi come ai vecchi tempi. — C’è più gen- te a cui bisogna comprare un regalo. — oltre all’eterno di- lemma: «Cosa compro per il primo Natale in cui stiamo assieme?» — Cosa si regala a uno shadowhunter che ha già tut- to? — disse simon con un sorriso. — A Jace piacciono più che altro le armi. Ama anche i libri, ma all’istituto c’è una biblioteca fornitissima. Ado- ra la musica classica… — Clary si illuminò. simon era un musicista: anche se il suo gruppo faceva pena e cam- biava nome di continuo (in quel momento erano i lethal soufflé), conosceva bene la materia. — Che cosa regaleresti a uno che suona il pianoforte? — un pianoforte. — simon! — un grande, gigantesco metronomo da poter usare anche come arma? Clary sbuffò, esasperata. — spartiti. Rachmaninoff è tosto, e a Jace piacciono le sfide. — Buona idea. Allora guardo se qui in giro c’è un ne- gozio di musica. — Aveva finito la cioccolata calda; but- tò il bicchiere di cartone in un vicino cestino della spazzatura ed estrasse il cellulare dalla tasca. — e tu? Cosa regali a isabelle? — Non ne ho la minima idea — ammise simon. Ave- vano cominciato a incamminarsi verso il viale, dove un flusso continuo di pedoni con gli occhi incollati alle ve- trine intasava la circolazione. — oh, dai. isabelle è una facile. — ehi, è della mia ragazza che stai parlando! — si- mon aggrottò le sopracciglia. — o almeno credo. Non ne sono sicuro, non ne abbiamo parlato. della nostra sto- ria, intendo. — dtR, simon. davvero. — Che cosa? — È arrivato il momento di definire il tipo di Rela- zione. Cos’è, dove sta andando. siete ragazzo e ragazza, vi state divertendo e basta, “è complicato” o cosa? Quand’è che lei lo dirà ai suoi genitori? tu puoi vedere altra gente? simon impallidì ancora di più. — eh? Ma parli sul serio? — sul serio. Nel frattempo… profumo! — lo afferrò per il collo del soprabito e lo trascinò in un negozio di cosme- tici. l’interno era enorme, con file di boccette scintillan- ti ovunque. — Ah, qualcosa di originale — aggiunse diri- gendosi verso la zona dedicata alle fragranze. — isabelle non vorrà certo avere lo stesso odore di chiunque altro. Vorrà sapere di fichi, di vetiver, o di… — fichi? Perché, i fichi hanno un odore? — simon sem- brava inorridito. Clary stava per scoppiare a ridere, ma in quell’istante sentì squillare il telefono. era un messag- gio di sua madre. dove sei? sbuffò, scocciata, e rispose. Jocelyn continuava a es- sere nervosa quando pensava che sua figlia fosse in giro con Jace. e questo nonostante lei gli avesse fatto notare che lui era probabilmente il ragazzo più sicuro al mondo, non potendo (1) arrabbiarsi, (2) fare avances sessuali, (3) in generale fare qualsiasi cosa in grado di produrre una scarica di adrenalina. d’altro canto, però, non si poteva negare che Jace fos- se stato effettivamente posseduto; sia lei sia sua madre l’avevano visto mentre lasciava che sebastian minac- ciasse luke. Clary ancora non aveva parlato di tutto ciò a cui aveva assistito nella casa condivisa con Jace e seba- stian per quel breve periodo fuori dal tempo tra il sogno e l’incubo. Non aveva mai detto a sua madre che Jace ave- va ucciso; c’erano cose che non necessariamente Jocelyn non aveva bisogno di sapere, cose che lei stessa non vo- leva affrontare. — Questo negozio è pieno di roba per cui Magnus im- pazzirebbe, secondo me — disse simon prendendo una confezione di olio per il corpo tempestato di glitter. — Va contro qualche regola comprare regali per uno che si è lasciato con un tuo amico? — dipende... sei più amico di Magnus o di Alec? — Alec si ricorda il mio nome — disse simon, rimet- tendo a posto il flacone. — e mi dispiace per lui. Capisco perché Magnus l’abbia fatto, ma Alec è davvero, davvero a pezzi. Credo che, quando una persona ti ama, allora dovreb- be anche perdonarti, se tu sei sinceramente dispiaciuto. — io penso che dipenda da quello che hai fatto — com- mentò Clary. — Non sto parlando del caso di Alec, dico in generale. sono sicura che a te isabelle perdonerebbe qualsiasi cosa — si affrettò ad aggiungere. simon non sembrava molto convinto. — sta’ fermo — gli ordinò, armeggiando con una boccet- ta vicino alla sua testa. — fra tre minuti ti annuso il collo. — Questa, poi — ribatté simon. — Ne hai aspettato di tempo per fare la prima mossa, fray! scusa se te lo dico. Clary non se la prese per la frecciatina; stava ancora pensando a quello che simon aveva detto a proposito del per- dono, rievocando però l’immagine di qualcun altro: altra voce, altro viso, altri occhi. sebastian, seduto di fronte a lei a Parigi. «Pensi di potermi perdonare? Voglio dire, pen- si che il perdono sia possibile per una persona come me?» — Ci sono cose che non si possono perdonare— . io non potrò mai perdonare sebastian. — Ma tu non gli vuoi bene. — No. Però è mio fratello. se le cose stessero diversa- mente, allora… — il fatto era che non stavano diversa- mente. Clary si scrollò via il pensiero e si avvicinò al col- lo di simon per annusarlo. — sai di fichi e albicocche. — sei davvero convinta che isabelle voglia avere lo stesso odore di un mix di frutta disidratata? — forse no. — Prese un’altra boccetta. — e quindi cosa pensi di fare? — Quando? Clary alzò lo sguardo, abbandonando il dilemma su quale fosse la differenza tra una rosa e una tuberosa, e vide simon che la squadrava con gli occhi castani traboc- canti di perplessità. — Be’, non potrai vivere con Jordan per sempre, giusto? C’è il college… — tu al college non ci andrai. — No, ma io sono una shadowhunter. Proseguiamo gli studi dopo i diciotto anni, ci assegnano ad altri istituti… È quello il nostro college. — Non mi piace pensare che te ne andrai. — si infilò le mani nelle tasche del soprabito. — io al college non pos- so andarci. Mia madre non è esattamente disposta a pa- garmelo, e io non posso accedere ai prestiti per studenti. legalmente sono morto. e poi, quanto ci metterebbero i miei compagni ad accorgersi che loro invecchiano e io no? Non so se ci hai mai fatto caso, ma i laureati di soli- to non hanno la faccia da sedicenni…
Clary rimise a posto il profumo. — simon… — forse dovrei comprare qualcosa per mia madre — dis- se il ragazzo con amarezza. — Cos’è che esprime al me- glio un messaggio tipo «Grazie per avermi sbattuto fuori casa facendo finta che sia morto»? — le orchidee? A simon però era passata la voglia di scherzare. — for- se è davvero tutto diverso. una volta ti avrei preso una scatola di pastelli o qualcos’altro per disegnare, ma or- mai hai lasciato perdere, vero? A parte usare lo stilo, in- tendo, tu non disegni più. e io non respiro. Non è esatta- mente come l’anno scorso. — secondo me dovresti parlarne con Raphael. — Con Raphael?! — lui sa come vivono i vampiri. Come si gestiscono la vita, come fanno soldi, come trovano una casa… lui certe cose le sa. e potrebbe darti una mano. — lui potrebbe, ma io non voglio — dichiarò simon con espressione contrariata. — Non ho più avuto notizie della banda del dumort da quando Maureen ha preso il posto di Camille. so che Raphael è il suo vice, e sono anche ab- bastanza sicuro che, secondo loro, io porto ancora il Mar- chio di Caino, altrimenti a quest’ora avrebbero già man- dato qualcuno a farmi una visitina. Questione di tempo. — No. sanno di non doverti toccare, altrimenti sareb- be guerra con il Conclave. l’istituto è stato molto, mol- to chiaro in proposito. sei protetto, simon. — Clary, nessuno di noi è davvero protetto. Prima che potesse rispondere, la ragazza sentì qualcu- no che chiamava il suo nome. sbigottita, alzò lo sguardo e vide sua madre che si faceva largo tra la folla di clien- ti. fuori dalla vetrina c’era anche luke, in attesa sul marciapiede. Con la sua inseparabile camicia di flanella, sembrava un pesce fuor d’acqua in mezzo ai modaio- li newyorkesi. una volta uscita dalla calca, Jocelyn corse dai ragazzi e prese Clary fra le braccia. lei, attonita, sbirciò simon da sopra la spalla della madre. lui fece spallucce. — Avevo paura che ti fosse successo qualcosa! — esclamò Jocelyn quando finalmente sciolse l’abbraccio. — da sephora? — fece Clary. sua madre aggrottò la fronte. — Non hai saputo? Pen- savo che a quest’ora Jace ti avesse già avvisata! Clary sentì un’ondata improvvisa di gelo correrle nel- le vene, come se avesse inghiottito dell’acqua ghiacciata. — No... Che cosa è successo? — scusaci, simon, ma io e Clary dobbiamo andare su- bito all’istituto.
Non c’erano stati grandi cambiamenti in casa di Magnus dalla prima volta in cui Jace ci aveva messo piede. lo stes- so piccolo ingresso, la solita lampadina nuda. Jace usò una runa di Apertura per varcare il portone principale, affrontò i gradini due alla volta e poi suonò il campanello dell’ap- partamento. Più sicuro che ricorrere a un’altra runa, pen- sò. dopotutto, il padrone di casa poteva essere intento a giocare nudo ai videogame, o a fare chissà cosa. Chi pote- va sapere come occupavano il tempo libero gli stregoni? suonò una seconda volta, indugiando più a lungo sul pulsante. Altri due tentativi insistenti, e finalmente Ma- gnus spalancò la porta. sembrava infuriato. indossava una vestaglia di seta nera sopra una camicia bianca elegante e un paio di pantaloni in tweed. Piedi nudi, capelli scompi- gliati, un’ombra di barba. — Che ci fai tu qui? — Ahi, ahi, ahi. Che pessimo benvenuto… — Perché benvenuto non lo sei. Jace inarcò un sopracciglio. — Pensavo fossimo amici.
— No. tu sei amico di Alec. Alec era il mio ragazzo, perciò dovevo tollerarti anch’io. ora però non stiamo più insieme, quindi la tolleranza è finita. Non che qualcuno di voi l’abbia capito, sia chiaro. sarai… Cosa, il quarto? il quarto della combriccola che viene a disturbarmi. — Magnus si mise a enumerare sulle lunghe dita. — Clary. isabelle. simon… — simon è venuto qui? — Mi sembri sorpreso. — Non pensavo fosse così coinvolto dalla tua storia con Alec. — io non ho una storia con Alec — ribatté lapidario lo stregone, ma Jace si era già fatto largo oltre l’uscio con un colpo di spalla per poi fermarsi nel salotto, dove si guar- dò attorno incuriosito. una delle cose che gli erano sempre piaciute nell’ap- partamento di Magnus era il fatto che di rado avesse due volte lo stesso aspetto. Poteva presentarsi come un am- pio loft moderno. o come un bordello francese, una fu- meria d’oppio di epoca vittoriana, o ancora l’abitacolo di una navicella spaziale. il quel momento, invece, era cupo e disordinato. il tavolino giaceva sotto montagne di vecchi contenitori d’asporto di cibo cinese. il Presidente Miao era sdraiato sul tappeto con tutte e quattro le zam- pe distese all’infuori, come un cervo morto. — Qui c’è puzza di cuore infranto — fu il commen- to di Jace. — È il cibo cinese. — Magnus si abbandonò sul diva- no e allungò le gambe affusolate. — dai, falla finita. di’ quello che sei venuto a dire. — Penso che dovresti rimetterti con Alec. Magnus alzò gli occhi al cielo. — e perché, scusa? — Perché è ridotto come uno straccio. ed è pentito per ciò che ha fatto. Non ci riproverà.— oh, vuoi dire che non tramerà più alle mie spalle con uno dei miei ex partner per accorciarmi la vita? Mol- to nobile da parte sua. — Magnus… — Certo, Camille è morta, quindi, anche volendo… — sai cosa voglio dire. Non ti mentirà, non ti inganne- rà, non ti nasconderà più niente né ripeterà la vera azione per cui sei arrabbiato con lui, qualunque sia. — si buttò su una poltrona reclinabile in pelle e inarcò un sopracci- glio. — dunque? Magnus si mise su un fianco. — A te cosa importa se Alec sta male? — Cosa mi importa?! — esclamò Jace così forte che il Presidente Miao si mise dritto a sedere come se gli aves- sero dato la scossa. — Mi importa un sacco. È il mio mi- gliore amico, il mio parabatai. e sta malissimo. Come te, del resto, a giudicare da quello che vedo. Cartoni vuoti di cibo da asporto ovunque, tu che non hai fatto niente per dare una sistemata, il gatto che sembra morto… — Non è morto. — A me importa di Alec — ribadì Jace fissando Ma- gnus con sguardo deciso. — M’importa di lui più di quan- to m’importi di me stesso. — Non hai mai pensato — disse lo stregone con aria meditabonda, cercando di staccarsi un rimasuglio di smal- to dalle unghie — che tutta questa storia del parabatai sia piuttosto crudele? te lo puoi scegliere, ma non puoi mai liberartene. Nemmeno se ti si rivolta contro. Guarda luke e Valentine. e anche se, per certi versi, il tuo parabatai è la persona che ti è più vicina al mondo, non puoi innamorar- tene. se muore, poi, muore anche una parte di te stesso. — Come fai a sapere tutte queste cose sui parabatai? — Conosco gli shadowhunters — rispose Magnus, dan- do una pacca sul cuscino del divano accanto a sé; il Pre-
sidente Miao salì e gli strofinò la testa contro. le lun- ghe dita dello stregone affondarono nel pelo felino. — e da molto tempo. siete strane creature. tutta fragile no- biltà e umanità da un lato, tutto sconsiderato fuoco de- gli angeli dall’altro. — fece saettare gli occhi su Jace. — soprattutto tu, Herondale, perché il fuoco degli angeli ce l’hai nel sangue. — ti era mai capitato di essere amico di uno shadowhunter? — Amico… — ripeté Magnus. — Che cosa intendi di preciso? — lo sapresti, se ti fosse successo. È così? Hai degli amici? A parte la gente che affolla le tue feste, intendo. Molte persone hanno paura di te, oppure sembra che ti debbano qualcosa, oppure hai dormito con loro una vol- ta, ma di amici… A me non sembra che tu ne abbia molti. — Be’, questa è una novità — commentò lo stregone. — Nessuno fra gli altri del gruppo aveva cercato di insultarmi. — sta funzionando? — se mi stai chiedendo se all’improvviso mi sento in dovere di tornare con Alec, allora no. Mi è venuta un’in- solita voglia di pizza, ma potrebbe non c’entrare nulla. — Alec mi aveva detto che fai così — ribatté Jace. — Che svii le domande personali sul tuo conto ricorrendo alle battute. Magnus strinse lo sguardo a fessura. — e sarei l’uni- co a fare così? — Già, accetta la critica da chi ne sa qualcosa. dete- sti parlare di te e preferisci far arrabbiare la gente piutto- sto che essere compatito. Quanti anni hai, Magnus? Vo- glio la risposta vera. lo stregone tacque. — Come si chiamavano i tuoi genitori? tuo padre? Magnus lo fulminò con i suoi occhi verde-oro. — se avessi voglia di stare su un divano a lagnarmi con qual- cuno dei miei genitori, mi rivolgerei a uno psichiatra. — Ah, ma le mie prestazioni sono gratuite. — sì, l’ho sentito dire. Jace sorrise e si accomodò meglio. sull’ottomana c’era un cuscino con il disegno dell’union Jack; lo prese e se lo infilò dietro la testa. — Non ho nessun impegno. Pos- so restarmene seduto qui tutto il giorno. — fantastico — disse Magnus. — Allora schiaccerò un pisolino. — si allungò per prendere una coperta appallot- tolata sul pavimento e, in quel momento, il cellulare di Jace si mise a suonare. lo stregone si bloccò senza com- pletare il suo gesto, guardando l’altro che si frugava in ta- sca e poi rispondeva. era isabelle. — Jace? — sì. sono a casa di Magnus. forse stiamo facendo pro- gressi. Che c’è? — torna qui — gli disse lei, e il ragazzo si mise dritto sulla schiena, facendo cadere il cuscino a terra. la voce di izzy era molto tesa. Ne percepiva chiaramente il tono aspro, come le note stonate di un pianoforte male accor- dato. — All’istituto. subito, Jace. — Cosa c’è? Cos’è successo? — Anche Magnus si tirò su, lasciando la coperta a terra. — sebastian — fu la risposta di isabelle. Jace chiuse gli occhi. Vide sangue dorato e piume bian- che sparse su un pavimento di marmo. Ricordò l’appar- tamento, un coltello fra le mani, il mondo ai suoi piedi, la stretta di sebastian attorno al polso, quegli occhi neri impenetrabili che lo guardavano colmi di lugubre ironia. sentiva un fischio nelle orecchie. — Cos’è successo? — la voce di Magnus fece irruzione nei suoi pensieri. si accorse di essere già sulla porta, il cellulare di nuovo in tasca. si voltò. Magnus era dietro di lui, l’espressione attonita. — È Alec? sta bene? — Cosa te ne importa? — gli rispose Jace, facendolo tra- salire. era la prima volta che vedeva trasalire lo strego- ne, e solo questo gli impedì, uscendo, di sbattere la porta.
Appese nell’ingresso dell’istituto c’erano decine di giac- che e giacconi mai visti prima. Clary sentì la morsa del- la tensione premerle sulle spalle mentre abbassava la cer- niera del suo cappotto di lana e poi lo appendeva a uno dei ganci lungo le pareti. — e Maryse non ha detto di cosa si trattava? — do- mandò. i picchi del suo tono erano stati limati dall’ansia. Jocelyn si era liberata il collo da una lunga sciarpa gri- gia, e alzò a malapena lo sguardo quando luke gliela prese per appenderla. Gli occhi verdi della donna saettavano qui e là per tutta la stanza, registrando la gabbia dell’ascenso- re, il soffitto a volta sopra la sua testa, gli affreschi sbiadi- ti di uomini e angeli. luke scosse la testa. — solo che il Conclave è stato attaccato, e che noi dovevamo presentarci qui il prima possibile. — È quel “noi” la parte che mi preoccupa. — Jocelyn si raccolse i capelli in uno chignon dietro la nuca, assi- curandolo con le dita. — sono anni che non metto piede in un istituto. Perché mi vogliono qui? luke le strinse una spalla, rassicurante. Clary sapeva di cosa aveva paura Jocelyn, di cosa avevano paura tut- ti quanti. Poteva esserci un solo motivo se il Conclave aveva richiesto la presenza di sua madre: c’erano notizie di suo figlio. — Maryse ha detto che li avremmo trovati in bibliote- ca — riferì Jocelyn. Clary fece strada. sentiva, dietro di sé, luke e sua madre che discutevano, oltre al suono debole dei loro passi, quelli di lui più lenti di una volta. Non si era più ripreso completamente dalla ferita che, a novem- bre, lo aveva quasi ucciso. Tu lo sai perché siete qui, vero? le sussurrò un soffio di voce dentro la testa. Clary si rendeva conto che non era reale, ma non bastava. Non rivedeva suo fratello dal- lo scontro al Burren, però lo portava dentro di sé in an- golino della mente, un fantasma invadente e sgradito. Per me. Avete sempre saputo che non me ne sarei anda- to per sempre. Vi avevo detto che cosa sarebbe accadu- to. Ve lo avevo scandito. Erchomai. Sto arrivando. Avevano raggiunto la biblioteca. dalla porta semiaperta usciva un’accozzaglia di voci. Jocelyn si fermò un istan- te, la faccia tirata. Clary appoggiò la mano sul pomolo. — sei pronta? — fino a quel momento non aveva notato l’abbigliamento di sua madre: jeans neri, stivali neri, dolcevita nero. Come se, senza nemmeno pensarci, avesse scelto quanto di più simile a una tenuta da combattimento. Jocelyn annuì. Qualcuno aveva spostato tutti i mobili, creando al cen- tro della stanza un ampio spazio proprio sopra il mosaico con l’Angelo, su cui era stato collocato il massiccio ta- volo formato da un’enorme lastra di marmo in equili- brio su due angeli di pietra inginocchiati. tutto attor- no erano seduti i membri del Conclave. di alcuni, come nel caso di Kadir e Maryse, Clary conosceva il nome; al- tri erano soltanto volti familiari. Maryse, in piedi, spun- tava sulle dita un nome di città dopo l’altro, declaman- doli tutti a gran voce: — Berlino. Nessun sopravvissuto. Bangkok. Nessun sopravvissuto. Mosca. Nessun soprav-vissuto. los Angeles…— los Angeles? — la interruppe Jocelyn. — Ma è dove stanno i Blackthorn. state dicendo che sono… Maryse sembrò colta alla sprovvista, come se fino a quell’istante non si fosse accorta dell’arrivo di Jocelyn. i suoi occhi azzurri si posarono solo un attimo su luke e Clary. la donna aveva l’aria tesa, esausta, i capelli ti- rati all’indietro in una pettinatura austera; sulla manica della giacca sartoriale, una macchia. Vino rosso, o forse sangue. — Ci sono alcuni sopravvissuti. Bambini. Ades- so si trovano a idris. — Helen — disse Alec, e Clary pensò alla ragazza che al Burren aveva lottato contro sebastian insieme a loro. se la ricordava, nella navata dell’istituto, in compagnia di un ragazzino dai capelli scuri che le stava aggrappato al polso. «Mio fratello, Julian.» — la ragazza di Aline — gli fece spontaneamente eco Clary, e notò che il Conclave le rivolse uno sguardo di malcelata ostilità. facevano sempre così, come se quel- lo che lei era e rappresentava li rendesse quasi incapaci di vederla. La figlia di Valentine. La figlia di Valentine. — sta bene? — era a idris, con Aline — spiegò Maryse. — i suoi fra- telli e sorelle minori sono sopravvissuti, ma sembra che ci sia stato un problema con il fratello maggiore, Mark. — un problema? — intervenne luke. — Che cosa sta succedendo esattamente, Maryse? — Non credo conosceremo la vera storia finché non an- dremo a idris — rispose lei, lisciando all’indietro i capel- li già lisci. — Ma ci sono stati degli attacchi, più attac- chi nel giro di due notti, a sei istituti. Ancora non siamo sicuri di come abbiano fatto a introdursi al loro interno, ma sappiamo che… — sebastian — disse Jocelyn. teneva le mani sprofon- date nelle tasche dei pantaloni neri, ma Clary sospettava che, se non fosse stato così, gliele avrebbe viste serra- te a pugno. — Arriva al punto, Maryse. Mio figlio. Non mi avresti fatto venire qui se non fosse stato lui il respon- sabile. Mi sbaglio? — Gli occhi di Jocelyn incontrarono quelli di Maryse, e Clary si domandò se quella fosse la stessa situazione di quando le due donne erano entrambe membri del Circolo: gli spigoli aguzzi delle loro personali- tà che sfregavano l’uno contro l’altro, mandando scintille. Prima che Maryse potesse rispondere, la porta si aprì e Jace entrò nella stanza. era congestionato dal freddo, la testa scoperta, i capelli biondi scompigliati dal vento. le mani, senza guanti, avevano le estremità arrossate e por- tavano segni di Marchi vecchi e nuovi. Vide Clary e le ri- volse un rapido sorriso, poi si accomodò su una sedia ac- costata a una parete. luke, come suo solito, tentò di fare da mediatore. — Maryse? È sebastian il responsabile? la donna trasse un respiro profondo. — sì, è lui. e ha con sé gli ottenebrati. — Certo che è lui! — esclamò isabelle. fino a quel mo- mento aveva tenuto la testa bassa sul tavolo, ma ades- so l’aveva rialzata. il suo viso era una maschera di odio e rabbia. — Aveva detto che stava arrivando ed eccolo qui, arrivato. Maryse sospirò. — Pensavamo che avrebbe attaccato idris, tutti i sospetti si concentravano su quell’obiettivo. Non sugli istituti. — Quindi sebastian ha fatto quello che non vi aspetta- vate — intervenne Jace. — Peccato che lui faccia sempre quello che non vi aspettate. forse il Conclave dovrebbe pensarci, no? — fece una pausa. — Ve lo avevo detto. Vi avevo detto che avrebbe voluto altri soldati. — Jace, così non ci sei d’aiuto — lo rimproverò Maryse. — Non ci stavo nemmeno tentando.
— io pensavo che il suo primo attacco sarebbe stato qui — disse Alec. — A parte quello che stava dicendo Jace, che comunque è vero, tutti quelli che lui odia o ama sono qui. — lui non ama nessuno — esplose Jocelyn. — Mamma, basta. — Clary sentiva il cuore che le mar- tellava dolorosamente nel petto, ma, allo stesso tempo, provava uno strano senso di sollievo. tutto quel tempo passato ad attendere il ritorno di sebastian, e adesso era successo davvero. l’attesa era finita: ora sarebbe iniziata la guerra. — Quindi che cosa dovremmo fare? fortifica- re l’istituto? Nasconderci? — lasciami indovinare — rispose Jace con un tono che grondava sarcasmo. — il Conclave ha indetto un Consi- glio. un’altra riunione! — il Conclave ha ordinato l’evacuazione immediata — rispose Maryse. A quella notizia, tutti rimasero sen- za parole, persino Jace. — tutti gli istituti devono essere sgombrati. tutti gli shadowhunters devono fare ritorno ad Alicante. le difese attorno a idris verranno raddoppiate a partire da domani. Nessuno sarà più in grado di entrare né di uscire. isabelle deglutì. — e quando ce ne dovremmo andare da New York? Maryse si drizzò sulla schiena. Parte dei suoi modi autoritari aveva fatto ritorno: la bocca era una linea sot- tile, la mascella irrigidita dalla determinazione. — An- date a fare le valigie — annunciò. — Partiamo stanotte

CHI LO ASPETTA?
CoHF Ovvero.....Sclero totale.

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