Non è un consueto dialogo con l’autore, pranzo appena concluso e pennichella nell’aria.
Foto WBUR, licenza CC BY-SA
Non è la presentazione di un libro, né un concerto musicale o un reading.
Chi si aspetta qualcosa di standard, ecco, è meglio che cambi piazza. Perché Piazza Rosa, quella a ridosso del castello con vista mozzafiato, non fa per lui, no.
Eppure è tutta piena, e giovani e meno giovani si ritagliano il loro spazio sul ciottolato, a ognuno il suo. Michael Chabon, in prima fila, sembra non attendere altro che l’arrivo dell’ospite.
E David Sedaris infine arriva, montatura degli occhiali rossa a fare pendant con il fazzoletto del taschino. Al suo fianco, raggiante come sempre, Lella Costa.
Non c’è un copione, questo è sicuro. Né una scaletta da seguire. Lo scrittore humour per eccellenza, il maestro americano dei racconti brevi, è un improvvisatore nato. Così, quando Lella Costa domanda se l’ironia sia la qualità umana che consente di superare nel bene e nel male quello che ci accade, Sedaris risponde che non ha mai capito il reale significato del termine “ironia”, perché si è sempre scordato di cercarlo sul dizionario. Non è solo una battuta, quello che intende dire è che non usa la sua arma migliore prefiggendosi un fine preciso, non c’è intenzionalità dietro il suo modo di fare e di scrivere, che a tanti appare così bizzarro. Lui è così, senza particolari motivi.
“Avevo deciso di smettere di fumare” dice “eppure dopo qualche ora, in preda all’astinenza, mi domandavo perché avessi avuto un idea così stupida. Infine, però, ho trovato una soluzione, e vi assicuro, funziona! Fare la valigia e partire per tre mesi, direzione Giappone”. Sì perché in Giappone, spiega, si può fumare negli interni, ma in strada è vietato, non per ragioni di salute, ma di spazio. A causa della densità di popolazione il rischio è quello di ustionare il vicino, puntandogli contro il mozzicone. “È semplice!”, ripete, “quindici mila euro e avete risolto!!” Insomma Sedaris è così, non proprio l’Uomo Qualunque, diciamo.
Poi parla d’Italia, di quanto gli piaccia il nostro paese e soprattutto la lingua. In particolare un breve dialogo, imparato durante un corso universitario e mai dimenticato, che recita così: “Come si chiama quel ventaccio gelido?” “Tramontana, si chiama tramontana!” Lella Costa gli fa presente che tra tutte le frasi che avrebbe potuto imparare, questa è in assoluto la più inutile, ma lui assicura di averla già ripetutamente usata, e nessuno si permette anche solo per un istante di non credergli.
“Hai infine deciso di usare il computer?” chiede Lella Costa. Sedaris, infatti, aveva giurato che mai avrebbe toccato un simile aggeggio. “Sono stato costretto”, ammette, “dopo l’11 settembre in America è sconsigliabile recarsi all’aeroporto con un oggetto che gli uomini del posto di blocco non conoscano. E la macchina da scrivere è tra questi. Una volta l’hanno estratta dalla valigia costringendomi a dimostrare loro che fosse realmente uno strumento di lavoro. Non credevano ai loro occhi quando gli ho detto che avevo bisogno di una presa!”
Il pubblico ride di gusto, soddisfatto. Ogni siparietto riserva sorprese, perché prontamente Sedaris esce dagli schemi e si instrada su percorsi inimmaginabili. Racconta di quella volta che dal dottore si è ritrovato in sala d’attesa con addosso solo un paio di mutande gialle, seduto al fianco di pazienti imbarazzati e increduli. “Fu un problema di comunicazione”, chiarisce, “ero a Parigi e quando il medico mi ha dato indicazioni devo aver capito male”.
Parigi è stata per anni la sua città di residenza, prima di comprendere che non andava propriamente d’accordo con tutti quegli americani che come lui amavano la capitale francese. “C’era qualcosa che non andava, capite?” Così si è spostato a Londra, dove la lingua è la sua.
“Perché non hai mai pensato di recitare?” – domanda Lella Costa. Sedaris spiega che ha sempre riscontrato qualche difficoltà con il linguaggio del corpo, e preferisce descrivere la realtà scrivendo.
Sì, perché a suo parere tutto ciò che racconta può avere a che fare con la quotidianità di ognuno di noi, per quanto spesso finiamo per barricarci dietro insuperabili strati di serietà.
Coraggioso e esilarante; se il tempo a disposizione non fosse contato, lui andrebbe avanti per ore, intrattenendo un pubblico che col passare dei minuti aumenta anziché diminuire.
A fine incontro è tempo di firme. Lui si sposta dietro un tavolino e dialoga con chiunque gli passi al fianco. Chi gli porge un libro riceve sulla prima pagina dediche imprevedibili: si passa da disegni di gatti con teste umane, elefanti in fila indiana a frasi prive di senso compiuto.
Stupore? No. Il suo nuovo libro si chiama “Esploriamo il diabete con i gufi”. Il motivo? “Un giorno una signora, a termine di una presentazione, mi domandò di autografare un libro per la figlia scrivendole come dedica “Esplora le tue possibilità”. La consegna non mi andava a genio, così le risposi che avrei certamente mantenuto la parola “Esplora”. Il resto fu un’invenzione del momento. Non fu entusiasta, credo. Ma in compenso io trovai il titolo che mi mancava!”
“Ritorna l’anno prossimo!” gli grida qualcuno. Applausi e ilarità: arrivederci e grazie, David Sedaris.