Oggi è uscita la mia rubrica #140cine su Doppiozero. Tra i tweet c'è quello che riguarda Il primo uomo, il film che Gianni Amelio ha tratto dall'ultimo e incompiuto romanzo autobiografico di Albert Camus, ricostruito dalla figlia e pubblicato nel 1994. Un film travagliato e un po' ingessato che si rivela però capace, per quanto in modo forse inconsapevole (anche se spesso l'inconsapevolezza cela l'istinto), di riassumere tutto ciò che impedisce al ben più celebrato Romanzo di una strage di essere ciò che vorrebbe essere, e cioè una riflessione astratta e insieme concreta di una pagina di storia che per noi sarà per sempre cronaca ed evento simbolico. «Colui che scrive non potrà mai essere all'altezza di colui che muore», dice (vado a memoria) un personaggio all'inizio del film citando un articolo del protagonista, uno scrittore algerino di origine francese dietro il quale è facile riconoscere lo stesso Camus. Siamo in Algeria, nel 1957, alla vigilia della guerra civile e questa frase che Amelio fa dire - forse presente già nel romanzo, non saprei - mi ha aperto gli occhi sulla distanza incolmabile che separa il racconto dalla Storia, il romanzo dalla verità, attestando come inevitabile quella perdita di vita che invece il film di Giordana vuole a tutti i costi riscattare. Anche il film di Amelio, che si apre su un cimitero, che racconta di un uomo legato al ricordo del padre mai conosciuto, è un film carico di morte, mosso da un desiderio di riscatto e di redenzione: ma nella sua modestia, nel suo attestare l'impotenza del singolo di fronte alle divisioni in seno all'umanità, pur nella sua voce flebile, è molto più onesto di Romanzo di una strage. Sarà per questo che sembra un film d'altri tempi, nel bene e nel male.
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Oggi è uscita la mia rubrica #140cine su Doppiozero. Tra i tweet c'è quello che riguarda Il primo uomo, il film che Gianni Amelio ha tratto dall'ultimo e incompiuto romanzo autobiografico di Albert Camus, ricostruito dalla figlia e pubblicato nel 1994. Un film travagliato e un po' ingessato che si rivela però capace, per quanto in modo forse inconsapevole (anche se spesso l'inconsapevolezza cela l'istinto), di riassumere tutto ciò che impedisce al ben più celebrato Romanzo di una strage di essere ciò che vorrebbe essere, e cioè una riflessione astratta e insieme concreta di una pagina di storia che per noi sarà per sempre cronaca ed evento simbolico. «Colui che scrive non potrà mai essere all'altezza di colui che muore», dice (vado a memoria) un personaggio all'inizio del film citando un articolo del protagonista, uno scrittore algerino di origine francese dietro il quale è facile riconoscere lo stesso Camus. Siamo in Algeria, nel 1957, alla vigilia della guerra civile e questa frase che Amelio fa dire - forse presente già nel romanzo, non saprei - mi ha aperto gli occhi sulla distanza incolmabile che separa il racconto dalla Storia, il romanzo dalla verità, attestando come inevitabile quella perdita di vita che invece il film di Giordana vuole a tutti i costi riscattare. Anche il film di Amelio, che si apre su un cimitero, che racconta di un uomo legato al ricordo del padre mai conosciuto, è un film carico di morte, mosso da un desiderio di riscatto e di redenzione: ma nella sua modestia, nel suo attestare l'impotenza del singolo di fronte alle divisioni in seno all'umanità, pur nella sua voce flebile, è molto più onesto di Romanzo di una strage. Sarà per questo che sembra un film d'altri tempi, nel bene e nel male.
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