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Le ragioni avanzate sono quelle standard in questi casi: più o meno diplomatici "motivi familiari" e voglia di rientro in patria, cose che a noi italiani non convincono (non abbiamo una traduzione per saudade, possediamo al contrario tutta una mistica sull'estero dove si va a "far fortuna"). Nell'annuncio comunque non si nasconde una tristezza che ci gratifica (siam fatti così: non ci basta quel che ci danno, dagli stranieri si pretende riconoscano che da noi "si sta meglio"), per il prossimo addio a quella che è stata la sua casa dal 2002, oltre dieci anni: prima da giocatore (tre stagioni con due scudetti e una Coppa Italia), poi dal 2007 come allenatore (bissando lo score da giocatore, poi le stagioni del lancio in Celtic League).
E' un ulteriore segnale del capolinea posto alla fine della stagione che sta per iniziare.
Stagione che guarda caso, Benetton Rugby ha già dato segno di voler affrontare in modo conservativo, a velocità moderata come dovrebbe fare ogni macchinista non distratto quando il treno approssimi una curva stretta. La rosa è stata ridotta a 38 giocatori, solo l'apertura-utility Matt Berquist in arrivo, grande nome sulla carta ma dal contributo nullo da quando è in Europa (uno dei maggiori flop del Top14 secondo Rugbyrama: alla Ghirada evidentemente si spera che il cambio d'aria generi un nuovo "caso Pirlo"). Sull'altro piatto della bilancia comunque la società trevigiana è riuscita a tenere a bada gli appetiti stranieri (con tutti quei francesi che girano adesso per i nostri campi d'allenamento ...); le fuoriuscite "indesiderate" (?) si limitano al solo Benvenuti e viene mantenuto l'impianto di squadra consistente e provato, scosso di striscio solo dalle disavventure Azzurre. Vedremo se riusciranno a non farsi destabilizzare dalla inevitabile reductio di un (tosto e demanding) coach dimissionario, nonostante gli scontati proclami via twitter sulla consapevolezza che l'ultima stagione "è una motivazione aggiuntiva a far bene".
Del resto conservazione e stasi paiono scelte mica solo di Benetton, pare il leit motif quasi generalizzato in Pro12.
Le gallesi - e la Celtic League - perdono nomi di peso assoluto come Jamie Roberts, Dan Lydiate, Jonathan Thomas e Khan Fotuali'i, George North e Tavis Knoyle, in cambio tornano i "vecchi" Gethyn Jenkins, Rhys Thomas e Richie Rees, arrivano Kris Burton, Tito Tebaldi, Netani Talei, John Barklay e Steve Shingler: sulla carta il piatto dei Dragoni piange, le speranze van riposte sui vivai.
Un po' meglio si difendono sulla carta le irlandesi, pur senza gran spolveri: il Connacht di Pat Lam perde il suo metaman Vainikolo ma arriva il lock dei Chiefs Craig Clarke; Munster se la vede coi fine carriera di O'Gara e Howlett e l'unico arrivo diciamo "di grido" è quello dell'ala Stormers Van den Heever; Leinster saluta Sexton, Nacewa, Van de Merwe e prova a bilanciarli con Zane Kirchner e Jimmy Gopperth, mentre Ulster fa la conservativa come Benetton. Infine le scozzesi: Edinburgh non faceva paura e rimane sostanzialmente ferma, Glasgow oggettivamente s'indebolisce.
Tutta la Celtic League insomma sta ferma o disimpegna, con l'eccezione - dovuta - delle Zebre (due uscite di peso ma mai del tutto convincenti - Halangahu e Tebaldi - contro arrivi importanti, Daniller o meno: Brendon Leonard su tutti, poi Berrymore, Chistolini, Iannone, Toniolatti): tutti fermi in attesa di cosa?
Beh, di conoscere dove giocheranno, con e contro chi e per che cosa; non limitatamente alla Celtic o quel che ne sarà ma anche sul piano dei tornei europei, dove le franchigie celtiche sono il villain conclamato, il problema da "limare" per i Franco-inglesi coi schei e le tv.
Tornando al caso Franco Smith, vien da domandarsi se dalla sua posizione sappia cose che noi non conosciamo riguardo al futuro della Celtic, se non altro delle italiane: la prossima è l'ultima stagione garantita, si ridiscuterà tutto partendo dal famoso contributo di 3 milioni. Forse a pesare non è tanto quel che sanno, quanto quello che NON sanno. Di certo la exit strategy del tornarsene bel belli tra i SemiPro Eccellenti è troppo palesemente poco seria per motivare chichessia, dal sudafricano ai reggitori dei cordoni della borsa celtica: in questi casi in cui tutti credono di aver ragione o di trattare da un punto di forza, il rischio concreto è che tutto finisca in vacca sulla base delle petizioni di principio.
Ci fu anche, qualcuno ricorderà, un abbozzo di polemica per una frase di sen sfuggita al presidente federale Gavazzi, quando asserì che è necessario instaurare un coordinamento spinto negli approcci tecnici di Nazionali e Celtiche, per cui era auspicabile che anche Treviso si "francesizzasse". Frase prontamente smentita, anche alla luce del successivo arrivederci e grazie a Gajan e le scelte "nazionali" per le Zebre. Chissà però, forse anche questo è entrato nel conto di una decisione "soppesata da tempo". Più che per la stupidaggine detta e poi smentita da Gavazzi, forse pesando in cuor suo il continuo - e pur logico - riferimento pubblico di Vittorio Munari alla differenza che fa poter contare su una cabina di regìa nazionale come in Argentina, quindi con una motivazione aggiuntiva rispetto a quella solo professionale. A fianco di questo, Munari ha comunque sempre pubblicamente indicato il "modello Tolosa" come strada da seguire, dove l'ingresso ai livelli manageriali si fa per vie interne ed è l'adesione alle "regole della casa" a far la differenza. Modello di cui Smith è felice esempio.
Più di tutte queste ciàcole comunque, può aver pesato l'incertezza sul futuro della squadra: dove, con chi, a che condizioni. E i tifosi? Era "amato"? Qualche criticatutto prono ai modelli calcistici si trova ovunque, figurarsi poi nel sanguigno Veneto ma non metterei ciò nel conto dell'addio, vista la capacità della società di "far quadrato" attorno ai suoi.
Tant'è, è già partito il toto allenatori: antiche frequentazioni portano a galla nientepopodimeno che il nome di Wayne Smith, uno degli artefici dei successi dei Chiefs, si fa anche il nome di un altro assistant neozleandese, questo a Chirstchurch, Tabai Matson ... Chissà perché poi: sia nell'uno che nell'altro caso mancherebbero i prerequisiti desiderabili sopra detti, se le parole hanno un peso. Vedremo.
L'ambiente e la Benetton stessa del resto non possono che rimaner freddi per un po', trincerandosi magari dietro allo slogan "pensiamo solo alla stagione in corso" e limitandosi ai "contatti conoscitivi". L'ambiente del rugby è globale ma piccolo, tutti sanno tutto: non sfugge a nessuno che l'incertezza regnerà sovrana almeno per parte della stagione, quindi è difficile trovar kamikaze. Si sente difatti in fondo il rumore della cascata, stiamo per arrivare a un autentico spartiacque per i destini del rugby italiano e non solo; in tale prospettiva, l'addio anticipato di Smith è una ulteriore conferma di triste incertezza sul futuro. Potrebbe andar peggio ma anche meglio: speriamo in bene che non costa niente ma prepariamoci al peggio.
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