Com’era glamour quella povera Italia ....
Creato il 17 febbraio 2012 da Dg_victims
@DG_VICTIMS
Ho cercato, forse non abbastanza, sul sito degli stilisti e su altri siti di notizie dal mondo della moda e della pubblicità, qualche informazione in più su questa foto
per la nuova campagna Dolce & Gabbana “Uomo estate 2012″, ma non ho trovato molto. Tutto quello che ufficialmente vien detto sul concept della campagna è che si tratta di “scene di una commedia all’italiana, dove gli attori interpretano episodi di vita di un paesino dell’Italia meridionale: un battesimo, un ritratto con la mamma, al bar con gli amici, pomeriggi alla spiaggia, corteggiamenti della bella del paese” eccetera eccetera.
In effetti il peruviano Mariano Vivanco, fotografo di fiducia della griffe, è l’autore di una piccola serie di scene di gruppo con attori-modelli che fanno appunto tutto questo.
Mi sarebbe però piaciuto trovare nei dintorni di queste immagini un secondo riconoscimento di paternità. È fin troppo chiaro, per chi abbia un minimo di familiarità con la storia della fotografia, che questa “foto di famiglia in un esterno” è un omaggio, diciamo un omaggio, allo scatto più famoso del lavoro di Paul Strand a Luzzara, dove assieme a Cesare Zavattini nel 1955 realizzò per Einaudi il libro Un paese, giustamente definito da Antonella Russo nella suaStoria culturale della fotografia italiana “l’unico vero foto libro italiano”.
Ed è per affermare una certa idea di italianità, in effetti, che sembra essere stato scelto un immaginario à la Strand, ossia per comunicare “l’essenza dei valori di Dolce&Gabbana: l’italianità, la tradizione, la famiglia, l’amore, la passione e il saper cogliere la modernità del passato rendendolo sempre attuale“. Di quale italianità si tratti, nell’anno 2012, è facile da capire: un’italianità che aveva qualche corrispondenza con la realtà sessant’anni or sono, ma che oggi appare tramontata, stereotipa, dunque mitica, metaforica, un’italianità vintage, da snobismo della povertà, che scimmiotta in caricatura l’Italia del dopoguerra vista da Strand, l’ultima Italia contadina prima del boom economico, il tramonto di una socialità, di un’umanità, di una cultura sul punto di lasciare il passo ad altre.
Era dunque questo l’intento, recuperare anacronisticamente l’umanista Strand per ribaltarlo in glamour? La citazione del ritratto della famiglia Lusetti in effetti è quasi letterale: piedi nudi e piedi calzati, la soglia scura, il muro scrostato qui una bici e là una carrozzina… Possibile che si tratti di una mimesi involontaria, di un’immagine inconsciamente riemersa dall’archivio mentale del fotografo? Perché no, può anche essere, ho scritto spesso che le immagini hanno una loro vita clandestina che ci sfugge, una genealogia che produce continuamente filiazioni senza l’intervento cosciente di una volontà umana…
Ma se non fosse così, se la citazione colta fosse invece consapevole, sottile ma voluta, mi chiedo perché da qualche parte non farne cenno? O da parte del committente, magari in un angolino della pagina pubblicitaria, o sul sito aziendale, o magari in quelle notizie di backstage o di “pubblicità della pubblicità” che ogni agenzia ama pubblicare per vantare le proprie creatività e il proprio portfolio clienti. Che i creativi delle agenzie pubblicitarie abbiano una cultura storica sulla fotografia non può che essere una buona cosa, che adoperino il lascito del passato come repertorio di idee è lecito, perfino inevitabile. Come ho già notato in un caso ancora più esplicito di debito verso un fotografo storico, quella piccola riconoscente citazione avrebbe aggiunto un tocco di eleganza e di savoir faire intellettuale a un’operazione legittimamente commerciale.
Oppure no? Se non fosse né dimenticanza né indifferenza? Se i creativi avessero omesso di proposito la loro fonte d’ispirazione, reputando che riconoscere un debito iconografico danneggi la loro reputazione o l’efficacia della campagna? Non so, non voglio essere a tutti i costi malizioso. Ma i debiti non pagati della pubblicità verso i grandi fotografi cominciano ad essere un po’ troppi e ricorrenti per essere casuali… (fonte: smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it)
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