Con “storia breve” mi riferisco a un racconto, esatto.
Ho già iniziato a scrivere qualcosa per la terza raccolta di racconti della Trilogia delle Erbacce, che pubblicherò nel 2016 (novembre/dicembre). Hanno un punto in comune: sono brevi, almeno sino a ora. Al massimo 20.000 caratteri. Poi si vedrà.
Me ne stavo a scrivere una scena, quando d’un tratto ho voluto rileggere il paragrafo precedente. Allora ho visto la luce…
Innanzitutto: non è semplice scrivere racconti
Insomma, stavo aggiungendo un mucchio di parole (la scena dentro uno studio medico, al quale poi ne sarebbe seguita almeno un’altra), e mi sono reso conto che stavo guastando tutto.
A grandi linee: parlo della rovina di un imprenditore. Si vende tutto ma la moglie, avida, non vuole sentir parlare di cambiare vita, tirare la cinghia. Niente affatto. Secondo lei tutto deve continuare come sempre: cameriera, BMW… Che si dia da fare lui. E i figli sono con lei.
Il problema delle storie brevi, è che l’autore deve cercare di essere efficace, e dimostrare che in quella narrazione c’è eccome del valore, ma in uno spazio ristretto. Certo, si può anche scrivere una storia breve… che sia lunga (praticamente i racconti della seconda raccolta, che dovrebbero uscire nei prossimi mesi, sono piuttosto lunghi). Ma non c’è scampo. Hai poco tempo. Se pubblichi racconti devi per forza essere efficace, conciso. Il rischio di allungare il brodo, o di sbagliare bersaglio, esiste eccome. No, non è semplice scrivere racconti.
Cerca il tesoro
E come chiudere una storia? Come scrivere un finale?
Pure questo non è semplice. Devi ricordarti sempre che se scegli il mestiere delle parole, scegli una gran brutta gatta da pelare. Ribadisco un concetto: hai poco tempo. Non puoi rischiare di rovinare tutto.
Ma come diavolo sono riuscito a capire che il finale era lì? Questa è la domanda che mi ha spinto a riflettere, e a scrivere questo post. Per quel che riesco a capire: occorre fare un passo indietro. Ascoltare la storia. C’era questa scena che mi sembrava, nella sua sobrietà, forte. Se avessi continuato, si sarebbe persa la sua forza. Quest’uomo, sposato, con due figli, completamente rovinato (la concessionaria è fallita, ha venduto il monovolume, la rimessa, e non può nemmeno usare quei soldi per chetare l’appetito delle banche), fa un gesto. Esce dalla sua vita (no, non si uccide); esce da quella vita. Completamente.
Sarei stato un asino se non avessi colto quanto quella persona mi stava dicendo.
“Certe esperienze ti fanno uscire completamente dalla tua vita. Se cerchi di rimettere a posto le cose, hai perso.”
Ecco cosa mi diceva quell’imprenditore fallito; ma io non avevo capito. E che diavolo scrivevo, allora?
Come potevo continuare? Il tesoro era lì, potevo davvero accumulare ancora pagine su pagine? E allora? Un bel taglio e buonanotte. Non credo che userò quel dialogo nello studio medico, anche se l’ho conservato. O forse sì.