Quando si legge un libro, soprattutto un buon libro, si cercano al suo interno diversi fattori. Il primo su tutti è probabilmente la qualità stessa del testo, una traduzione adeguata e non stilata con i piedi e un corretto uso della grammatica.
Siete d’accordo?
Ma poi si passa ai livelli successivi, dove la ricercatezza del testo, la scelta dei POV, il modo che l’autore usa per descriverci le varie scene e tutto il resto del comparto scrittorio, la fanno da padrone, decretando il successo (a volte) del libro.
Ma in quanti si fermano a guardare all’ambientazione?
Anzi, quanti la capiscono?
Non prendetela a male, non parlo di voi (sapete a chi mi riferisco) ma mi capita sempre più spesso di sentire critiche che faccio fatica a comprendere.
Lo spunto per questa riflessione mi è stato regalato da un commentatore qualche giorno fa, che diceva di non apprezzare molto la capacità (o non capacità, se vogliamo) che ha King di non saper gestire la tecnologia nelle sue storie. Ora, fermo restando che rispetto il commentatore in questione e che non ho alcun motivo per accanirmi su un’ipotesi, peraltro esposta nel più pacato e corretto dei modi, mi sono però chiesto quali sono i canoni per definire giusta o meno un’ambientazione.
Prendete Lovecraft, per esempio. Le sue storie sguazzano in quegli anni 30 che tanto conosciamo (almeno chi ha dato una scorsa ai suoi scritti) e, per quanto apprezzi molte opere uscite in seguito, soprattutto manualistica da gdr, mi immagino lui, mentre scrive di divinità, di morte e di pazzia, usando un contesto moderno…
E non mi torna…
E così credo di poter dire, ovviamente mettendo le mani avanti, che le sue storie hanno quel particolare fascino anche grazie al periodo storico in cui vengono ambientate.
Occhio, ho detto “anche” e non “solo”, perché l’ambientazione è importante ma non è certo l’unico elemento che funziona in un libro.
Anzi, è sempre piacevole trovare fusioni di due contesti differenti. Robot e combattenti del novecento, maghi a bordo di navi spaziali o alieni al tempo degli antichi egizi. I mix funzionano, questo è indubbio, ma bisogna farlo bene e con sapienza.
Il problema di questo ragionamento, però, risiede nei lettori stessi, io per primo, che abituati ognuno ad uno stile e genere preferito, si ritrovano per forza ad apprezzare cose diverse.
Ma così va il mondo…
E avremo ancora chi ci narra dei ruggenti anni sessanta, tipicamente american style, in cui le cose importanti non sono i cellulari o un computer, o chi ci calerà in intrighi misteriosi, legati all’arte e alle grandi domande dell’uomo, sempre in maniera pericolosa e rocambolesca.Avremo altri cloni di Twilight, o chi per lui, e leggeremo di altre apocalissi talmente divertenti da farci ricredere sul concetto stesso di fine del mondo.
Avremo tutto questo e tanto altro.
E io non vedo l’ora…