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Come eravamo, come siamo: un post del 1993

Creato il 21 aprile 2014 da Albertocapece

L’attualità è quello che è. Ma purtroppo è un’attualità lunga e incombente come una strada senza uscita e stretta come una galera. In occasione di un trasloco mi è capitata per caso tra le mani un’articolessa scritta all’inizio del ’93, un panorama sulle vicende dell’Emilia- Romagna e mai pubblicata se non come breve e inconsistente riassunto, che mostra un’Italia fin troppo contemporanea: l’avevo dimenticata e mi sono davvero sorpreso come già più di vent’anni fa l’Italia di oggi fosse in pieno rigoglio. E lo fosse – in germe -persino nelle parti meglio amministrate quando ancora Berlusconi non pensava di scendere in campo, cercando di affidare ad altro il compito di lasciare intatto il sistema. Così in questo periodo di ponti mi è venuto in mente di riproporla come documento del non passaggio del tempo.

cassonetti
“Già da molti anni a Bologna ci sono i cassonetti per i rifiuti e la gente si è abituata a gettarci di tutto, dai sacchetti dell’immondizia ai materassi consunti, ma nessuno si aspettava di trovarci i segreti di una grande azienda di stato, fino all’altro ieri intoccabile. Eppure l’Anas ha ricevuto un duro colpo proprio dai cassonetti: convinti che nessuno avrebbe messo il naso in quelle sentine di sporcizia, all’alba di un freddo giorno di febbraio gli impiegati del compartimento bolognese hanno buttato tutti i documenti compromettenti nel tripudio di bucce, scatolette aperte, cartoni e avanzi di cucina che giacciono dentro i contenitori di viale Masini, sicuri che sarebbero andati dritti in discarica. E invece la massa di cartine, mappe, appunti che riguardavano i contratti a trattativa privata, stipulati fra l’ ’85 3 il ’92, è stata recuperata dalla polizia e portata in Procura.

Con questo colpo di scena è cominciata l’inchiesta su alcune delle strade più importanti della regione, tra cui la 63 in provincia di Reggio Emilia, la E45 da Ravenna a Orte che qualcuno indica come la cassa continua dei partiti e la nuova Estense in provincia di Modena rifacimento della storica strada dell’Abetone – Brennero che dall’Austria arrivava fino a Livorno. Tutte vie crucis degli appalti che spesso portano al nulla ma che hanno anche qualche record mondiale. Inerpichiamoci sull’Appennino modenese e scopriremo l’unica galleria al mondo che non ha strade né per entrare, né per uscire. E’ lunga 1400 metri e giace abbandonata tra Pavullo e Pievepelago come testimonianza di una disneyland emiliana.

Fu progettata agli inizi degli anni ’80 e doveva far parte del percorso della Nuova Estense, strada di collegamento tra Modena e la Toscana che tuttavia è rimasta a metà. Ma la provincia che metteva i soldi, voleva forzare la mano ai promessi finanziamenti statali per la strada e far trovare Roma di fronte al fatto compiuto. Naturalmente la spesa prevista era di 10 miliardi, saliti rapidamente a 30 grazie alla galleria senza sbocchi. Una simile opera meritava certamente attenzione tanto che fu inaugurata due volte a maggior gloria dell’amministrazione che l’aveva concepita. Le bandiere tricolori hanno sventolato garrule però era già chiaro che la “Strettara” così era stato battezzato il tunnel non sarebbe servito a un bel nulla. Fatta la pentola l’Anas ci ha messo il coperchio: grazie ai buoni uffici del parlamentare Dc Franco Bonferroni, modenese doc, l’azienda per le strade ha speso altri 22 miliardi e mezzo per le vie di servizio necessarie alla costruzione e per un collegamento di fortuna con la statale 324 realizzato su misura per la topolino amaranto della canzone. Ma certo non ci si va che è un incanto, tanto più che la zona è franosa al massimo e soggetta ad alluvioni.

Il fatto curioso è che l’inchiesta aperta dopo il fortunoso ritrovamento della documentazione si riferisce solo ai lavori Anas, mentre che si sappia nulla si muove sul piano giudiziario per quanto concerne la galleria, ossia per quello che riguarda la Provincia e 30 miliardi buttati così generosamente al vento. Eppure per parecchi anni si è squadernato davanti a tutti il non senso di una galleria fra il nulla costruito dalla potente cooperativa rossa Cmb di Carpi, dalla Fabi di Trento e dulcis in fundo dalla Crovetti il cui titolare era per caso il sindaco di un comune vicino alla moderna cattedrale nel deserto, ossia Pievepelago. Un vero compromesso storico che tuttavia non sembra aver allarmato nessuno, nemmeno chi avrebbe avuto il dovere istituzionale di insospettirsi. Tutto è filato liscio mentre i costi aumentavano del 300 per cento e si faceva più remota la possibilità che la galleria diventasse davvero utilizzabile in tempi non biblici.

Sicuramente in Procura non saranno arrivati esposti per portare all’attenzione dei magistrati la strana composizione delle ditte appaltatrici dell’opera: dunque la cosa sarà sfuggita. Né pare sia stata notata la singolare giustificazione che la Provincia ha addotto sul prodigioso aumento dei costi: in sostanza si fa capire che ci fu una voluta sottostima per ottenere i primi contributi dal governo centrale. Ma allora con quali criteri sono stati assegnati gli appalti?

Domande  che rimangono senza risposta, almeno per ora. Domande nell’ombra. Del resto prima di una denuncia dei Verdi era rimasto ignoto anche il fatto che la tangenziale di Pievepelago, opera di assoluta e stringente necessità,  era stata costruita dall’azienda di proprietà del sindaco. Così mentre la Cmb e la Tetrapack di Modena sono inquisite per tangenti fuori regione, sotto la Ghirlandina le poche inchieste vanno avanti “adelante con juicio”. 

Non è certo la protervia con cui certe operazioni vanno avanti che può stupire: qualche anno fa a

Campazzo a Nonantola
Nonantola, pochi chilometri da Modena e sede di una celebre abbazia, l’allora Pci, attraverso una immobiliare di sua proprietà fece entrare nelle casse 600 milioni. L’operazione consistette nel far acquistare da una coop un podere di 40 mila metri quadri a un prezzo molto superiore a quello di mercato, poi lo stesso amministratore della cooperativa, casualmente assessore all’edilizia del comune, ne aumentò a dismisura gli indici di edificabilità. Ci fu un gran casino suscitato dalle opposizioni, ma la cosa meravigliosa è la tesi addotta dalla federazione modenese del Pci per giustificare in qualche modo il comportamento dei propri amministratori: tutto era stato fatto “per salvaguardare i soldi dei compagni dall’inflazione”.

Queste preoccupazioni da fondi comuni di investimento hanno avuto come risvolto qualche mitissima condanna: l’assassinio di un primario dell’ospedale e un’altra decina di delitti rimasti insoluti, catturarono gli interessi degli inquirenti. Ed è stata una vera fortuna per il procuratore capo Walter Boni che, in qualche modo sgravato da questa vicenda e dalle polemiche politiche, ha potuto dedicarsi agli studi storici e alla pubblicazione delle proprie poesie, i cui reading hanno trovato l’atmosfera giusta. Intendiamoci sono hobby che non distraggono dalla professione. Tanto è vero che che quando uno dei deputati locali, l’eterno dc Bonferroni, è stato coinvolto in una storia di tangenti, il procuratore stesso si è dato pena di convocare una conferenza stampa per esprimere l’augurio che l’onorevole fosse trovato estraneo ai fatti. Cosa c’è da aggiungere?

Forse ci sarebbe da mettere in lista il caso Sts, una società di servizio gestita dall’ex sindaco Pci di Modena, oltre che ex assessore regionale Germano Bulgarelli: si dice che abbia il monopolio delle attrezzature sanitarie in tutta la Regione. Sarà anche un’ignobile calunnia: fatto sta che il Pds ha consigliato i propri elettori a votare “no” nel referendum teso a togliere alle Usl il controllo dell’ambiente e dunque anche delle attrezzature e dei materiali con cui vengono svolte le indagini ambientali. Del resto la Sts è sotto inchiesta per i lavori all’ospedale di Fidenza, in provincia di Parma, città nella quale non mancano di certo i piccoli terremoti giudiziari. Ci sono indagini e avvisi di garanzia per le mazzette pagate a piene mani dal “Città due” una società formata dalle imprese Manara, Coopsette e Sinco, in cambio della variante su un’area del Palasport, triste capitolo cittadino apertosi con gli arresti dell’assessore socialista Alfredo Stocchi e del segretario locale del Psi, Claudio Belletti. C’è il caso dell’Amps per la nuova sede di via Traversetolo costruita con bel raddoppio di preventivi dove sono coinvolte la Pizzarotti e la Edilfarnese, impresa dell’ex presidente democristiano dell’Usl 4 (quella che ha giurisdizione sull’ospedale di Fidenza dove ha operato la Sts). Si indaga anche sull’ammordernamento dell’Autocisa con i soldi delle Combiadi, sulla tangenziale di Fidenza dove è coinvolta la Icla, legata a Cirino Pomicino e sui lavori nell’ospedale Maggiore di Parma, spartiti tra la cooperativa Ccpl e la ditta Magri.

Viene fuori un intreccio di partiti, di coop, di imprenditori che si sono spartiti grandi e piccoli appalti: è il ritratto di quanto accade anche nelle altre città della Regione ( e naturalmente dell’intero Paese) ma che qui comincia delinearsi con maggiore chiarezza. Parma che affonda il suo immaginario collettivo sugli splendori della corte di Maria Luigia e sulla relativa tendenza all’erre arrotata. Piena di gusto e di una vena malinconica che addolcisce i forti umori emiliani, è stata sempre anche politicamente un po’ diversa  dal resto della Regione, anche nel livello di consenso al Pci -Pds che non ha mai raggiunto i livelli di Bologna, Modena e Reggio. Ma ciò sembra aver persino favorito i compromessi e le manovre opache. Si mormora di feste in ricche dimore alle quali partecipa anche qualche magistrato e di ristrutturazioni di case che pare pesino come macigni sull’intraprendenza delle inchieste. I lettori mi scusino per la vaghezza però non vorrei trovarmi a rifornire di barche  e automobili di lusso persone che ne fanno una questione di onorabilità, ma il concetto è chiaro.

porto di Ravenna
Tuttavia di case e di ville è pieno il mondo. Se ne trovano anche a 150 chilometri a sud est di Parma, nella incantata e orientale Ravenna. Questa volta la villa se l’era fatta l’ex sindaco della città il pidiessino Dragoni. Oddio non era proprio sua, ma ricevuta in comodato per 90 anni da Pier Sante Manetti, titolare dell’Italfrutta in cambio del passaggio da agricolo ad industriale di un terreno attiguo al’azienda. In precedenza il fondo era stato acquistato dalla Società opere marittime dello stesso Manetti. una società che non è azzardato chiamare di comodo perché Mezzano è in piena campagna e il mare non si vede nemmeno per sbaglio. Ma il sindaco, diventato ex grazie alla divulgazione della storia, è stato assolto: ha dimostrato infatti di di aver speso 70 milioni per ristrutturare la villa e questo è stato considerato come il pagamento di un affitto. Insomma un gravoso affitto di  circa 70 mila lire al mese per 450 metri quadri.

Ma questo è solo un piccolo assaggio: sembra svanita nel nulla l’inchiesta su Maritalia, l’agenzia marittima sospettata di essere il collettore degli aiuti che dall’Unione sovietica arrivavano al Pci. Qualcuno ha sostenuto che attraverso Maritalia siano passati duemila miliardi:  certamente è un’esagerazione dovuta alle ridicole leggende che si sono sviluppate dopo la caduta dell’Urss, e probabilmente la cifra reale si ottiene dividendo per mille. Ma secondo il procuratore generale della Repubblica di Russia, Stepankov, pare compagno di bevute di Elstsin, giunto a Roma circa un anno fa, il sistema funzionava così: Maritalia si impegnava a scaricare le navi russe che giungevano nel porto di Ravenna in un determinato periodo di giorni: se il limite di tempo veniva superato allora si doveva pagare una penale per il fermo -nave. E naturalmente questi ritardi si verificavano con straordinaria regolarità, nonostante l’efficienza del porto che solo un ministro da discoteca come De Michelis riesce a contestare per concentrarsi sullo sviluppo di Marghera, tanto per abbellire Venezia.

Inutile dire che le penali non giungevano in Urss, ma rimanevano in Italia e infatti l’inchiesta adesso arenata non riguardava il finanziamento in sé, quanto le sue forme che prefiguravano l’evasione fiscale. Casini, democristiano superstite, strepita perché venga fuori la verità (da che pulpito), ma il Palazzo di Giustizia inaugurato da appena 4 anni ha ben altri problemi: quello della pioggia per esempio che s’infiltra in ogni dove rendendo necessario andare in udienza con l’ombrello. Così si sono perse le tracce anche dell’affare Bordini. Un piccolo notabile Dc coinvolto in una strana storia di coperture e di prestiti a personaggi in odore di mafia e che forse potrebbe dire qualcosa sul progetto della nuova ferrovia Rimini – San Marino, che aveva cessato il servizio dopo i bombardamenti del 1944, ma fortemente spalleggiato dal boss della Dc calabrese, Ludovico Ligato, l’uomo dello scandalo delle lenzuola d’oro, fatto fuori tre anni fa in un agguato di ‘Ndrangheta. Pochi mesi fa a Bordini arrivò un avviso di garanzia. Chissà che fine ha fatto, ma si sa che uomo avvisato mezzo salvato, soprattutto in certe compagnie. E che dire delle varianti della E45, Ravenna – Orte una delle quali, non sarebbe mai stata in piedi (come da perizia fatta in seguito) se davvero fosse stata costruita, ma tanto serviva solo a a far correre i conti verso l’alto.

Piccola antologia ravennate, insomma. Ferrara merita un capitolo a parte”

 


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