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Come fare le descrizioni

Da Marcofre

come fare le descrizioni

Già, come fare le descrizioni?
Be’, per quanto mi riguarda posso dare un’occhiata a quanto scriveva lo scrittore russo Anton Čechov, per avere almeno una pallida idea di come muoversi. Occorre tuttavia rammentare che lo scrittore russo spesso e volentieri dice che cosa evitare. Di solito non fornisce indicazioni precise su “come scrivere una descrizione vincente”. Perché pure lui segue la celeberrima regola: “Hai voluto la bicicletta? E allora pedala!”.

La ciccia è gioia

Quando Čechov parla delle descrizioni, lui consiglia di essere semplice. La semplicità, unita alla sobrietà (“Non eccedere”, afferma), sono la bussola per non sbagliare. Cosa evitare?
Tanto per iniziare i luoghi comuni. E lo scrittore russo fa proprio degli esempi in modo che il fratello, al quale era indirizzata la lettera, sappia come regolarsi.

Il sole al tramonto, immergendosi nelle onde del mare che s’andava oscurando, inondava d’oro purpureo…”.

Tutto questo, o roba analoga, sono da evitarsi.
Come dici? Che adesso non si scrive più così? Al contrario, scommetto la Jaguar che non ho (ancora) che si scrive così (e a dire il vero, in certi libri in cima alle classifiche si legge di peggio. Ma lasciamo stare).
Čechov consiglia invece di prestare attenzione ai piccoli particolari. Il lettore, dice lo scrittore russo, deve chiudere gli occhi e vedere davanti a sé il quadro. Ogni tipo di antropomorfismo: il mare che sussurra, parla, è sconsolato, sono da evitare. C’è il sole che tramonta? Bene: “Il sole tramontò”. Tutto qui? Esatto, e poi si passa alla storia, alla ciccia vera insomma. È nella ciccia che il lettore trova la gioia. La ciccia è gioia.

Hai detto… Pittoresco?

Sì ho detto pittoresco, o meglio lo dico io adesso, anzi no; lo afferma ancora una volta Čechov. Non è semplice ottenere un simile effetto con le descrizioni. Secondo lui, il lettore dovrebbe chiudere gli occhi e rappresentarsi quanto descritto. Gli odori… Sì, ma come si fa a descrivere un odore? Come si fa a descrivere qualcosa del genere a persone abituate a respirare gasolio e fritto?
Buona domanda. Di certo questo dimostra quanto sia cambiato il mondo da allora. Il buon Čechov conosceva l’odore del fieno. Se scendessi in strada e chiedessi al primo che passa: “Che cos’è il fieno?”, non saprebbe rispondermi. Quindi non sarebbe nemmeno in grado di riconoscerne l’odore, ma dovrebbe farne esperienza prima, per poi dire: “Ah sì, ecco, sì sì, adesso lo so!”.
D’altra parte questo non è affatto un problema perché spesso chi scrive, scrive di cose di cui non ha alcuna esperienza. Non bisogna ammazzare qualcuno per scrivere cosa pensa un assassino. Certo, in certe storie una conoscenza dei meccanismi di indagine è indispensabile, quindi o si conoscono oppure ci si rivolge a chi li conosce.
Probabilmente la soluzione all’odore del fieno è riuscire a produrre nel lettore il desiderio di sentirlo. Riuscire a creare una descrizione talmente efficace che nella metropolitana di Milano costui o costei alzi la testa per 3 secondi e pensi che non ha alcuna esperienza al riguardo. Che dovrebbe farla.
Comunicare al lettore una certa forma di nostalgia è la prova che stiamo facendo un discreto lavoro.


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