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Le affinità spaziali di Francesco G. Tigani
Galileo Galilei, il grande indagatore dell’Universo, Matematico Primario dello Studio di Pisa, il genio costretto all’abiura dalla Chiesa cattolica, a differenza di Giordano Bruno non conobbe la tortura dei ferri roventi, le sue carni non vennero straziate dal boia. Eppure anche Galileo venne percepito come pernicioso per la teologia tradizionale. Il suo «eppur si muove» a sostegno del copernicanesimo, mal si accordava con i passi della Bibbia e con le dottrine eliocentriche dei padri della Chiesa. Non erano tempi quelli in cui si potesse rinunciare come successivamente fece Laplace, all’ipotesi di Dio. Esso, certezza assoluta e indiscutibile, cristallo sempiterno e ineffabile potenza, permeava di sé ogni aspetto della vita quotidiana dell’uomo. Associato alla pulizia, al cielo, alla luce, Dio, Supremo Reggitore, era più che un business, la sua ultrafanica saggezza era la garanzia stessa del potere temporale della Chiesa. Finché esisteva Dio, esistevano i suoi rappresentanti in terra, intoccabili, temibili.Si poteva finire sul rogo anche per semplice delazione. Il demonio, collegato ad istinti bestiali, nerezza morale e spirituale, tallonava uomini e donne, il suo fiato sulfureo condizionava le coscienze.
Un solaio per un architetto è una struttura in legno, in calcestruzzo o in acciaio, bidimensionale piana caricata ortogonalmente al proprio piano. Per un poeta il solaio «è come un vecchio amico» che ti fa sentire il contatto con il cielo, respirando i segreti delle stagioni. «Il grigio lieve dell’autunno, morbido e screziato, composto di piccole alluvioni in fuga per le scale, e poi l’intima umidità dell’inverno, quando i letti e le coperte di lana pungono come aghi di pino secchi e da soli sono vere case autonome, ovali di quadri con mondi interi, infinitesimali... Il legno del solaio assorbe i microcosmi climatici».
Ebbene cos’hanno in comune l’Inquisizione coi suoi roghi, Galileo e un solaio?
Risposta. Un racconto di Francesco Tigani pubblicato nel 2006 nella collana di studi di filosofia da Armando Siciliano.Si tratta di un giallo, costruito sul filo delle testimonianze, dal processo aperto il 12 aprile 1633 ai personaggi che ruotavano attorno al genio di Galileo. I fatti vengono presentati con lucidità, i personaggi sfilano davanti agli occhi, prendono vita nelle descrizioni di uno stile accattivante. Il risultato è un testo dalla lettura piacevole, denso, carico di riferimenti letterari. L’azione parte dal solaio, centro pulsionale e razionale insieme, luogo adatto alla meditazione, più vicino al cielo, silenzioso. In un solaio Galileo guardava le stelle e ha fatto le sue grandi scoperte. In un solaio un giovane ricercatore, appassionato di storia e di filosofia riapre il caso Galilei, nonostante «le accuse d’insensatezza e fumisteria».
Si parte dal verbale della seduta del 26 gennaio 1616, dai primi atti, l’ammonizione quando «il Commissario fece precetto ed ingiunzione a detto Galileo ancor presente e costituito, in nome del Papa e di tutta la Congregazione del Santo Uffizio, di abbandonare detta opinione, né altrimenti di qualsiasi modo di tenerla, insegnarla o difenderla a voce e per iscritto; che altrimenti si procederebbe contro di lui da parte del Sant’Uffizio».Si crea un parallelismo, un’affinità spaziale unita dal filo della storia, rivissuta con spirito indagatore, con curiosa partecipazione.
Si arriva ad una soluzione di matrice pasoliniana: «Io so, ma non ho le prove, non ho nemmeno indizi».Le stelle hanno in qualche modo occhi che guardano, e sanno, gli uomini possono soltanto fare delle ipotesi che come foglie al vento, si involano ad ogni cambio di stagione.Il filosofo sente, non ha bisogno di adeguarsi pedissequamente ai fatti, lo storico può soltanto presumere. La storia ha bisogno di dati reali, la filosofia può permettersi qualche volo pindarico e osare forse un po’ di più. Il filosofo protagonista di “Solai”, può permettersi di sognare in una notte illune, vestito di scuro contro la luce bianca del lampione che soffia nelle clessidre dei fogliami, e percepire delitti lontani nel tempo per indagarne la natura e gli effetti, per combattere la putredine alienante ed estraniante del nulla e maturare la propria coscienza di individuo proiettato nell’orizzonte del proprio tempo e di passate storie. In una delle 20.000 tavolette ittite dell’Archivio di Mari lo schiavo Jakim-Addad comunicava al proprio padrone che un leone era penetrato nel solaio della casa di Akkara. Per lo storico si tratta semplicemente di un normale episodio di cronaca casalinga. Finisce il lavoro dello storico e inizia quello del filosofo che comincia a pensare e poi si domanda: «Come ha fatto un leone a penetrare in un solaio?».
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