Farinata degli Uberti
Dicevano gli antichi che la sconfitta è orfana ma la vittoria ha sempre molti padri.
Vi sarete accorti che negli ultimi dieci giorni, sia i giornali sia la televisione hanno dato un’informazione distorta sull’eccezionale evento, storico e giudiziario, che avrà luogo giovedì 28 ottobre, a Montelepre: l’apertura della tomba del terrorista nero Salvatore Giuliano.
Purtroppo per lui, anche se passa per morto, non aveva santi in paradiso sufficienti a spedire le sue spoglie mortali in qualche cattedrale romana. Altrimenti avrebbe riposato in pace, tra canti e messe, assieme ad uno dei suoi tanti epigoni: Enrico De Pedis, alias Renatino, il capo della banda della Magliana negli anni ’80. La cui tomba continua ad essere sigillata trovandosi in territorio della Santa Sede. Beato lui.
In che cosa consiste questa anomalia mediatica?
E’ presto detto: sono in pochi a dire che la decisione della Procura della Repubblica di Palermo è diretta conseguenza di un nostro esposto datato 5 maggio 2010.
Due mesi dopo, siamo stati ascoltati dai Pubblici Ministeri. Il resto è noto, visto che ne hanno parlato ampiamente quotidiani come “la Repubblica” e il “Corriere della Sera.”
Malgrado la disinformazione circolata nelle ultime settimane, oggi per noi è una bella giornata.
Gli articoli di Mario Pintagro e di Giuseppe Lo Bianco, usciti rispettivamente sulle pagine palermitane de “la Repubblica” e su “Il Fatto Quotidiano”, ci ripagano di non poche amarezze. I due giornalisti e scrittori illustrano ampiamente un progetto cinematografico, che vedrà la luce l’anno prossimo, al quale lavoriamo da anni assieme al regista Franco Maresco e alla sceneggiatrice Claudia Uzzo.
Il geniale artista palermitano ritiene, ad esempio, che il “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi (1961) “alimenti il mito del bandito. Giuliano non si vede mai in faccia nel film, è sempre ripreso di spalle, proprio come Gesù nel celebre ‘Ben Hur’. E’ una scelta registica che contribuisce a creare un alone di mistero e leggenda attorno al personaggio”.
Franco Maresco ( a sx)
“Ma noi vogliamo andare oltre – ci dice Maresco – per raccontare il Giuliano devoto che incontra padre Pio, chiedendogli addirittura di diventare cappellano della banda. Ed anche la particolare devozione a San Francesco di Paola, imposta da Giuliano alla banda che aveva operato anche in Calabria e aveva assistito alle processioni del santo.”
Su “Il Fatto Quotidiano”, Maresco è ancora più esplicito: “E’ una vicenda che fa accapponare la pelle e impallidire Pirandello. In quegli anni si costruiscono in Sicilia le basi di quello che diventerà lo stragismo degli anni ’60 e ’70. [...] Una storia che è solo un pretesto per raggiungere l’essenza della Sicilia, teatrino beckettiano dell’assurdo, attraverso l’unica chiave di lettura possibile, che è quella del grottesco, del surreale.”
Aggiunge Lo Bianco: “Il film di Maresco racconta la vicenda umana di un Giuliano post-mortem, spedito di nascosto negli Usa, grazie all’intervento dei servizi di intelligence, che si muove fra trattative, tra Stato, mafia e banditismo, spie travestite da frati, improbabili figli, sosia disoccupati, una conversione mistica con lo zampino di padre Pio e persino la voglia inedita del bandito di dirigere un film su se stesso e sul proprio mito.”
"Come inguaiammo il cinema italiano"
“In Sicilia i fatti hanno sempre superato l’immaginazione – spiega il regista – e noi affideremo il bandito alla fantasia più audace. [...] L’anno prossimo sarà il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e il film è un modo reale e scomodo di spiegare per quale ragione questo Paese, con una Repubblica nata dagli accordi con la destra neofascista in mezzo agli intrighi, al cui confronto i Borgia appaiono dei dilettanti, non può conoscere, a differenza di tanti altri Stati, il valore dell’unità e della coesione sociale. ” Certo, anche noi, come Franco e Ciccio nel film diretto da Franco Maresco assieme a Daniele Ciprì, nel 2004 – “Come inguaiammo il cinema italiano” – abbiamo sparigliato le carte di un bel pezzo della storia italiana e siciliana recente. Che in troppi, tra docenti accademici, scrittori improbabili e giornalisti in malafede, hanno sempre cercato di mummificare a discapito della verità e degli ignari posteri.
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino