Come la soggettività determina il gusto, seconda riflessione.

Da Sergiomaria

Come la soggettività determina il gusto, seconda riflessione.

di Sergio Maria Teutonico

Il gusto, inteso come strettamente percepito dalle combinazioni chimiche elaborate in risposta agli stimoli degli organi preposti a recepirlo e trasformalo, è innato, ovvero sin dalla nascita riusciamo a comprenderne la sensazione, pur dovendo in fase di progressione del nostro intelletto e delle esperienze che accumuliamo, imparare a chiamarlo per nome.

Ciò che ha sapore, ovvero che sa è l’insieme di percezioni olfattive, tattili, uditive, termiche, ambientali, esperienziali.

Ciò che il nostro cervello elabora è il rimando di complesse percezioni e combinazioni che sono frutto di una miriade di informazioni soggettive ed oggettive, le quali combinate tra loro ci forniscono nozioni che non sempre riusciamo a rendere coerenti e concrete.

Ciò che attraverso il gusto diventa esperienza vincola il nostro riconoscimento gusto-olfattivo, aumentando la nostra capacità di percezione e riconoscimento.

Esprimere con termini appropriati ed inequivocabili il gusto è, in fase di descrizione e quindi di analisi organolettica, difficile dal momento che ognuno porta in se un diverso bagaglio mnemonico, legato a fattori vari e variabili come ad esempio gli stimoli ricevuti nella primissima infanzia, le circostanze che hanno lasciato ricordi più o meno marcati in relazione alla percezione di odori e consistenze, la capacità cognitiva di abbinare un odore ad un determinato oggetto o sensazione, la sensibilità variabile e molto personale che ognuno ha di differenziare un flavor (o flavour) complesso in sensazioni più semplici e quindi meglio descrivibili.

Ogni percezione varia a seconda della persona che la percepisce: questo spiega in maniera pratica perché accade che la stessa pietanza servita a persone differenti possa risultare più o meno sapida o anche perché alcuni apprezzino maggiormente bevande dal retrogusto amaro piuttosto che dolce.

Percezioni innate come l’amaro, l’acido, il dolce e il salato (e non solo), come abbiamo detto in precedenza, sono riconducibili a istinti ancestrali: le donne percepiscono generalmente meglio sentori amari rispetto agli uomini, così come gli anziani percepiscono meno il salato rispetto ai giovani; anche il dolce induce istintivamente alla nutrizione, permettendo al nostro organismo di scegliere quei cibi, appunto dolci, che contengono maggiore quantità di energia: per questo è maggiormente percepito in situazioni di stress o di fatica, proprio perché l’apporto di sostanze dolci veicola nel nostro organismo nuove ed immediate disponibilità energetiche.

Provate a pensare al senso di rilassatezza e gratificazione che si prova nell’assumere una fetta di dolce, allo stato d’animo che ben ci dispone verso di noi e gli altri, o ancora soffermatevi sull’avversione letteraria del Pinocchio di Collodi che fermamente rifiutava la sua “Madicina” poiché amara, piccoli esempi che sicuramente il lettore potrà ampliare e rendere suoi semplicemente utilizzando associazioni e ricordi.

La percezione è influenzabile da diversi fattori che favoriscono o limitano le sensazioni gusto-olfattive: la temperatura ad esempio aiuta a percepire in misura maggiore o minore sensazioni come alcolicità, acidità, aromaticità. Questo lo sanno bene i degustatori di vino, che interagiscono aumentandone o diminuendone la temperatura, migliorando in questo modo la possibilità di abbinare propriamente un vino ad un cibo (di questo aspetto parlerò più ampiamente tra qualche pagina).

Il salato: la percezione di questo gusto è direttamente proporzionale alla sua assunzione; non entro in meriti di natura salutista, troppo sale fa male e non aggiungo altro. Vorrei soffermarmi invece su un altro aspetto: ovvero che la capacità di percepire il sale non è standard, ma può, ad esempio, variare in funzione di specifici regimi alimentari.

Una dieta povera di sodio, anche se per un periodo relativamente breve, ci inibirà verso il sale facendoci percepire come eccessivamente salate pietanze invece saporite in maniera adeguata.

Per contro, salando eccessivamente ciò che mangiamo, avremo la sensazione che una pietanza salata normalmente, sia insipida.

Bisogna quindi far attenzione, quando si cucina, a mantenere le quantità di sale basse, se non bassissime, senza eliminarlo del tutto, garantendo a noi e a chi il nostro cibo mangia, una corretta proporzione gustativa, che non infici l’insieme della nostra preparazione a vantaggio di una eccessiva presenza di sale penalizzando al contempo gli altri sapori ed aromi.

L’acido (aspro): è una di quelle percezioni che ci proteggono da possibili danni, ovvero un’eccessiva concentrazione acida potrebbe danneggiare sia le strutture esterne che quelle interne del nostro organismo; lasciate cadere alcune gocce di succo di limone sulla vostra lingua: la risposta immediata sarà una copiosa salivazione. Questo perché l’eccessiva concentrazione acida deve essere diminuita, in questo specifico caso diluita, grazie alla saliva evitando potenziali danni al nostro organismo.

L’amaro: è senza dubbio il gusto che percepiamo con maggiore chiarezza. E’ interessante pensare che, nonostante il nostro organismo abbia una trentina di recettori specifici per questo gusto primario, noi non riusciamo a distinguere differenze nel sapore amaro: è tutto uguale!

La percezione del gusto amaro è collegabile a ciò che potenzialmente potrebbe esser velenoso: gli alcaloidi, sostanze spesso presenti nei vegetali, sono più o meno tossici per il nostro organismo e il sentore gustativo che ne deriva, invariabilmente, è appunto l’amaro.

Ho accennato alla maggiore sensibilità delle donne al gusto amaro. Provate ad immaginare l’uomo raccoglitore della preistoria: l’istinto (e poi anche l’esperienza) aiutava le donne a non assumere sostanze pericolose, impedendo che tali sostanze potessero non solo danneggiare la donna stessa ma giungere ai propri neonati allattati al seno.

Anche i neonati, in genere, rifuggono istintivamente sapori troppo intensi o aromi particolarmente spiccati. Un consiglio che si riceve normalmente in fase di allattamento e pre-allattamento è quello di evitare di mangiare tutti quei cibi, come l’aglio ad esempio, che potrebbero in una qualche maniera conferire sentori insoliti al latte materno ed il conseguente rifiuto da parte del neonato.

Ecco anche perché l’amaro è il gusto, tra tutti, meglio percepito ed al contempo più generalizzato: indica il pericolo e come tale non serve al nostro cervello di riconoscerne la tipologia, ma semplicemente sapere che è presente nel cibo che assumiamo.

Ovviamente non tutto ciò che è amaro equivale ad un avvelenamento potenziale!

Nel latte materno, ricollegandomi a quanto scritto prima, vi sono sostanze come l’adenosine monofosfato che riducono la percezione di questi sentori e consentono al neonato di nutrirsi più facilmente.

E’ anche interessante ragionare circa la maggiore sensibilità ai sapori amari nelle donne in gravidanza e, di contro, la diminuzione di capacità percettiva nelle donne in menopausa.

Quindi comprendiamo che il gusto è anche veicolo di conoscenza, è come tale aiuta il nostro corpo ad integrarsi meglio nell’ambiente che lo accoglie, superando in una certa misura ritrosie comportamentali dettate meramente da istinti atavici.

L’umami: è luogo comune pensare che i gusti siano percepiti in misura esatta in determinate zone della nostra lingua; la realtà è che noi percepiamo tali sapori su tutta la sua superficie, così anche accade per il sapore umami.

Umami è una parola giapponese che si può tradurre con l’espressione ‘che ha sapore’; è determinato dal glutammato monosodico ed alcuni nucleotidi presenti in misura variabile nel cibo.

Un’espressione che può meglio definire questo gusto è ‘rotondo’: infatti il sapore umami esalta la sapidità dei cibi. Si faccia attenzione che per sapidità intendo l’insieme del sapore e non il gusto salato. Questo gusto è erroneamente attribuito a sapori industriali ed artificiali, mentre è naturalmente presente in carni, pesci, formaggi, verdure e frutta.

Il sapore umami è quello che ci abitua a percepire meglio gli altri sapori, migliorando in una certa misura le sensazioni amare che come detto potrebbero inibirci. Ricollegandomi al latte materno, in esso è presente in quantità decupla rispetto ad esempio al latte vaccino.

La percezione del gusto umami è più spiccata in fase di cottura degli alimenti: il flavor delicato di un tartufo nero meglio si esalterà laddove in fase di cottura, anche brevissima, si trasformerà l’acido glutammico in glutammato e quindi in puro ‘sapore’.

In sostanza la stessa cosa accade per i nucleotidi che, sempre per effetto del calore, esaltano spiccatamente il glutammato. Basti pensare al sapore di una patata cruda e di una patata lessa, quale delle due ha più gusto?

E’ nostro dovere educare al gusto specialmente i bambini attraverso la scelta di alimenti che coinvolgano i gusti innati, affinandoli ed aumentando il bagaglio di ricordi legati ad essi, permettendo così la creazione di una vera e propria banca dati di sapori appresi e sapori innati.

Come ovvio, crescere e diventare indipendenti implica autonomia di scelta anche per ciò di cui ci cibiamo, quindi siamo noi a determinare ciò che ci piace e ciò che non ci piace, prescindendo dal fatto di ciò che è buono e ciò che non è buono.

Ci vogliono apertura mentale e desiderio di scoperta nella ricerca del gusto altrimenti si rischia di cadere in una routine di abitudine gustativa che ci condizionerà, limitandoci seriamente, nella scelta degli alimenti di cui nutrirci per tutta la vita.

La sensorialità è un insieme di esperienze consce e inconsce, che dobbiamo alimentare attraverso esperienze diversificate, apprezzando in questo modo ciò che ci nutre e trasformando queste esperienze in ben altro che semplice sostentamento.

Sarebbe bello se ogni cosa che proviamo fosse piacevole; vi sono purtroppo alimenti che effettivamente ci disgustano ed altri che invece ci attirano irresistibilmente. Portando un esempio personale, gli gnocchi di patate, qualsiasi fosse il condimento, erano a me insopportabili fino alla tarda adolescenza; la consistenza e la masticabilità di questa pietanza mi inorridivano. Oggi, paradossalmente, è diventata uno dei miei piatti preferiti proprio per quelle sensazioni che, un tempo, mi rendevano diffidente. Cosa è accaduto quindi? Ho imparato a sentire e a percepire diversamente gusti e sapori, migliorando, almeno in questo caso, una carenza dettata probabilmente da un approccio infantile errato.

Si possono combinare gusti acquisiti e gusti innati per rendere più appetibile un alimento che ci disgusta: ho realizzato laboratori gastronomici con bambini in età scolare facendo assaggiare loro verdure crude e cotte di diversa tipologia; la maggioranza di loro inorridiva al solo pensiero di assaggiare un finocchio o un broccolo: semplicemente immergendo questi cibi in un pinzimonio a base di ottimo olio extra vergine di oliva, che tutti loro apprezzavano, magicamente ciò che prima era orribile diveniva fantastico!

Altro esempio sono le carote: crude sono spesso molto apprezzate, mentre cotte lo sono meno; probabilmente l’aspetto delle seconde inganna i nostri sensi visivi che inducono ad aspettarci di percepire una consistenza croccante ed un gusto fresco, con note vegetali e dolci. In realtà le sensazioni gustative sono differenti nella carota cotta e quindi il nostro cervello reagisce, talvolta, a questo piccolo inganno visivo con il rifiuto.

Se invece prepariamo una minestra o uno sformato apprezzeremo maggiormente la carota cotta in quanto il suo aspetto sarà ‘mimetizzato’ dalla preparazione ed il nostro cervello non avrà modo di cadere in equivoco.

Se volete approfondire questo argomento scrivetemi nel forum del mio sito, sono a vostra disposizione.

Leggi anche questo articolo: La fisiologia del gusto, prima riflessione.


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