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Come leggere un racconto /13 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

La signora May era una contadina solo per forza maggiore. Il defunto signor May, un uomo d’affari, aveva comprato la fattoria quando la terra era in ribasso, e alla sua morte non aveva avuto altro da lasciarle.

 

Continuiamo nella nostra “esplorazione” del racconto, ed ecco che ci troviamo a sapere qualcosa di quello che è successo prima. Dopo la morte del marito, la signora May si trasferisce in campagna coi figli, poco entusiasti del trasloco. Taglia il legname, lo vende, fa costruire stalla e latteria. Il signor Greenleaf risponde alla sua inserzione:

 

“O letto l’aviso arivo o due maschi”.

 

È essenziale fornire certe informazioni; è fondamentale non perdere mai di vista che non è qui che si gioca il destino della storia. Ma altrove. Non si tratta solo di narrare, bensì di costruire una struttura dove l’azione si svolga in un’atmosfera credibile. Reale.

Almeno un accenno a quello che è successo in precedenza, ci deve essere. I personaggi hanno un passato, e adombrarlo, magari con poche, pochissime pennellate, aiuta.

Non importa se il lettore non se ne cura, oppure lo ignora perché egli è superficiale. L’autore sa che ci sono doveri verso la storia, e non importa se a notare il suo impegno sono una manciata di persone. Spesso scrivere vuol dire farsi il mazzo per costruire dei dettagli ai quali quasi nessuno presterà attenzione. Però credo con forza questo: ci sono dei lettori ai quali non sfugge nulla. Bisognerebbe sempre pensare a costoro, in qualche modo.

 

Wesley sosteneva che la signora Greenleaf non era invecchiata perché sfogava tutte le sue emozioni nella preghiera. “Dovresti metterti a pregare, gioia”.

 

Wesley è il figlio della signora Greenleaf, l’intellettuale di successo. Che tipo è?

 

Faceva venti miglia ogni mattina per raggiungere l’università dove insegnava (…) ma, diceva, odiava quelle venti miglia, odiava quell’università di second’ordine e odiava i deficienti che la frequentavano. Odiava la campagna e odiava la vita che faceva, odiava stare insieme a sua madre e a quell’idiota di suo fratello, odiava sentir parlare (…) dei maledetti braccianti (…). Ma (…) non muoveva un dito per andarsene.

 

Un intellettuale di successo, come pensa la signora May, la madre, che in realtà non pare granché. È uno che parla, e odia tutto quello che lo circonda. Per spiegare l’atteggiamento di Wesley nei confronti degli altri, Flannery O’Connor impiega in fondo poche righe. Quello che è interessante notare, è che Wesley viene sempre mostrato nelle sue relazioni con il mondo esterno, gli altri. Che si tratti di suo fratello, dell’università, della campagna: lui odia.

Un dettaglio insignificante? Non credo. Una storia è vita, e quest’ultima vive di relazioni. Quindi Flannery O’Connor non si limita solo a illustrarci come la pensa Wesley, ma indica la natura (mediocre) dei suoi rapporti con le persone.
Poco oltre, troviamo questo:

 

“Se andaste in chiesa, incontrereste qualche ragazza per bene.”

 

È la signora May che parla ai suoi figli. Ancora una volta la chiesa, la religione in generale, viene vista come occasione per socializzare, per esempio per trovare una brava moglie (nessuno dei figli sembra interessato all’argomento). Oppure, serve per creare lo spirito della comunità e rafforzarlo: nient’altro però. A questo punto una domanda: cosa è meglio? La signora May? Wesley che odia tutti? Scofield che vende polizze alla gente di colore (e non perché progressista: essi pagano).

Flannery O’Connor consegna un ritratto di una famiglia del profondo sud degli Stati Uniti che fa dell’ipocrisia, dell’indifferenza il suo credo assoluto. Esiste il rischio che questo passi inosservato, e per questa ragione stiamo imparando a leggere questo racconto.

Quello che emerge è la lezione più importante che un aspirante autore dovrebbe far propria il prima possibile. C’è un filo rosso che tiene assieme la storia, e questa non è mai (non dovrebbe esserlo), un insieme sconclusionato di fatti, azioni e personaggi. Qualcosa li deve tenere assieme, non si deve vedere affatto, né l’autore ne deve parlare in maniera chiara. Piuttosto, imposta tutto affinché si riveli da sé il motore che muove la storia.

È ovvio che pochi se ne rendono conto, ma il lavoro di chi scrive è anche oscuro per questo. Nessuno o quasi si prende la briga di alzare il cofano e ficcare le mani nel motore di un’automobile. Si accontenta che funzioni tutto.

Però chi vuole costruire automobili deve alzare il cofano, e capire.

 

Come leggere un racconto /12 – Greenleaf di Flannery O’Connor


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